domenica 31 maggio 2015

Mini recensioncine film

- Birdman (7+, un film interessante sotto vari punti di vista e con una visione d'insieme di largo spettro. Dare una morale è riduttivo, ce ne vorrebbe sicuramente più di una da sciorinare. Da seguire senza pausa tutta la vicenda carica di pathos. Consigliato)
- Ogni cosa è illuminata (7+, un film consigliatomi, può trarre un po' in inganno e condurre a una sorta di incomprensione l'uso che si fa della lingua originale in alcuni stralci del film, ma andate oltre, non vi arrendete e proseguite la visione di un film che sottolinea vari fattori con la leggerezza poetica che sfocia, per me, in un campo di girasoli)
- The Best of Me (6, un po' banale per certi versi, scontato per altri. Tutto sommato la sufficienza gliela do senza problemi. Come film per ammazzare il tempo va bene, ma lo sconsiglio ai non romanticoni)
- 50 Sfumature di grigio (n/d, il libro già faceva abbondantemente acqua da tutte le parti, il film è in egual maniera una perdita di denaro e tempo. Per fortuna esiste lo streaming che ci dà la possibilità di risparmiare soldi che sarebbero stati, altresì bestemmiati. Recitazione pessima. Trama inesistente)
- Two Night Stand (7-, carino nel complesso, moderno e decisamente riscontrabile nella storia di un qualunque essere umano che abbia a disposizione la connessione internet e una storia al naufragio)
- Words and Pictures (7+, irriverente, una diatriba deliziosa tra arte visiva e arte letteraria. Una storia d'amore un po' scontata, ma nemmeno troppo. Belle le citazioni)
- Sex – Una Commedia Sentimentalmente Scorretta (5, per passare una serata diversa con un po' di risate, ma proprio poche, ci sta anche bene. Non vi aspettate un filmone)
- Nessuno si salva da solo (6+, mi aspettavo di più, molto di più, per carità film tutto sommato scorrevole, carina la colonna sonora con l'omaggio a Lucio Dalla. Interessante la parte di Vecchioni all'interno del film, ma alla fine per coglierne il significato bisogna scavare in ogni dove della trama. Tendenzialmente bittersweet, amaro e dolce al contempo)
- La scomparsa di Eleanor Rigby: Loro (5, un po' banalotto per certi versi, per quanto profondo potesse essere il fulcro della storia. Drammatico o tendente a quello)
- Cenerentola (n/d, favola che si è mantenuta fedele al mito disnayliano. E' una favola conosciuta, nulla di nuovo)
- Ouija (5, mi aspettavo più terrore, invece nulla di nuovo, trito e ritrito come al solito)
- Un altro mondo (7+, film decisamente vecchiotto ma dai temi sempre verdi. Il co-protagonista ruba decisamente la scena a quello che dovrebbe essere il vero protagonista. Su determinati temi ci si sarebbe dovuti soffermare un attimino di più, ma resta godibilissimo e consigliatissimo)
- The Atticus Institute (n/d, non esistono più i film horror di una volta, mescolare la parapsicologia alla possessione è stato un flop su tutta la linea)
- Il sale della Terra (10, fotografie stupende e storia avvincente quella di Sebastião Salgado del suo viaggio interiore e non solo verso la ricerca di un se che si perde e si ritrova in un circolo per nulla banale lì dove tutto ebbe inizio. Delizioso e consigliatissimo non solo ai fotografi amatoriali, ma a tutti quelli che hanno o professano di avere un'anima)
- Wild (7+, un film che personalmente mi ha portato alla mente molti film visti in passato che vanno più o meno sulla stessa via. Intenso. Profondo. Divertente. Donna)
- Tracks – Attraverso il deserto (8, mi sono commossa, emozionata, rafforzata e ispirata. Un film di un viaggio, un compagno fedele e il bisogno di superare se stessi e il nulla che ci circonde)
- Mia madre (7, un po' lento all'inizio, divertente e commuovente. Completamente esente dalla filmografia italiana in giro negli ultimi anni. Particolare e non per tutti)
- Into the woods (7, nonostante molti lo hanno criticato io ho trovato interessante il mescolamento delle varie favole della disney, premettendo che è un musical, quindi non a tutti può piacere, ma di fondo è una favola tra le favole veramente carina)
- The intruders (6-, mi aspettavo sicuramente di più, un po' banalotto da un certo punto in poi per non dire scontato, ma nonostante ciò è vedibile)
- Ask me anything (6+, all'inizio ho creduto fermamente fosse l'ennesimo film sull'adolescenza e su un adolescente tipo, via via che il film prosegue in un susseguirsi di eventi che hanno dell'assurdo per quanto banale ecco che si viene a palesare l'ipotesi che il film sia tratto da una storia vera. Un finale sconvolgente)
- Il nome del figlio (6+è, un film italiano, molto italiano, tutto sommato la storia non è male, divertente in alcune parti banalotta in altre)
- Cake (7-, interpretazione ben riuscita dalla protagonista, ma l'ho trovato a tratti lento e una volta scoperto "l'arcano" tutto diviene a tratti tendenzialmente banale)

martedì 26 maggio 2015

Kostantino Kavafis

Pure, l'amore che volevi avevo io da dare;
l'amore che volevo - lo dissero i tuoi occhi
sciupati e diffidenti - l'avevi tu da darmi.
Si sentirono, si cercarono i nostri corpi; 
pelle e sangue compresero.

Ma ci nascondemmo, tutti e due sconvolti.
Kostantino Kavafis

lunedì 25 maggio 2015

"Mostrami tutti i dentini"

“E in qualche modo riuscirai a superare i giorni vuoti e i giorni pieni e i giorni noiosi e i giorni detestabili e i giorni straordinari, tutti così piacevoli e così deludenti perché noi siamo tutti così simili e così diversi.”
Charles Bukowski

