martedì 27 ottobre 2015

Passi abbandonati

(Foto di mia proprietà)

Il pugno stretto
intorno al mio cuore
si allenta un poco,
e io respiro ansioso luce;
ma già preme di nuovo.
Quando mai non ho amato
la pena d’amore?
Ma questa si è spinta
oltre l’amore fino alla mania.
Questa
ha la forte stretta del demente,
questa si aggrappa
alla cornice della non-ragione,
prima di sprofondare
urlando nell’abisso.
Tieni duro allora, cuore;
così almeno vivi.
Derek Walcott

Trattenersi dall'iniziare una conversazione colma di convenevoli e cose non dette. Domande taciute. Rancori. Dolori. Aspettative. Evito di farmi del male abbandonando alle mie spalle un paio di scarpe vissute, non totalmente, la tomaia è ancora sana, avrei potuto camminarci ancora a lungo, ma sono divenute scomode. Abbandono con una scrollata di spalle quell'antico dolore. Non svanisce, cosi come non sparisce la voglia di esserci, le domande, le curiosità, la voglia di conoscere e di contare qualcosa. Non sparisce mai nulla. In sottofondo Promise di Ben Howard risuona perfetto. Promisi di esserci, promisi di non dimenticare, promisi per te e per me, ma ad oggi, in questo giorno prometto a me di andare avanti. prometto di lasciare alle mie spalle quel macigno che mi porto dietro da mesi. Prometto a me di esserci, di amarmi, di non dimenticarmi. Prometto di indossare scarpe comode e nuove, perché in quelle vecchie, per quanto cosi famigliari, oramai il mio piede ci va troppo largo. Si sono sformate, svuotate. Fa freddo in quel vuoto privo di abbraccio. Mi voglio bene e mi trattengo, non è facile. Non lo è mai stato e non lo diventerà con il tempo, ma non posso fare altro che abbandonare. Sventolo una bandiera bianca. Resa. Hai vinto.

lunedì 26 ottobre 2015

Finestra sul passato

                                                                                        (Foto di mia proprietà)

Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d’essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l’abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro. «Ti amo perché ti gratti il polso in quel modo tutto tuo», questo per esempio vorremmo sentire, piuttosto che: «Ti amo perché sei generoso e affidabile».
C’innamoriamo di minuzie, di riflessi in cui vediamo l’altra persona come pensiamo che nessuno l’abbia mai vista e mai la potrà vedere, e custodiamo questi attimi di unicità in forma d’immagine, anche se negli anni sbiadisce; ma è a quell’immagine che chiediamo aiuto quando il nostro sentimento vacilla e dubitiamo di amare, allora la richiamiamo, e ci basta (quando ancora l’immagine è viva) ritrovare quel modo di bere a canna, tenendo la bottiglia distante dalle labbra, perché l’amore torni a insinuarsi e si riaccenda, rimettendo a posto le cose, disponendole intorno a noi nell’ordine rassicurante in cui ci siamo abituati a vivere, e ci lasci dove siamo, reprimendo di schianto i progetti di fuga a cui avevamo già cominciato a lavorare.
Diego De Silva, Mancarsi