Ed è vero, pur non conoscendo il come o il cosa ci spinga a superare i giorni noiosi, quelli vuoti, quelli spiacevoli o quelli piacevoli, alla fine la giornata passa. La notte giunge e come un battesimo di pioggia oscura lava via la stanchezza, la felicità o la tristezza che hanno impregnato gli abiti, la pelle e l'anima. Oggi per me è stata una giornata strana. Un banco di prova e adesso ne analizzo gli effetti e le sensazioni prima di lasciarmi andare all'oblio del sonno. La mattinata è stata frenetica, le pulsazioni cardiache erano accelerate, la strada era piuttosto libera, il paesaggio splendido. Balle di fieno, campi verdi macchiati di rosso papavero, industrie belle nei loro colori blu o rossi, insegne stradali, musica ad alto volume e mia madre a mio fianco come unica compagnia all'infuori dei pensieri. Un viaggio breve, ma intenso di significato, un viaggio che andrà a finire nella memoria delle cose condivise e piacevoli con lei. Nonostante i silenzi o le urla mattiniere perché ho fatto notte fonda e non volevo alzarmi e avevo mille cose da organizzare prima del viaggio. Poi quel frammento di malessere, una insegna e nuova accelerazione cardiaca. Ricordi, il 16 non si vedeva da nessuna parte, non mi è comparso in alcun modo eppure non serve solo quello a ricordarmi cosa quel 16 mi scaturisce nella mente. Ciononostante ho spazzato via il malessere momentaneo, trattenerlo e cullarlo come un neonato che ha bisogno di cure costanti perché incapace di badare a se stesso non avrebbe avuto senso, non oggi, non in quel momento, non con quello che mi aspettava. Sono tornata a varcare le soglie di una Chiesa, ho indossato la maschera di chi non teme il giudizio di un Dio in cui non crede e che usa all'occorrenza come ultima risorsa che potrebbe fornirgli un miracolo illusorio, perché con me, sino ad ora ha solo creato illusioni dopo ogni implorazione o preghiera a lui rivolta, ma questo non è importante ora, non nel resoconto giornaliero. Sono entrata in quel luogo illuminato a stento, con quell'odore penetrante di fiori e incenso che rendeva l'aria stantia e irrespirabile. Ho indossato uno dei miei più bei sorrisi falsi nello salutare sottovoce chi conoscevo. Uno sguardo veloce ai presenti per assicurarmi di non aver mancato qualcuno, e poi dritta verso il pulpito. La reflex ben salda tra le mani, due scarpe infernalmente alte pur essendo belle. Lacrime non comprensibili, non da me, non per ora, le ho lasciate li sulle gote di chi fa parte della mia famiglia, ho sorriso e scherzato come se fosse normale lanciare battutine su rubinetti ed idraulici, banale, ma di meglio non so fare. Mi sono concentrata, nonostante la difficoltà di equilibrio su quei trampoli, nonostante l'essere osservata come un animale in gabbia pronto per la vivisezione. Non era il mio ambiente, ma ho finto che lo fosse, ho reso meccanico ogni gesto, ogni cambiamento di obiettivo, ogni frazione di pensiero era soppesata, analizzata, ma stavo semplicemente andando allo sbaraglio senza la minima consapevolezza di quello che stessi combinando. Sopportare quelle parole vuote, quei canti, quei genitori, quei bambini che si apprestano a crescere e non comprendono appieno quello che hanno appena ingoiato con quell'ostia. Credenze, falsità, verità. Io non lo so, non mi è mai importato molto di un credo X o di qualunque cosa che non fosse appuràbile scientificamente, ma l'età dell'innocenza comporta anche questo: essere condotti per mano in circoli viziosi che a nostra volta, con l'inconsapevolezza, abbiamo seguito e chi ci ha preceduto ha, a sua volta, compiuto. Alla fine ho sopportato la cosa, non mi ha colpito alcun fulmine e nessuno mi ha dato della blasfema, della non credente o chissà cosa. Nessuna punizione divina per aver varcato la soglia di una delle tante cosi dette "dimore di Cristo". 
Comunque è finita! Ho mantenuto attiva la maschera della fotografa capace di affrontare qualunque cosa, nonostante i piedi doloranti e i tacchi vertiginosi, mi sono persa in qualcosa di nuovo per non affrontare, di nuovo, quella stilla di dolore pulsante che voleva scoppiare. Ho chiacchierato del più e del meno, ho riso, ho mangiato, ho fotografato, fotografato e ancora fotografato. Mi sono persino messa in posa perché anche io dovevo esserci pur non essendoci veramente. Non finiva mai, straziante la scelta musicale, straziante il primo ballo, pensavo che il buon gusto lo avesse rimosso da questi eventi, eppure ho fotografato anche quello. Bisogna prendere tutto, nel bene e nel male, vogliono tutto quando ti chiedono di rivestire un determinato ruolo. Non sono scesa in discorsi di amore con chi probabilmente avrebbe voluto sfogarsi, non posso dare consigli, non ne ho la capacità e le credenziali adatte, io amo, ma non vengo amata e a questo punto va bene cosi. Deve necessariamente andare bene, non ci sono vie di fuga o via di uscita. Però in tutto ciò mi sono lasciata consolare da chi, in maniera inconsapevole, mi ha donato abbracci, baci e coccole. Ho giocato con i bambini come una bambina, li ho fatti ridere pur non conoscendoli tutti, ne ho conquistato i cuori e ai saluti finali un velo di tristezza l'ho scorto nei loro occhietti acquosi, ma un "Mostrami i dentini" lo ha tirato via quel velo, un sorriso, vero il loro, è comparso e una piccola gioia me la sono portata dentro. E' bello far ridere i bambini, sono cosi innocenti, non lo sanno che devono godersi ogni attimo di questo periodo di non conoscenza perché poi sarà tutto una merda senza fine. 
La festa è giunta al termine, saluti e abbracci. Di nuovo in auto, via le maschere, via le scarpe doloranti, niente musica se non il martellare costante della pioggia sui vetri e lo schiarirsi del cielo per qualche tuono impetuoso e violento. Stanchezza. Insegne. Tristezza. Due città vicine, una sotto l'altra. Un colpo di sonno. Chiudo gli occhi per non piangere. Mi assopisco qualche attimo e poi mi perdo nel buio e li rimango. Li mi sono rintanata. E ora... Merito il sonno dei vinti. Perché il dolore mi ha battuta, anche questa volta, lui ce l'ha fatta ed io no.

domenica 24 maggio 2015

Parole e silenzi

«Che cosa conta l'assenza? la distanza? Spesso avrebbe voluto scrivergli, ma poi aveva stracciato tutto; ma, malgrado ciò, sentiva che lui capiva, perché ci si capisce anche senza parlare».
Virginia Woolf, “La signora Dalloway"


Ma quanto realmente ci si capisce senza parlare? Io non lo so, sono della filosofia di pensiero che crede, piuttosto, nell'opposto. Parlare, parlare e parlare sempre. Anche se le parole vengono meno o sono in esubero, bisognerebbe parlare sempre. Io non so quanto chi mi è assente possa capire o sapere quello che il silenzio vuole significare, le parole ci sono, sono qui, sono aggrovigliate dentro di me, potrei lasciarle libere di essere, ma non posso, mi ritrovo a strappare mentalmente un foglio scritto fitto fitto come tanti fogli oramai non più miei, perché ad un certo punto le parole sembrano non essere più abbastanza, non essere più sufficienti per essere comprese o capite. Si arriva ad un punto dove si crede solo che le parole possano ingannare, tradire e portare a fraintendersi. Se adesso dicessi "Sei un egoista" senza aggiungere altro, nonostante la mancanza di punteggiatura, la frase ha un senso logico e chiaro per chi la legge, ma se io scrivessi "Sei un egoista, perché non capisci che non posso esserti, per ora, amica, perché ci sono ancora troppo dentro questa cosa, perché ti amo ancora" la frase con l'ausilio di parole e parole e parole prende un significato differente, ma agli occhi di chi è destinata ha la stessa valenza della prima. Quegli occhi leggono sempre e solo quello che vogliono, quegli occhi di cui sento la mancanza, non mi hanno mai letta veramente, non hanno mai letto quello che dietro le parole si celava. Quegli occhi hanno giudicato e non cambiano idea. Quegli occhi spinti dalla ragione, dalla mancanza di emozione mi hanno condannata ad essere chi non sono totalmente, perché in parte potrei esserlo, ma solo in parte. Strappo la frase appena scritta, la ripongo lontano dalla vista, perché al momento le parole per quanto possano significare tanto, perdono il loro potere se c'è un velo spesso e nero dinanzi a chi le legge.

giovedì 21 maggio 2015

Pensiero diavoletto e molesto

«È strano. Se un pensiero ti domina, lo trovi espresso dappertutto, ne senti perfino l’odore nel vento, nella vernice, nel profumo della primavera, no?».
Thomas Mann, “Tonio Kröger”

Nel mio caso è un numero, il 16, un profumo che stavo dimenticando, ma che ho trovato per caso in un negozietto e ho acquistato con la consapevolezza che non lo avrei mai usato, ma solo annusato, un po' come chi ha smesso di fumare e di tanto in tanto si ritrova una sigaretta spenta in mano e annusa l'odore del tabacco rollato. Nel mio caso è una lettera che trovo espressa in molti modi e un nome che costantemente il correttore del mio cellulare mi riporta in prima posizione appena digito quella lettera come iniziale. Nel mio caso e nell'odore della pioggia e nello stesso suo scorrere rumorosa e lenta sui vetri della mia stanza. Un pensiero lo trovi ovunque, anche quando cerchi di distrarti vedendo un film o una serie tv ed ecco che la conformazione di un viso o un pizzetto scuro ti balena prima di tutto e il pensiero torna costante come il ticchettio delle lancette di un orologio o del cuore pulsante di un corpo nascosto sotto il pavimento. E' solo un pensiero, te lo ripeti. Lo allontani quel tanto che basta per procedere lungo la strada, per andare avanti senza voltarti più indietro, ma quel pensiero resta lì in agguato. Torna di tanto in tanto a ricordarti che un cadavere sepolto sotto il pavimento di casa non ti porterà mai a dire "Non è mai esistito!". Lo stai solo nascondendo. Lo stai accantonando nella speranza che passi da solo. Non ci pensi pur pensando, ma resta li. Quel pensiero è un demonietto dispettoso in attesa che tu, finalmente, faccia i conti con te stessa. Lo ignori. Ancora una volta lo ignori e vai avanti.

lunedì 18 maggio 2015

Tossico nostalgico

«In greco, «ritorno» si dice nóstos. 
Álgos significa «sofferenza». 
La nostalgia è dunque la sofferenza 
provocata dal desiderio inappagato di ritornare».
Milan Kundera, “L’ignoranza”

La nostalgia andrebbe necessariamente allontanata, rimossa o semplicemente riposta nei meandri più lontani del nostro essere. Quando la si percepisce fare il suo ingresso con il suo mantello rosso rubino e la corona di una Regina ormai deposta dal trono andrebbe issato un muro di volontà e di forza per far sì che non crei più danno di quanto in passato abbia commesso. Ma le regine sono capricciose, si sa, quindi come fare per allontanarla e con essa la sofferenza che si trascina assieme alla polvere che rende il bordo del mantello lercio e sudicio? Non c'è un modo semplice ed efficace, bisogna per forza di cose lottare a mani nude. Nessuna arma può abbatterla se non la semplice voglia di non stare più male. Il ritornare lì dove il dolore ebbe inizio non è mai un bene. Per quanto ti possa apparire l'unico modo in cui appagare quella mancanza che percepisci dentro. Come un tossico allungheresti le braccia inerte e in attesa di quella dose che con dolore ti condurrebbe anche a una felicità mnemonica, ma è solo un palliativo temporaneo. Un palliativo il cui effetto dura troppo poco e che, se non contrastato, crea dipendenza. Ci si deve forzare e stringere i denti, sopportare la crisi di astinenza ed evitare palliativi di ogni genere, perché non servono a nulla se non a ritardare quei conti che non si vuole risolvere per paura di non saperli affrontare al pieno delle forze. Si attende e inconsciamente alimentiamo quel mostro di una Regina deposta che, col suo alito, ci solletica la nuca. E d'un  tratto quello che ti appariva impossibile, quando meno te lo aspetti accade. Ti ritrovi sonnacchiosa tra le braccia di un palliativo che non è mai stato tale, ti sconvolge la facilità con la quale riesci a stare bene in quel frangente nonostante una vocina dentro ti stia dicendo di alzarti e andare via, ma tra quelle braccia ci stai bene, nonostante l'assenza del tutto, lì ci stai bene, sei a tuo agio, ti lasci andare al sonno dei vinti e dei vincitori. Poi torni a indossare una maschera di freddezza e distacco. Fingi di non aver sentito nulla. Fingi di non aver bisogno di quello che per te ha l'aspetto di un palliativo ma che tale non è. Resti di sasso pur annuendo a suggerimenti che hai già preso abbondantemente in considerazione, vorresti zittire quella voce, ma ti costringi ad essere risoluta in quella maschera che indossi per proteggerti da quel dolore che conosci sin troppo bene. L'ignoranza è una gran bella cosa. Ignorare le emozioni, i pensieri e l'insonnia sono i miei palliativi personali per andare avanti nonostante mi senta come un tossico nostalgico alla ricerca di una dose di ritorno. Domani andrà meglio. Domani starò meglio. Va bene. Va tutto bene, nonostante tutto, va tutto bene.

Edera

"Sedette sul primo gradino della scaletta e cercò di esaminare meglio la sua situazione: a poco a poco il suo terrore e il suo dolore diminuirono, e un barlume di luce brillò nella sua anima tenebrosa. Ella tornò ad essere ciò che era stata sempre: l'edera che non poteva vivere senza il tronco". 
Grazia Deledda - L'edera



Mi piace l'edera, le sue foglie sono esteticamente molto belle, ma non penso che una donna abbia necessariamente bisogno di ritrovare se stessa solo ed esclusivamente aggrappata al tronco che la sorregge. Una donna è edera e tronco. Una donna che torna a vedere con lucidità la situazione in cui si è ritrovata non può fare a meno di scorgere l'egoismo umano, non il suo, sia chiaro, una donna che ama non è mai egoista, ma un uomo che non ama lo è. Ok, ammettiamolo non vi è distinzione. Uomo o donna che sia l'egoismo è insito nell'essere umano. Sono egoista anche io in questo momento in cui un minimo di lucidità mentale mi ha aiutato ad esaminare meglio la mia situazione. Una situazione decisamente consona a tante altre persona, ma è pur sempre la mia, la vivo coi miei ritmi, i miei tempi, i miei spazi e i miei vuoti. Mi sono distaccata dal tronco dal quale ho desiderato supporto. Ho scelto deliberatamente di non esserci più ed ora torno ad esserci in tutto il mio essere, bello o brutto che sia, torno ad essere io. Egoisticamente pregna di me e dell'amore che nutro verso me stessa. Libera di scegliere come vivere, come pensare e come agire. Sono libera di frequentare un altro uomo nonostante possa nutrire ancora amore per chi ho lasciato solo con se stesso (lo ha voluto lui, io l'ho solo assecondato, io l'ho solo liberato per la sua felicità). Sono libera di scegliere quale relazione intraprendere dopo aver soppesato e analizzato a fondo i pro e i contro. Sono libera di attivare un blocco o disattivarlo a seconda del senso di agiatezza o disagio del momento. Sono semplicemente libera di scegliere di vivere a prescindere da chi c'è o chi non c'è, perché resto presente io, e tanto mi basta. Quindi vivo alla giornata senza aspettative. Bacio per strada pur sentendomi frenata e in imbarazzo, ma comunque scelgo di farlo. Stringo la mano in auto pur sentendo una fitta nel cuore con quel gesto che tanto mi ricorda chi ho lasciato indietro, ma quello che c'è dietro, non è più dinanzi a me, vado avanti senza voltarmi. Scelgo di assecondare chi vuole fare qualche passo indietro, perché rispetto le scelte altrui, ma non vuol dire che sia la scelta che io avrei potuto o voluto fare. 
Si può vivere senza un albero su cui appoggiarsi, l'edera cresce ovunque: sui muri, sui cancelli, sui marciapiedi, in vaso. 
L'edera è libera di scegliere dove posare le belle foglie che la caratterizzano.