Mi sono innamorata di un sorriso celato, di una rotara peggiore della mia, mi sono innamorata di un pizzetto scuro (proprio io che detesto i baffi e il pizzetto rispetto ad una folta barba), mi sono innamorata di occhi profondi che raccontavano tutto, ma che non ho mai visto realmente, mi sono innamorata di quella mano sulla fronte, di quelle rughette pensierose, mi sono innamorata dei mal di testa, dei "no" continui, della frustrazione, del non amore, degli abbracci asfissianti mentre dormivo, mi sono innamorata delle storie che mi si raccontavano, anche quando le avevo già udite, mi sono innamorata della premura di un pacco di biscotti comprato per me, mi sono innamorata di lenzuola scombinate, di una poltrona che ha impressa una forma a me oramai sconosciuta. Mi sono innamorata di piccole minuzie e dettagli che resteranno, nonostante il passare del tempo, impressi a fuoco nella memoria, piccoli fermo immagine recuperabili da finestre chiuse, ma che, di tanto in tanto apro per poter far prendere aria all'ambiente. Eppure nel mio caso specifico, richiamare alla memoria tutto ciò non serve a ritrovare quell'amore perduto, tutt'al più dovrei sbarrare le finestra abbandonarle, lasciare che le ragnatele e la muffa prendano il sopravvento, dovrei dimenticare, cancellare, ottenebrare quello che amo e che mi ha fatto innamorare, perché non ho altra alternativa se non quella di andare avanti. Incespicando, inciampando, cadendo e finendo con un ruzzolone per terra. Ma d'altra parte non sono io che gestisco il centro della memoria, mi si attiva da solo, le finestrelle basta un alito di vento più forte ed eccole li a sbattacchiare senza sosta. I ricordi ritornano. Scardinano le cicatrici, sanguina la ferita, ma si rimargina presto, almeno quello devo ammetterlo e tornano i progetti di fuga a cui, di volta in volta, torno ad elaborare per potermene tirare fuori, più o meno, illesa.

venerdì 23 ottobre 2015

Attese. Mancanze. Dolore. Resa.

(Dennis Stock "Love story")
«Non vedeva l’ora di incontrare Edmonde, di lanciarle il segnale, di leggere la risposta nei suoi occhi e di inabissarsi con lei in quell’universo». Georges Simenon, “I complici”

E manca, manca davvero sentire l'emozione di quell'attesa. Manca il voler battere il tempo, portarlo in avanti oppure rallentarlo a seconda del momento che si sta vivendo. Manca l'emozione del doversi separare pur sapendo di rivedersi nuovamente dopo poche ore. Manca il tumulto del cuore, quell'esplosione di tum tum senza fine che ti sembra di percepire anche nelle orecchie. Come se quel palpito possa essere udito da chiunque. Attesa. Penelope. Ulisse. Proci. Circe. Tutto ruota intorno al tempo, allo scopo, all'attesa, almeno lì, almeno in quel romanzo epico, nel mio Penelope si è arresa dopo mesi di dolore, lacrime e tele cucite e scucite. Penelope ha gettato la spugna. Si è data in pasto ai Proci sorprendendosi dei sorrisi che taluni le hanno scaturito o del semplice sentirsi a proprio agio in loro compagnia o non sorprendendosi affatto nel paragonarne gli atteggiamenti, le parole e la semplice presenza con Ulisse. Eppure Penelope ha rinunciato alla speranza. Penelope si è stancata di aspettare. Ha chiuso le porte a chiunque: Proci o Ulisse non fa più alcuna differenza. Nessuno (e no, non parlo di Ulisse con Polifemo) può accedere nelle sue stanze, a nessuno è concesso l'ingresso. Sola. Realmente sola. Amore per se stessa. Si basta Penelope, è tornata a bastarsi, eppure... Di tanto in tanto, le prende quel magone che le riempie gli occhi di lacrime, lo stomaco le si aggroviglia e i ricordi come fantasmi la perseguitano. Quelle emozioni perdute la pungolano invitandola ad aprire uno spiraglio, ma lei stringe i denti, sopporta e rifiuta. La mancanza delle emozioni è il male minore rispetto al dolore.

martedì 20 ottobre 2015

Il fabbro dell'amore

(Foto di mia proprietà)

Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
dicendo che è un mio emissario,
non credergli, anche se sono io;
ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
neanche che si bussi
alla porta irreale del cielo.
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
bussare, vai ad aprire la porta
e trovi qualcuno come in attesa
di bussare, medita un poco. Quello è
il mio emissario e me e ciò che
di disperato il mio orgoglio ammette.
Apri a chi non bussa alla tua porta
Fernando Pessoa