giovedì 14 maggio 2015

D'Annunzio parole senza fatti

Stringiti a me, abbandonati a me, sicura.
Io non ti mancherò e tu non mi mancherai.
Troveremo, troveremo la verità segreta
su cui il nostro amore potrà riposare per sempre,
immutabile.
Non ti chiudere a me, non soffrire sola,
non nascondermi il tuo tormento!
Parlami, quando il cuore ti si gonfia di pena.
Lasciami sperare che io potrei consolarti.
Nulla sia taciuto fra noi e nulla sia celato.
Oso ricordarti un patto che tu medesima hai posto.
Parlami e ti risponderò sempre senza mentire.
Lascia che io ti aiuti, poiché da te mi viene tanto bene!

Quando codeste parole mi verranno dette con la concretezza e la sicurezza che solo i fatti concreti possano dare, quando codesto significato verrà alla luce senza mascherare intenti sconosciuti, insicurezza o menzogne, solo allora potrò sapere di essere veramente amata. E si badi bene, non parlo di un amore colmo di colpi di scena, di brividi e di emozioni inspiegabili, parlo di quell'amore consapevole e maturo che sfocia in una miriade di sfumature e che non segue alla lettera ciò che il comune sapere associa alla parola amore. Amore, una parola che cela al suo interno un numero infinito di possibilità, un numero infinito di forme e di modi di amare differenti e distanti tra loro, ma che hanno in comune sempre e solo amore. Amore nell'affetto (quello vero, sia chiaro e non quello tirato fuori all'occorrenza per egoismo o per secondi fini), amore amichevole, amore famigliare o amore con la A maiuscola. Tante le facce dell'amore, ma le uniche cose che lo rendono tale restano immutate: presenza costante nonostante l'assenza, interesse reale, ascolto e parole. Opinione personale che potete anche non reputare affine alla vostra, ma in me resta immutato l'amore con la quale la esprimo senza mezzi termini. L'amore è... tutto.

Solitudine utopica

«La conosci tu la solitudine?
Sì, quella dei poeti e degli impotenti.
La solitudine?
Quale solitudine?
Ma lo sai che non si è mai soli?
E che dovunque ci portiamo addosso
il peso del nostro passato e anche quello del nostro futuro?
Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi.
E fossero solo loro, poco male.
Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato,
quelli che abbiamo amato e che ci hanno amato.
Il rimpianto,
il desiderio,
il disincanto e la dolcezza,
le puttane e la banda degli dei!
La solitudine risuona di denti che stridono,
chiasso, lamenti perduti…
se soltanto potessi godere la vera solitudine,
non questa mia solitudine infestata dai fantasmi, 
ma quella vera,
fatta di silenzio e
tremore d’alberi».
Albert Camus, “Caligola”

Si è mai soli? Non lo so, penso proprio di no. Citando una parte di questa poesia che adoro: "questa mia solitudine infestata dai fantasmi", per l'appunto, la nostra apparente solitudine non è altro che una menzogna, apparentemente siamo soli, ma non lo siamo mai veramente. I fantasmi, quali pensieri, ricordi o assenze presenti restano lì al nostro fianco o peggio ancora lì nella nostra testa e come martelli pneumatici pulsano violentemente sulle pareti del nostro cranio in un bum bum fastidiosamente continuo e inopportuno rendendoci meno soli di quanto un monaco buddista possa esserlo in piena meditazione. Non siamo mai soli, per quanto possiamo sentirci tali, non lo siamo mai realmente. Se anche spegnessimo i pensieri, i ricordi o mettessimo a tacere quei fantasmi, staremo sempre in compagnia di qualcuno dal quale non potremo mai staccarci veramente: noi stessi. 
Noi, la nostra presenza è quella più infida con la quale dobbiamo fare sempre i conti, siamo sempre li con noi stessi, sempre li pronti a puntare l'indice contro noi stessi. Labbra che si muovono e parole che prendono a vorticare senza sosta. La solitudine diviene, cosi, mera utopia allo stato puro. Si è mai soli dunque? E se un giorno dovessimo riuscire ad esserlo veramente, potremo sopravvivere a quel silenzio che ne comporterebbe? 

Vuoto e spazio entità distinte

«Non era un'emozione simile all'innamoramento o al desiderio sessuale. Era come se qualcosa si fosse insinuato attraverso una piccola fessura e tentasse di riempire un vuoto che c'era dentro di lui. Ecco cosa provava. Non si trattava di un vuoto provocato da lei. Esisteva dentro di lui da un tempo incalcolabile. Lei vi aveva proiettato sopra una luce speciale, illuminandolo».
Haruki Murakami, “1Q84”


E questo pensiero tratto da uno dei libri di Murakami (che adoro come molti avranno capito), divorato mesi fa non posso che associarlo a quel vuoto che sento e a quello spazio che risiede in me e in cui faccio entrare luce nuova. Mi lascio illuminare senza aspettative, senza futuro, senza la smania di voler sopperire o riempire il vuoto creatomi. Quel vuoto, sarò ripetitiva, ma dubito fortemente possa essere riempito da qualcosa di diverso da quello che lo ha creato, ma in me vi è ancora spazio. Per piccola che possa essere ho tanto spazio dentro e non risiede solo quello, ma per ora concentriamoci su quello spazio. Uno spazio che sto donando a chi ho scelto. Scegliere è l'unica cosa disponibile sin da quando la ragione inizia a prendere vita dentro di noi. Scegliamo tra il bene e il male, scegliamo a chi donare il nostro tempo e le nostre attenzioni. Scegliamo il percorso da compiere e scegliamo cosa fare giorno per giorno per andare avanti. Scegliamo chi vogliamo nella nostra vita e chi vogliamo, invece, allontanare o mantenere distante per un periodo. Scegliamo. Compiamo scelte, sbagliando o meno, quello starà al tempo decretarne l'esito, ma intanto prendiamo delle decisioni. Ed io ho scelto di andare avanti a testa alta, ho scelto di vivere a pieno quello che la vita mi dona, le persone che si affacciano nel mio universo personale e scelgo a chi donare attenzioni, un sorriso, un bacio, una carezza o un semplice messaggio. Scelgo con chi passare il mio tempo e come passarlo. Scelgo nuovamente tra una miriade di persone chi voglio conoscere. Scelgo tra una miriade di cose e azioni cosa fare o cosa non fare, cosa dire o cosa non dire. Scelta e luce. Scelta e oscurità. Per ora non mi aspetto nulla nello specifico, ma un barlume di luce lo scorgo. Mi basta quella scintilla. Mi basta quella scelta fatta qualche tempo fa per essere consapevole della strada imboccata. 
La rotaia si è scissa. Il viaggio prosegue su binari paralleli, ma per ora, inevitabilmente, separati.