Una domanda che negli ultimi mesi mi viene posta in maniera velata e diretta è questa qui: "Ma se dovesse tornare tu che faresti?". Bella domandina che apre mondi paralleli con altrettante risposte contrastanti tra di loro eppure concretamente vere. Se dovessi rispondere con la pancia, quindi con l'emotività, direi "La porta per lui sarà sempre aperta!", dall'altra parte la me razionale invece, bastion contrario senza mezzi termini, direbbe "Sulla porta c'è un cartello: "TU QUI NON PUOI PIU' ENTRARE!". Districarsi tra le due personalità (che scritto cosi mi fa sembrare una psicopatica pronta per essere internata) non è facile, cosi come non è affatto facile rispondere ad una domanda del genere, un po' come la famosa e altrettanto spinosa domanda: "come stai?". Eppure penso che non sia difficile dare una risposta, ciò non toglie che alla medesima domanda, la sottoscritta devia o fa scena muta, più che altro è stato difficile mettersi da parte, sparire, dare spazio, abbandonare e abbandonarsi, perdere e perdersi, difficile è stato tutto il percorso che ha portato a quella domanda. Stupida io più che altro nel non essere capace di mentire e nell'essere cosi schietta e sincera dal palesare senza mezzi termini con chiunque che ho sì libertà nel frequentare o conoscere, ma che poi in realtà non mi ci senta perché ancora legata (innamorata) di chi alla fin fine non conosco più. Altro che Amleto con il suo essere o non essere. Comprendere e accettare che quello che sento nasce più che altro dalla paura di non sentire più niente, rispetto al provare veramente qualcosa di cosi profondo per chi poi, ad oggi, non so più chi sia. Si può amare chi non ti ama? No, in realtà non si dovrebbe, si può, ed è pure facile farlo, si amano i ricordi, i se, i ma, si ama chi conoscevi ma non c'è più o non c'è mai stato, si ama chi eri e come eri, si ama la sensazione di "casa" che quella persona ti faceva provare (e ti ha fatto provare fino all'ultima volta che vi siete parlati o visti), ma dall'altra parte c'è anche tutto il resto. C'è il non sapere chi sia ora (e sarò ripetitiva ma si diventa sconosciuti dopo), c'è il non saper giustificare certi atteggiamenti, certe parole, certi sotterfugi, non digerire le prese in giro, lo squallore dell'egoismo puro, non si digerisce più nemmeno la contraddizione che tanto ti aveva colpito in principio, eppure ti nascondi dietro un "sono ancora innamorata" perché non vuoi rischiare più. Non dopo che hai lottato con i denti e con le unghie per venirne un po' a galla, quel tanto che basta per respirare senza annaspare. Non dopo che hai rischiato il collasso per le sessanta notti passate in bianco a fissare il soffitto, non dopo i mesi passati a non mangiare perché lo stomaco si era talmente chiuso che solo l'odore del cibo ti creava conati di vomito. Non dopo esserti donata totalmente senza aspettarti nulla in cambio e alla fine sentirti dire che hai torto perché un ti amo non è mai stato pronunciato. Quella frase è solo un dettaglio, un pizzo su una tovaglia imbandita. I gesti, la premura, il tempo, le attenzioni e la presenza valgono più di mille parole. Il ti amo sono solo due parole messe assieme come un ti voglio bene troppo pronunciato. Eppure ti viene da chiederti se non hai voluto vedere e sentire cose che non c'erano in alcun modo. E per carità ci può stare, l'amore mette i prosciutti agli occhi fisici e non, eppure non posso non considerare tutto nel complesso. Parole su parole che un qualcosa significheranno pure o hanno significato, tempo verbale più corretto in questo momento. Ad oggi non contano più non per me, hanno perso valenza, le parole sono diventate vuote, solo parole, prive di pathos, di sentimento, prive di significato se non quello imposto dal senso comune. Smettere di credere non è difficile, ti basta una stilettata dritta al cuore e puff, non credi più. E quella porta. Abbandonata, dalla vernice scrostata, dalla maniglia e dalla serratura arrugginita, dal vetro sporco e rotto, resta chiusa, ci vorrebbe un fabbro o un piede di porco per aprirla, ma non è tutta li la difficoltà. All'interno poi c'è un caos incredibile che fa un baffo al caos primordiale, scatoloni di ricordi, di foto, di parole, scatoloni di vestiti, mobili, polvere e ragnatele hanno preso il sopravvento, farsi spazio non è per nulla facile, il desistere diviene più facile come scelta. E dopo questo volo pindarico torniamo alla famosa domanda. La risposta? Non lo so. La fiducia si è perduta e riconquistarla non è cosa da tutti. Ci vuole pazienza con le vecchie porte, il legno è gonfio per l'umidità, quante lacrime ne hanno percorso i solchi del legno? La serratura è arrugginita. Basterà un po' di olio? Pazienza e manualità, amore e tempo, però, aggiustano tutto.

lunedì 19 ottobre 2015

Illegalità, sorrisi e luna.

(Foto di mia proprietà)

Questo lunedì è quasi giunto al termine, manca effettivamente veramente poco e sarà già martedì. Ho passato un weekend assurdo. Tra l'imbucarsi in una casa abbandonata per scattare foto all'andare all'avventura verso un posto mai visitato con persone che non hai mai visto in vita mia, ma con le quali alla fine c'è un filo conduttore comune, ok, magari due se considero il folle che ama creare miscugli di persone. Io, piccola asociale misantropa, tutto sommato sono stata bene, quel lasciarmi alle spalle tutto, quel andare contro le regole dell'ordine comune, lo scavalcare un muro e la felicità in un unico scatto decente, vale tutto quello che avrei potuto rischiare, ma che cos'è la vita senza rischio? Per una foto, un singolo attimo rubato passerei mille giorni in prigione se poi la soddisfazione di avere qualcosa di buono mi faccia sentire cosi... Cosi bene. L'aggregazione, il mangiare con degli sconosciuti, il non sentirsi totalmente fuori posto, il non avere un pensiero costante, che, per carità c'era, eccome se c'era, nelle parole, nella gestualità, nella luna che ho immortalato e continuerò a immortalare, in quella mano su una gamba posata più per appiglio che per altro, un gesto che comunque mi ricorda quel che vorrei dimenticare. Una foto rubata con la voglia di farla e darla per la comicità della posa del soggetto, niente emozioni contrastanti, niente sentimenti, niente occhietti a cuoricino, semplice voglia di immortalare l'attimo. Due giornate differenti, due tipologie di foto diverse, ma che in comunque alla fine hanno avuto solo la mia amichetta luna. Essere me stessa senza esserlo veramente e non faticare minimamente perché mi sono potuta celare dietro la macchina fotografica e sorridere, sorridere, sorridere. Vorrei uno di quei sorrisi ora, potrei eliminare le lacrime che stanno riempiendomi gli occhi e che sto contrastando. Si va avanti. Devo andare avanti.

sabato 17 ottobre 2015

Viaggio rimandato e occhi ancora ciechi

Adesso avrei dovuto essere in viaggio, su un treno o un aereo, il mezzo non era più poi troppo importante, uno valeva l'altro per raggiungere quella meta che mi ero imposta. Eppure il viaggio è stato nuovamente rimandato. Il lavoro viene prima del mio bisogno di riprendermi del tutto, del mio bisogno di scrollarmi di dosso quel macigno sotto forma di velo nuziale che mi trascino da mesi. Ho bisogno di mettere le distanze per un paio di giorni da tutto, cellulare spento, computer abbandonato a casa, solo io, uno zaino e la macchina fotografica. Perdermi tra le braccia di vecchie amicizie e rivederne di nuove. Ho bisogno di staccare la spina, ma per ora devo solo stringere i denti e sopportare altre settimane infernali prima di poter scappare via, fingere che tutto vada bene, che quel fuggire possa essermi realmente di aiuto, ma so bene che non mi aiuterà poi molto. Ennesimo palliativo per far stare quieti i demoni almeno un paio di giorni. Controllo quotidianamente gli orari dei treni e degli aerei, organizzo nei minimi dettagli la fuga, accetto proposte di viaggiare in moto o in auto, come ho detto prima il mezzo è irrilevante, la meta... La meta è uno di quei posti che conosco, che non avrei messo nella lista dei posti da rivedere quanto prima, ma che d'un tratto è divenuto rilevante. Importante tanto quanto il mio incapponirmi affinché il viaggio abbia luogo. Trovare una sistemazione per un paio di notti non mi è difficile, ovunque vado un letto che mi aspetta lo trovo, avrei preferito non averlo per certi versi. Lasciare lo sguardo vagare nel vuoto interno, ma è giusto che qualcuno provi a salvarmi lì dove io stessa ho gettato da tempo la spugna. Un po' come l'aver smesso di scrivere realmente, un po' come quella censura auto procuratemi, perché tanto le parole oramai sono solo parole, prive di significato, prive di impronte, di emozioni, prive di senso. Disfattista. Pessimista. Vuota. Non servirà a nulla nemmeno il viaggio, ma chi lo sa, magari mi ricrederò. Ci si stanca, ammettiamolo, ad un certo punto apri gli occhi e i miei occhi hanno bisogno di vedere di nuovo.