L'abitudine

«L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subir ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci».
Oriana Fallaci


Per quanto la Fallaci sia una scrittrice che stimo particolarmente, questa volta, mi ritrovo a scuotere il capo vigorosamente mentre leggo questa citazione. Secondo me l'abitudine non ha sempre valenza negativa, anzi, ci sono dei momenti in cui l'abitudine diviene un ancora di salvezza, l'unica fonte di sicurezza e concretezza lì dove l'assoluto nulla  dato dall'insicurezza ci dona. L'abitudine ti può portare a seguire sempre la stessa strada per tornare a casa, e quel semplice percorso può essere variato quando si è pronti ad affrontare l'ignoto di una strada poco battuta. Così anche l'abitudine al dolore può portare al punto di rottura, ti fa giungere al giorno in cui esausta/o sbotti "Ora basta!" e quel dolore con il quale hai convissuto fino al giorno prima pare diradarsi nell'aria come il fumo di una sigaretta appena spenta. L'abitudine è necessaria se hai una malattia con la quale devi consapevolmente vivere ogni giorno, l'abitudine di mangiare determinate cose, di effettuare determinate azioni, in specifici contesti è paragonabile ad un salva vita. Ben venga, dunque, l'abitudine lì dove comporta una consapevolezza della sua presenza, perché non paraculiamoci, si è sempre consapevoli di star vivendo un qualcosa con la compagnia dell'abitudine, non siamo proprio per nulla inconsapevoli della sua presenza, anzi, lo sappiamo e spesso di crogioliamo in essa come se fosse la copertina di Linus che ci da quella sicurezza e protezione che, tutto il resto invece, ci priva. La medicina per sconfiggere l'abitudine malata e negativa esiste e risiede proprio nella presa di coscienza di essere noi stessi legati, come parassiti, a quell'abitudine che testardamente insistiamo a portarci dietro. Ennesimo strascico doloroso, in alcuni casi, confortevole in altri. Quindi no, per me non bisogna dare solo una valenza negativa all'abitudine. Abituarsi a qualcosa o qualcuno può fare bene se si è consapevoli di esserne totalmente pregni.

Nina Zilli - Per Sempre


Se un giorno tu 
Tornassi da me dicendo che 
È stato un errore 
Se un giorno tu
Tornassi da me dicendo che
È stato un errore
Lasciarmi andare lontano lontano da te
Se un giorno tu
Parlassi di me
Dicendo che
Sono il tuo rimpianto e non riesci a dormire
Allora ti direi
Stavolta sarebbe per sempre
Non importerebbe niente se
Le parole tue
Mi hanno fatto male ma tanto vale che
Stavolta sia per sempre
Perché l'orgoglio in amore è un limite
Che sazia solo per un istante e poi
Torna la fame
Se un giorno tu
Sentissi che c'è qualcosa che
Non ti sai spiegare non ti lascia andare
Non chiedere a me
Neghi la verità
Ora che non ti serve piangere
Puoi lasciarti cadere
Dimenticare non basterà
Ma illudimi che sia per sempre
Non importerebbe niente se
Le parole tue
Mi hanno fatto male ma tanto vale che
Stasera non cedo a niente
Perché se perdo in amore perdo te
Che accendi il mondo per un istante e poi
Va via la luce
E so che è stupido pensarti diverso
Da ciò che sei realmente
Di quello che ho dato non ho avuto indietro
Neanche quel minimo
Per cui valga la pena di star male
Mentre affoghi nei tuoi errori
E cerco di capire l'irrefrenabile
Bisogno di cercare amore
In quel terreno che è fertile neanche a
Morire
E invece di morire ho imparato a respirare
Per sempre uh yeah
Le parole tue
Mi hanno fatto male ma tanto vale che
Stavolta non dirò niente
Perché l'orgoglio in amore è un limite
Che sazia solo per un istante e poi
Torna la fame

domenica 10 maggio 2015

Ferite e difese deliranti

Si faccia bene attenzione a chi è ferito, non ci si lasci abbattere dai muri difensivi irti per allontanare chiunque. Si porti pazienza con chi è ferito, non si esageri con le coccole, i baci o le carezze, vanno dosate le attenzioni, cosi da riportare gradualmente l'animo a risplendere nuovamente. Delle ferite resteranno per sempre aperte, marce e putrefatte, ma col tempo il dolore da esse scaturite andrà via via scemando quel tanto che basta dal divenire sopportabile. Tempo, serve sempre del tempo in tutto ciò che ha a che fare con le ferite, l'amore illuso, l'amore a senso unico, l'amore finito, una perdita, un abbandono o l'insensibilità e la mancanza di empatia altrui. Fermati un attimo e rifletti prima di voler entrare nella vita di una persona che si palesa ferita. Sii sicuro/a di quello che fai, che dici e di cosa trasmetti, ma soprattutto sii sicuro/a di quello che senti, perché una persona ferita per quanti muri possa ergere resta fragile come il frutto delle noci, friabile e prossimo alla rottura. Non giocare con le emozioni di chi si apre, di chi ti chiede esplicitamente o implicitamente di essere chiaro/a sin dal principio, di chi crede in te e di chi hai portato pian pianino ad aver bisogno di te. Accetta la sua amicizia prima ancora di sporgere le labbra alla ricerca di un bacio o di cento o di mille. Aspetta di essere certo/a di potergli/le dare realmente quello che tu stesso/a vorresti. Non illudere, non mentire, non fingere, non essere codardo/a o vigliacco/a. Porta veramente rispetto per i sentimenti altrui, fai uno sforzo e mettiti nei suoi panni, indossa per un attimo le emozioni che sente e poi parla, scrivi o metti in atto i fatti. Una persona ferita si difende con quello di cui dispone, l'aggressione verbale non è altro che il dolore vomitato sotto forma di parole. La merda liquida con cui ti riempie per iscritto deve farti porre la domanda: "Cosa ho fatto per meritare tutto ciò?". Fatti un analisi di coscienza, prova a pensare meno a te stesso/a e a quello che vuoi. E poi, passato un tempo sufficiente per entrambi, riprendete in mano il discorso. Non dare mai fretta ad una persona ferita, soprattutto se la ferita gliel'hai inflitta tu.

Noemi - Briciole


Questo è un giorno da vivere 
se non si può descrivere 
di un amore impossibile 
rimangono le briciole 
soltanto scuse insostenibili 
da qualche tempo eri tu con me 

Non c'è più niente niente niente 
che mi leghi a te 
mi sento un vuoto da disperdere 
toccare il fondo per capire che 
è un nuovo giorno senza te 

Questo male di vivere 
che non mi fa decidere 
delle notti romantiche 
il ricordo fa piangere 
sebbene cercherò di illuderti 
da questa nuova immensità che c'è 

Non c'è più niente niente 
niente che mi leghi a te 
è un grande vuoto 
in fondo all'anima 
tu dimmi un pò di che colore 
è un altro giorno senza te 
Ma da sempre chi ama di più 
è costretto a soffrire 
e ti giuro che io ritornerò 
molto in alto a volare 
e quando io sarò più lucida 
quando io non sarò più innamorata di te... 