venerdì 16 ottobre 2015

Ti ho voluto bene veramente


Così sono partito per un lungo viaggio
lontano dagli errori e dagli sbagli che ho commesso
ho visitato luoghi per non doverti rivedere
e più mi allontanavo e più sentivo di star bene
e nevicava molto però io camminavo
a volte ho acceso un fuoco per il freddo ti pensavo
sognando ad occhi aperti sul ponte di un traghetto
credevo di vedere dentro il mare il tuo riflesso
le luci dentro al porto sembravano lontane
ed io che mi sentivo felice di approdare
e mi cambiava il volto, la barba mi cresceva
trascorsi giorni interi senza dire una parola

E quanto avrei voluto in quell’istante che ci fossi
perché ti voglio bene veramente
e non esiste un luogo dove non mi torni in mente
avrei voluto averti veramente
e non sentirmi dire che non posso farci niente
avrei trovato molte più risposte
se avessi chiesto a te ma non fa niente
e non posso farlo ora che sei così lontano

Mi sentirei di dirti che il viaggio cambia un uomo
e il punto di partenza sembra ormai così lontano
la meta non è un posto ma quello che proviamo
e non sappiamo dove né quando ci arriviamo

Trascorsi giorni interi senza dire una parola
credevo che fossi davvero lontana
sapessimo prima di quando partiamo
che il senso del viaggio e la meta è il richiamo
perché ti voglio bene veramente
e non esiste un luogo dove non mi torni in mente
avrei voluto averti veramente
e non sentirmi dire che non posso farci niente
avrei trovato molte più risposte
se avessi chiesto a te ma non fa niente
e non posso farlo ora che sei così lontano
non posso farlo ora

Attesa e fatica illuminati da una luna virgolosa

«Scendere agli Inferi è facile:
la porta di Dite è aperta notte e giorno;
ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo,
qui l’opera, qui la vera fatica».
Virgilio, “Eneide”

Ho sempre amato leggere i classici, non sono per tutti, non tutti li comprendono, non tutti li apprezzano, eppure quei personaggi li non fanno altro che rappresentare vizi, virtù, emozioni, sentimenti metaforicamente (e non) umane. Basti pensare alla mia amata Penelope, lei rappresenta la donna, certo, ma anche la pazienza, l'attesa, l'amore. Basti pensare a Circe o alle sirene, cosi ammaliatrici, ma al contempo vane dinanzi a quella forza primordiale che spinge un uomo a contrastarle. E poi basti pensare a quell'inferno qui sopra citato, la facilità con la quale vi si accede e la difficoltà umana con la quale poi si deve fare il percorso inverso. Quant'è difficile e gravoso salire uno ad uno quei gradini, quanto è difficile non volgere lo sguardo indietro, quanto è difficile alzare lo sguardo verso il cielo, quei gradini appaiono infiniti. E si desidera una porzione, seppur minima di cielo, una stella, la luna in una delle sue forme. Come quella luna che ho contemplato a lungo questa sera, una virgoletto nel cielo infinito, coperta a lungo da nuvole, un piccolo bagliore, ma era lì, rassenerante, concreta, reale, mutevole ma al contempo immutabile. Ferma immobile in quel cielo cosi oscuro lei resiste. Riflesso luminoso e nulla di più, ma comunque splendidamente deliziosa. 
E' bello osservarla. E' bello restare li a fissarla, lasciare che la serenità ti riempia tutto, la certezza che il cielo è li, devi solo pazientare, devi solo stringere i denti e faticare nel risalire uno ad uno quei gradini. Non ti voltare più indietro. Quello che hai lasciato alle tue spalle non ti è mai appartenuto o non ti appartiene più. Lascialo andare. Scrollati di dosso il dolore. Alza lo sguardo verso la luna. La soglia delle tredici lune si sta avvicinando, avrò frainteso, avrò voluto leggere quello di cui avevo bisogno. Non ne son servite cosi tanto se la cadenza pare essere trimestrale. Ulisse è andato e Penelope, la Penelope dei giorni nostri ha smesso di aspettare invano, eppure... Segue ancora la Luna mese dopo mese. In attesa.

martedì 13 ottobre 2015

Foto mal riuscita foto sbagliata


Ci sono foto e foto, questa foto l'ho scattata per caso, non programmata, non voluta, non studiata. Composizione discutibile, rumore senza fine, in post produzione ho cercato di renderla quando più possibile passabile, senza esserne riuscita poi molto eppure fatico a cancellarla, tant'è che mi sono ritrovata a stamparla su carta opaca e ruvida. Su carta prende vita, diviene un portento di emozioni. Su carta, lì tra le mie mani racconta storie e vite di passeggeri, controllori e macchinisti. Tra le mie mani su quella piccola foto 10x15 un fermo immagine senza arte ne parte si fa forte e urla a pieni polmoni di valere qualcosa. "E' solo una stazione", "E' solo una brutta foto" potreste dire voi, io vi dico che racconta una fermata. Una folle, alias me, che scende dall'auto e incurante dei divieti si apposta tra i binari dismessi, non perde tempo a impostare la macchina fotografica, semplicemente scatta. Ferma in un battito di ciglia un attimo. Semafori rossi. Sbarra chiusa. Voci negli altoparlanti. Una stagione vuota, un cielo prossimo all'oscurità. Alle mie spalle la luna mi osserva sbilenca in quella sua faccina con la boccuccia in una O evidente. A voi non dirà nulla a me emoziona questa foto sbagliata. Mi commuove quel rosso vivo, quel segnale silente di stop. Quell'urlo silente che mi esorta a fermarmi. E adesso respiro. Inalo aria cacciando indietro le lacrime che pungono come spilli negli occhi. Tirò su col naso. E' solo una foto mal riuscita. E' solo una foto sbagliata.

lunedì 12 ottobre 2015

Parole rubate e deliri soggettivi

«E poi c'è la lettera della notte, non si capisce come il petto possa allargarsi abbastanza e contrarsi per respirare quest'aria, non si capisce come si possa essere lontano da te».
Franz Kafka - Lettera a Milena, Praga, 5 VII 1920

E una lettera non è mai solo una lettera, una lettera è un insieme di parole, un insieme di parole sono un'insieme di significati e ogni singolo significato racchiude in se una moltitudine di emozioni soggettive e perché no? Delle volte anche oggettive, se chi legge lo sa fare con empatia. Ho smesso di scrivere lettere, farlo non ha mai avuto senso, non mi libero di nulla, sprigiono solo emozioni trascrivendole, ma non le libero, restano imprigionate sempre lì, regnano ribelli e guerrigliere dentro. Contrastanti. Incoerenti. Vivono. Ho smesso di scrivere in toto. Niente lettere, niente frasi, niente diari, niente parole, lascio che mi facciano impazzire giorno per giorno, come quelli che si iniettano il veleno dei serpenti per rendersi immuni al suo effetto. A qualcosa servirà, almeno credo.