Non c'è più niente 
niente niente che mi leghi a te 
ma non è facile difendersi 
e sono ancora troppo fragile 
in questo gioco senza te 
Questo è un giorno da vivere 
se non si può descrivere…

Festa della mamma.

Ho conosciuto molte figure femminili nell'arco della mia vita, la prima resta sicuramente la mia mamma, quella donna che alla mia età si è ritrovata con due figlie da crescere senza un marito che l'aiutasse nell'impartire loro la giusta educazione, i valori e tutto quello che le figure genitoriali devono necessariamente fare. Eppure mia madre ce l'ha fatta. In un Mondo in cui gli uomini, per quanto se ne dica, hanno ancora il dominio, in buona parte dei campi, mi rendo conto che le Madri sono decisamente mille spanne più in su di qualunque uomo esistente in tutto l'Universo intero. 
Ho conosciuto madri addolorate, piene di lividi in viso e ferite nell'anima, sorridere ai loro bambini. Ho conosciuto madri crescere i loro bambini rinunciando a qualunque frivolezza pur di dar loro un piatto caldo due volte al giorno in tavola. Ho conosciuto madri che anche a ottanta anni vedono i loro figli, adulti da tempo, ancora come bambini che meritano rimproveri e consigli. Ho conosciuto madri che difendono i propri figli dalle molestie, dalle offese e dalle ingiustizie. Donne e madri che hanno riempito la mia vita di coraggio e valori che altri non avrebbero potuto trasmettermi meglio di come quel semplice "Non è nulla, tra un po' passa" solo una mamma può dirti quando piangi disperata. In questo periodo la mia mamma non c'è stata molto, doveva occuparsi della sua mamma, la mia seconda mamma, e con mia zia, la mia terza mamma, si sono rimboccate le maniche e hanno lasciato le loro famiglie per badare a chi ha donato loro non solo amore, ma anche presenza, consigli, valori e tradizioni. Io non sono madre, non nel senso lato della parola, ho solo adottato un cane che tratto come se fosse mio figlio, con tutte le ansie e i patemi d'animo ogni volta che si fa male, con cui divido un pezzo di pane o del formaggio perché con quegli occhioni mi conquista, ma che riesco a rimproverare se combina una marachella. E' solo una briciola di quello che mi renderà madre quando il mio ventre sarà gonfio, ma sulle spalle ho gli insegnamenti di chi, nonostante tutto, è riuscita ad andare avanti con la testa alta.
Auguri Madre

sabato 9 maggio 2015

Citazione + Pensiero

"So quello che le sta succedendo e non le posso dire che con il tempo passa, perché non è vero. Non passa, rimane lì. È solo che uno si abitua a convivere con il dolore, con l'idea dell'assenza. Dicono che è come la morte, però non è vero: è peggio. Se fosse morto non penserei che è colpa mia [..]. Gliel'ho detto, non passa. Non si dimentica. Però diventa sopportabile. Arriva un momento, una mattina, che ti svegli, ti vesti meccanicamente ed esci di casa per andare a lavoro. Senti che la vita continua, che è più forte, e che bene o male tu ci sei dentro. Allora prendi un respiro, e ricominci a camminare con la tua ferita. Tutto qui."
Tratto dal film "L'uomo che ama"


Paradossalmente è vero, il tempo non serve per far passare quell'assenza quanto piuttosto per darci la possibilità di abituarci ad essa. Si va avanti nonostante tutto, ci si prova a lasciare da parte quel tanto che basta il dolore cosi da riappropriarci del tempo, dei pensieri, dei sorrisi, delle emozioni e tutto quello che abbiamo per un po' abbandonato a se stessi o abbandonato nelle braccia di chi è divenuto assenza. Si fa spazio a nuove persone, e ci tengo a sottolineare che non è un riempire vuoti, quanto proprio ad un fare spazio, aprire la porta a nuove conoscenze, nuove entità differenti da quelle che le hanno precedute, si vive tutto come un qualcosa di nuovo pur essendo consapevoli di aver vissuto le stesse cose mille e altre mille volte in precedenza. Lo si fa per la propria sanità mentale, emotiva e fisica. Devi necessariamente fare i conti con la vita che continua e se ne frega altamente che tu, intanto, sei rimasto indietro di vari passi. Si torna a sorridere al lavoro, con gli amici, a mangiare un qualcosa che associ a quell'assenza, ci si ritrova a tenere per mano in auto qualcuno che ha mani diverse da chi ti ha creato un vuoto dentro. Ci si ritrova a parlare per ore o semplicemente ad osservarsi muti, perché le parole delle volte diventano veramente superflue. Si torna a vivere. L'assenza resta e con essa quell'emozione a cui è legata, ma tu devi, necessariamente, svegliarti una mattina, respirare a fondo fino a sentire i polmoni pieni di aria e andare avanti. 
Si va sempre avanti, nonostante tutto. Devi andare avanti, perché la vita non aspetta e tu non puoi più permetterti di aspettare ciò che non tornerà o non è mai esistito.

Simone de Beauvoir & Orfeo ed Euridice

«Perché ci s’innamora?
Nulla di più complesso.
Perché è inverno, perché è estate, 
per eccesso di lavoro o per troppo tempo libero, 
per forza per bisogno di sicurezza, 
per amore del pericolo, 
per disperazione, per speranza.
Perché qualcuno non ti ama.
Perché qualcuno ti ama».
Simone de Beauvoir

Io non lo so perché ci si innamora, ma so che al momento penso (di nuovo) che faccia schifo amare, soprattutto se ami chi non ti ama, ma per fortuna il tempo allevia un po' lo schifo e il dolore o sarebbe meglio che col tempo si impara ad accantonare il dolore e l'amore, relegarlo in un angolino con un cappello da somaro in testa, in punizione. Non c'è altra alternativa se non quello di fingere che quell'asino non ci sia, ci si racconta che va bene, che ce la stiamo facendo, che stiamo andando avanti, che stiamo vivendo senza più aspettarci nulla, senza più aggrapparsi inutilmente a false e vane speranze. L'intercessione di terzi può essere un bene o un male. Tutto parte dalla mente, se questa ti accompagna nella razionalizzazione degli eventi e delle intromissioni va tutto bene, se non ti accompagna si rischia di ricadere in un baratro oscuro, ma nonostante questo si continua a vivere in sospeso. Ancora persiste una speranza, diversa da quella accantonata, una speranza che ti porti al di là del baratro che ti faccia posare i piedi sul terreno e non più su quella corda tesa come un equilibrista priva di ombrello per darsi il giusto equilibrio. Ci si riempie di vuote presenze, di vuote attenzioni, di vuote emozioni. Si sorride senza luce. Si lanciano sguardi per testare il proprio ego e risvegliare l'autostima un po' sopita. Ci si mette in gioco senza essere veramente in gioco. Risulta sicuramente un gioco perverso, a tratti masochista, ma mai sadico come chi ritorna negli Inferi per trarti in salvo come Orfeo il quale provò a trarre in salvo il suo grande amore: Euridice, senza però riuscirci, anzi dovette lasciarla negli Inferi e morì ucciso dalle Menadi. Ma restiamo sul ritorno negli Inferi ma sadicamente si volta e questo porta chi ha atteso quell'arrivo, con mal celata rassegnazione, a restare, ancora una volta, intrappolata in quell'oscurità dalla quale con falsa stabilità instabile stava provando a convivere.