«Entrò nel buio delle coperte e mi coprì tutto il corpo col suo. Stavo sotto di lei a tremare di felicità e di freddo. Le nostre parti combinavano una coincidenza, mano su mano, piede su piede, capelli su capelli, ombelico su ombelico, naso a fianco di naso a respirare solo con quello a bocche unite. Non erano baci, ma combaciamento di due pezzi. Assorbiva il mio freddo e la mia febbre, materie grezze che impastate nel suo corpo tornavano a me sotto peso di amore».
Erri De Luca “Il contrario di uno”

Ogni volta che leggo questo piccolo stralcio mi ritrovo a visionare una fotografia mentale talmente nitida da apparirmi palpabile, un fermo immagine, un ricordo, una emozione falsata, a senso unico, perduta, irreale. Un qualcosa che è accaduto realmente, concretamente, ma che celava inganno. Voler vedere e sentire quello che non vi è. Paraocchi dati da una felicità che non pensi di meritare, ma che invece meriti più di chi ti ha illuso, ha giocato, ti ha conquistato e gettato annoiato e senza emozioni.

«E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva».
Alessandro Baricco, “Castelli di rabbia”

Successivamente questa frase si susseguirebbe perfettamente in un filo logico abbastanza plausibile, certo se le favole esistessero, se la realtà fosse rosa e non del colore della merda lasciata per strada dal padrone maleducato di qualche cane. Eppure chi non si è accorto di aver perduto quella che era felicità? La mia era apparente, ma la vostra? Reale? Perduta? Alla deriva? 

«E quando finalmente trovi qualcuno su cui senti di poter riversare la tua anima, ti blocchi sconvolta dalle tue stesse parole: le hai tenute in quella piccola stretta oscurità dentro di te così a lungo, che sono arrugginite, brutte, banali, fiacche. Sì, l'allegria, l'autorealizzazione, lo stare insieme ci sono, ma la solitudine dell'anima, nella sua spaventosa autoconsapevolezza, è orribile, schiacciante».
Sylvia Plath, “Diari”

E quando trovi qualcuno con cui ti senti "a casa" le parole vengono fuori sin troppo facilmente, ma sono solo le tue parole, le parole a cui hai dato sempre tanta importanza, dopo, perdono valore, non hanno più alcun senso e per me è li che diventano brutte, è li che si arrugginiscono, ma non sono solo le parole a finire male, spariscono le emozioni, barricate dietro muri e filo spinato, intimorite e spaventate lasciano libere le parole false, brutte, disgustose. Liberano le emozioni dosandole e sprigionando liberamente solo quelle che ti fanno apparire brutta. Ritorno alle origini. Ritorno alla stronzaggine. Ritorno al buttarsi via, perché tanto lasciarsi andare non sarà più possibile. Il ricordo straziante di quella libertà brucia ancora, troppo vivido il dolore, troppo presente la paura. Non vale più la pena rischiare.

«È curioso il dolore. Il dolore più autentico si difende da se stesso elaborando frasi».
Daniel Pennac , “Signori bambini”

Il dolore vaneggia come me a quest'ora e il dolore adesso mi vorrebbe far urlare semplicemente un:

"SPARISCI!"

mercoledì 7 ottobre 2015

Potessero le mie mani sfogliare

Pronunzio il tuo nome 
nelle notti scure, 
quando sorgono gli astri 
per bere dalla luna 
e dormono le frasche 
delle macchie occulte. 
E mi sento vuoto 
di musica e passione. 
Orologio pazzo che suona 
antiche ore morte. 
Pronunzio il tuo nome 
in questa notte scura, 
e il tuo nome risuona 
più lontano che mai. 
Più lontano di tutte le stelle 
e più dolente della dolce pioggia. 
T'amerò come allora 
qualche volta? Che colpa 
ha mai questo mio cuore? 
Se la nebbia svanisce, 
quale nuova passione mi attende? 
Sarà tranquilla e pura? 
Potessero le mie mani 
sfogliare la luna!
Federico Garcia Lorca