venerdì 8 maggio 2015

Bon Jovi - I Want You


The last time I saw her
Was the night she said goodbye
She said that love's a stranger
And it's sure to pass you by
As she packed up her belongings
She wouldn't look me in the eye
But I could see a tear roll
Off her face
As we both tried so hard
Not to cry she said

I never wanted the stars
I never shot for the moon
I like them right where they are
All I wanted was you
So baby just turn away
Because I can't face the truth
All I'm trying to say
Is all I wanted was you

I tried so hard to remember
Where when how why love went away
I tried to drown myself in pity
But the whiskey kept calling your name

I bought you fancy cars and diamond rings
All the things that money brings
And the servants to paint the sky blue
And I worked so hard seven days a week
And built a fortress for your heart to keep
If I could I'd wrap these words up for you

I never wanted the stars
I never shot for the moon
I like them right where they are
All I wanted was you
So baby just turn away
Because I can't face the truth
All I'm trying to say
Is all I wanted was you

I may have built for you a dreamhouse
But never thought you were alone
I filled the party up with company
But never made our house a home
All I got is my guitar these chords and the truth
All I got is my guitar ... but all I want is you

Cesare Pavese + Pensieri semi-deliranti

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza, 
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Conosco la parafrasi di questa celebre poesia di Pavese eppure resto dell'idea che, per quanto il significato possa essere ben delineato dalle parole o dall'autore, nella poesia è l'animo del lettore che ne da un significato proprio. Questa poesia, per quanto nasca dalla delusione d'amore di Pavese mi porta anche a pensare a la petite mort, lo so che non ha nulla di triste, malinconico o doloroso, anzi è probabilmente tutto l'opposto eppure non riesco a vederci un piccolo squarcio di quell'esplosione di sensazioni. Sensazioni ed emozioni differenti, ma che trovano in ambedue le versioni una esplosione, quella la parola italiana che più mi aiuta a descrivere quel che ci vedo io, se mi scosto un attimo dal vero senso della poesia. La petite mort è stata sicuramente e ampiamente descritta in altre poesie, eppure non posso non paragonare l'emozione della speranza che uccide in molti casi a quella intensa esplosione emozionale che sovviene in quel determinato momento in cui, i nostri fratelli parigini descrivono l'orgasmo. Una piccola morte, la stessa che possiamo paragonare a quel che produce una speranza vana, una parte di chi spera, inevitabilmente, muore. Certo come dice Pavese può essere anche fonte di vita la speranza, ma sappiamo bene tutti quanti che in questo caso specifico vita non ne ha portato. Ha portato dolore e morte e gli occhi, altro elemento presente abbondantemente nella poesia mi fanno pensare a quegli amanti che all'apice del piacere li socchiudono per abbandonarsi totalmente a quello che sentono, emozione altresì paragonabile al dolore del ricordo degli occhi in cui si è persa la ragione e nella quale è scoppiato l'amore. Gli occhi non dovrebbero tradire tanto quanto le parole, eppure... Eppure anche loro possono indurre a fraintendimenti, errori di valutazione e illusione. Anche gli occhi mentono. 
Verrà la morte per tutti e per ognuno di noi avrà gli occhi di chi, con rimpianto, amore, dolore o rancore, serberemo il ricordo fino all'ultimo respiro che si librerà dalle nostre labbra nell'aria.

giovedì 7 maggio 2015

L'attesa

L'azione dell'attesa è divenuta inflazionata da sempre, che sia in ambito letterario, artistico o musicale. Molte sono le eroine che hanno dovuto, grazie ai sadici che le hanno scelte come protagoniste dei loro romanzi o racconti, emulare in quell'atto cosi intenso, malinconico, profondo qual è l'attesa. Attesa del ritorno di un uomo o l'attesa di un bambino, l'attesa di un treno che le avrebbe condotte verso la felicità o una nuova vita. La più inflazionata resta Penelope che attende il ritorno di Ulisse tessendo una tela per prolungare il tempo ed evitare la rivolta dei Proci. Ma anche autori più recenti hanno lasciato che l'attesa divenisse il soggetto del loro dire scrittorio: 

«Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?» 
Cesare Pavese

«Perché aspettiamo per qualsiasi cosa? --perché non afferiamo immediatamente il piacere? Quante volte la felicità viene distrutta dalla preparazione, stupida preparazione!»
Jane Austen, "Emma"

Forse attendo invano ma spero in un "mi manchi" che mi accarezzi l'anima. 
G.Flaubert

L'attesa è lunga; il mio sogno di te non è finito.
Montale

Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.
Alda Merini

Per quanto concerne la musica anche lì l'attesa è uno dei temi spesso riscontrabili, basti pensare a Gaber con l'omonima canzone "L'attesa", Renato Zero con "Mentre aspetto che ritorni", ma anche tra gli interpreti recenti questo tema è ben sfruttato: Tiziano Ferro "Quando ritornerai" o l'Amoroso "Ti aspetto". Naturalmente nell'ambito musicale non è riscontrabile solo nei testi italiani, ci sono testi stranieri pregni di quest'azione cosi intensa e cosi abbondantemente usata. 
L'arte visiva non è da meno, mi vengono in mente i celebri quadri di Klimbt e di Rembrandt. Tutto questo per sottolineare quanto l'atto stesso dell'attendere possa essere paragonato, senza alcuna esagerazione a un atto naturale come il respirare o il mangiare. Un atto inconscio e conscio. Volontario o involontario. Sofferto, nella stragrande maggioranza dei casi, desiderato e felice in altri (un esempio banale può essere l'attesa della venuta al mondo di un bambino). Eppure non riesco a scindere troppo l'attesa come un qualcosa che spesso ha valenza negativa, porta lacrime, pensieri, dolore, delle volte rassegnazione e congetture. Che avrebbe fatto Penelope oltre la data di scadenza promessa da Ulisse? Che farebbe una Merini o un Montale dinanzi alla non realizzazione positiva di quell'attesa tanto decantata? Domande alle quali i nostri non potranno più rispondere, non sono più vivi da tempo. 
Eppure ci hanno sempre insegnato che l'attesa serve per imparare la pazienza, che il passare del tempo serva per poter vedere con lucidità le varie situazioni che la vita ci pone dinanzi, che lo stesso passare del tempo, visto come attesa può essere utile per creare il pensiero e il ragionamento, ne amplifica la potenza e il meccanismo, non a caso con un abile trucchetto Penelope riesce a far passare un anno senza essere violentata o promessa a chicchèsia, ma quanti attendono invano? Troppi. Troppe attese illuse, eppure restiamo li in attesa, non riusciamo a farne a meno, sarebbe un venire meno a qualcosa a cui siamo o siamo stati legati. Concludo citando qualcosa che ho trovato online e che sento decisamente appartenermi:

"Ti ho lasciato credere di averti dimenticato 
per stare bene per convincermi, 
per andare avanti anch’io. 
Ma la verità è che io non sono mai andata avanti. 
Ho conosciute nuove persone, 
fatto nuove esperienze, ho cercato nuovi amori.
Ma tu rimanevi sempre.
Rimani sempre.
Come ci si dimentica di chi un tempo ci ha salvato?"
Elizabeth Julie Shanti

Si attende, ma si continua a vivere e come dice Pessoa: "Vivere è non pensare". 
Non pensare ti porta ad andare avanti, ma poi basta un niente per riempirti nuovamente la testa di domande, di pensieri e la confusione regna, nuovamente, sovrana. Sto vivendo, ci sto provando a spegnere i pensieri, ma questa sera no, questa sera non vivo. Questa sera penso.

mercoledì 6 maggio 2015

Molecole attive seppur sopite

«Scrivere mi fa bene. Lo sento. 
Anche quando scrivo cose tristi, 
qualcosa in me si tranquillizza, 
sento di avere uno scopo».
Davis Grossman, “Che tu sia per me il coltello”


E nonostante i fumi del sonno incombente, mi ritrovo a desiderare la scrittura, quella libertà che comporta, quel senso di liberazione dall'oppressione delle parole che martellanti girovagano nella testa in pensieri sconclusionati o ben definiti. Pensavo. Ho pensato, parlato, mi sono confidata, mi sono aperta con una facilità disarmante con chi tra poco meno di un mese mi lascerà sola per andare a cercare un lavoro. Tornerà. Deve tornare la mia amichetta altrimenti la vado a prendere per capelli per riportarla qui. Abbiamo fatto comparazioni tra il ieri e l'oggi, il passato e il presente, sulle mancanze e l'interesse concreto. Differenze sostanziali a cui personalmente non do molta attenzione o importanza, sulle quali non mi aggrappo come probabilmente dovrei. Come una Penelope aspetto, ma a differenza sua, come direbbe un Mengoni: "io ti aspetto, ma nel frattempo vivo". Piangersi addosso non vale la pena, non ha senso, non ho più quindici anni, sono stata una stupida a rincorrere, implorare e pregare qualcuno a cui è cosi palese, poco importi di me. Vado avanti, mi lascio corteggiare, lo ammetto, da chi è presente come avrei voluto fosse presente chi è assente, mi lascio chiamare, implorare e desiderare da chi per quanto interessante al momento non riveste un ruolo importante, la mente va altrove, la mente mette blocchi, freni che hanno il nome, la voce, le mani, il sorriso e le sembianze di chi ha voluto non esserci. Mi vivo la cosa cosi come viene, senza pressioni, senza aspettative, con la consapevolezza di essere stata chiara sin da principio (io almeno non ho bisogno di mascherare, celare o nascondere la verità), sono già innamorata, ma comunque ho scelto di dare la possibilità a chi, con pazienza infinita e senza pressioni di alcun tipo mi asseconda e mi aspetta, vuole realmente vedermi, vivermi cosi come da un fantasma (ora) avrei voluto e desiderato. Non riesco a lasciarmi andare, non del tutto, ma non ho alcuna fretta, c'è qualcosa, lo percepisco sin troppo bene, sin troppo vivido e inopportuno è ancora attivo quel sentimento a senso unico, eppure vado avanti, sì vado avanti. A tentoni delle volte, lo ammetto, ma ci provo concretamente, sempre con la nuda e cruda verità ben messa su un bel piatto ornato. Non amo mentire, non amo prendere in giro nessuno. Lo ripeterò fino alla morte: io non faccio ad altri quello che hanno fatto a me. Sono decisamente meglio. So realmente rispettare le persone, soprattutto quando queste si aprono totalmente, quando empaticamente riesco a indossare i loro panni, veramente. 
Vado da Morfeo adesso. Il sonno mi reclama. Il riposo delle membra e dei neuroni, di quelle molecole iper attive pur sopite è giunto.

Citazione Marquez

«Così aveva finito per pensare a lui come non si era mai immaginata che si potesse pensare a qualcuno, presagendolo dove non era, desiderandolo dove non poteva essere, svegliandosi d’improvviso con la sensazione fisica che lui la contemplasse nel buio mentre dormiva».
Gabriel Garcìa Marquez, 
“L’amore ai tempi del colera”, 1985.

martedì 5 maggio 2015

Saffo e un'anima simile ad una fetta di emmental

«Sono qui.
Nell’anticamera del Paradiso
vestita di solo desiderio.
Chiudo gli occhi.
Un passo verso di te.
L’inferno.
Le fiamme avviluppano
i nostri corpi
la pelle freme
il cuore batte a ritmo di tango.
Il sangue bolle.
Il vento tace.
Apro gli occhi…
tu non ci sei.
Io non ci sono».
Saffo

Il fulcro di questa poesia, ai miei occhi esplode negli ultimi tre versi: "Apro gli occhi... tu non ci sei. Io non ci sono". La poesia è chiara, la comprendo in ogni singola parola scelta, ogni aggettivo, soggetto, complemento o verbo sono colmi di significato, ma per me è in quella terzina che risiede realmente il tutto. Se la togliessimo la poesia prenderebbe un significato differente da quello che, evidentemente, Saffo voleva lasciarci intendere. E' struggentemente delicata nella sua semplicità devastante. La sento un po' mia, non condivido mai pensieri, stralci di libri o poesie senza che esse in un modo o nell'altro non vadano ad intaccare una emozione, a pungolarla per ridestarla dall'assopimento in cui era caduta. Delle volte le emozioni sono paragonabili alle Principesse della Disney, in questo caso una Bella Addormentata che, curiosa, si è punta con un fuso. Il fuso metaforico può essere qualunque altra emozione che l'ha sopraffatta o la stessa ragione che le ha imposto di restare in un angolino silente, non voluta, non desiderata, non necessaria. Eppure poi basta un quadro, una canzone, una poesia o un racconto ed ecco che quell'emozione torna sbadigliando un po' a ridestarsi. Pochi attimi o per lungo tempo, quello sta a lei deciderlo, ma intanto si è svegliata la pigrona cacciata in fondo e troppo debole per farsi sentire a pieni polmoni. Nel mio caso l'emozione si attiva e disattiva, se leggo quella terzina con attenzione sento qualcosa smuoversi, ma appena allontano lo sguardo da loro puff svanisce nuovamente, torna la vuotezza di emozioni che essa, nonostante nel mio caso sia la ragione a ripudiarla come una figlia disubbidiente, lascia. Non importa più di quel vuoto è solo un piccolo vuoto, all'occorrenza so come riempirlo, un po' come tutti i vuoti di media e piccola entità e di valore emozionale che lasciano la mia anima assomigliare ad una fettina di emmental, ci sono altri vuoti che invece non possono essere riempiti in alcun modo, restano lì, in un angolino, illuminati, contemplati e nutriti dalle emozioni a cui sono legati pur non essendo prettamente emozionali, ma restano vuoti non più riempibili, non con quello che manca e di cui portano la forma. Chiamare, urlare, implorare, sperare, sognare, non serve assolutamente a nulla. Non si riempiranno più, questa volta la ragione ha ragione.