martedì 30 giugno 2015

Fëdor Ivanovič Tjutčev

Ancora mi struggo per l'angoscia dei desideri,
Ancora l'anima mia ti desidera,
E nella tenebra dei ricordi
Ancora io rivedo il tuo volto...
Il tuo caro, indimenticabile volto 
Che è sempre, e ovunque, davanti a me,
Così inafferrabile, così immutato
Come una stella nel cielo notturno...
Fëdor Ivanovič Tjutčev


Non posso aggiungere nulla in più a ciò che Tjutčev non abbia già detto. E' folle, me ne rendo conto, dovrei lasciarlo andare, ma non ci riesco, quel volto è ancora lì sempre impresso in un fermo immagine costante nella mia mente. Ombra tra le ombre rischiarata dal candore giallognolo di un lampione distante. Luce perduta.

lunedì 29 giugno 2015

BGeek 2015

Avevo scritto questo articolo, ma i giornali pugliesi hanno ben pensato fosse meglio evidenziare solo le cose belle dell'evento che spera di ricalcare le orme di Lucca. A distanza di due giorni trovo doveroso pubblicare online e pubblicamente quello che dovrebbe essere un resoconto dettagliato condito da una denuncia che non dovrebbe passare in secondo piano. La critica e la denuncia dovrebbe spingere gli organizzatori a fare meglio il prossimo anno, quello perlomeno l'augurio e la speranza. 

ZeroCalcare, Manara e BGeek: disorganizzazione e attesa infinita.
Prima giornata ricca di eventi per la capitale Pugliese. Un nutrito numero di giovani e non più giovani si è riunito fuori ai cancelli del Palaflorio di Japigia per poter partecipare attivamente a quella che per molti rappresentava l’opportunità di poter conoscere autori e organizzatori di un piccolo mondo, finora, ben conosciuto altrove.
L’ingresso era programmato per le ore dieci, e già qui il primo intoppo della giornata, per una disorganizzazione o un mancato “aprite i cancelli”, l’apertura e l’accesso all’evento ha avuto luogo mezzora dopo l’orario definito e pubblicizzato in ogni dove. Tuttavia trenta minuti non sono realmente nulla una volta all’interno del Palaflorio dove si viene immediatamente accolti da gruppi di Cosplayer o di Giochi di ruolo dal vivo che ti invitano a partecipare attivamente o a conoscere il loro piccolo mondo fantasioso.
Lasciati loro alle spalle ci inoltriamo nel vivo dell’evento, gli stand sono tanti, tra gadget, manga, fumetti, banchetti informativi, corsi o presentazione e conoscenza di fumettisti nostrani si entra nel vivo dell’attesa. La prima fila la si inizia per poter ottenere l’autografo dei già noti ZeroCalcare, Pierz e Yoshiyasu Tamura. Dalle undici di questa mattina fino alle quattordici inoltrate la fila era ancora lì, piccoli passi in avanti e una fila che non pareva aver mai fine. Eppure tutti quelli che erano in fila hanno ricevuto l’autografo tanto atteso mentre chi non era interessato poteva partecipare attivamente ai vari eventi interni, workshop, laboratori, giochi da tavolo, videogames o il semplice e puro shopping compulsivo.
Dopo una breve e veloce pausa pranzo inizia il conto alla rovescia per l’incontro con uno dei più famosi fumettisti italiani: Milo Manara. Tutti cercano informazioni su dove, come e quando avverrà l’evento. Si creano file dove non vi è nulla, mentre altri continuano a fermare collaboratori interni (riconoscibili da magliette arancioni o rosse con inciso il logo dell’evento). Dopo un lungo peregrinare in giro come trottole impazzite ecco che la fila sbuca dove non dovrebbe, la mappa indica un altro luogo del Palaflorio, ma comunque giovani e meno giovani si mettono in fila come piccole formichine ordinate in attesa del loro turno. Passano le ore e la fila piano piano procede. Giunti nei pressi dell’ambito e sospirato uomo, un organizzatore poco cortese blocca la possibilità, a chi per tre ore è stato pazienza e in fila, di poter ricevere l’autografo del nostro più importante fumettista. Iniziano gli strepiti e i lamenti, chi si finge malato passa avanti quelli che hanno atteso, i collaboratori e le guardie chissà come ricevono l’autografo senza aver atteso tutto il tempo dei fan che pazienti hanno rinunciato anche alla pausa bisogni fisiologici per non perdere il loro posto. E gli organizzatori? Non li possiamo chiamare tali. Manara è in imbarazzo, vorrebbe continuare a firmare poster, albi o cartoline, guarda i poveri fan bloccati, ne osserva il disappunto, ma ha altri impegni, un convegno lo attende a pochi passi da dove si trova ora, eppure gli amici di, o i parenti di continuano a scattare foto con lui e ad ottenere l’autografo che altri hanno atteso invano.
Disorganizzazione dunque, senza troppi giri di parole, resta semplicemente una disorganizzazione. Bastava rispettare gli orari o rimandare di due ore il convegno. Bastava una transenna un’ora prima per bloccare l’ondata di fan desiderosi di conoscere l’icona del fumetto erotico italiano e tanto amato e conosciuto in tutto il Mondo. Bastava veramente poco per far felici un po’ tutti.
Tra i delusi della giornata la denuncia è grave e pesante. Un organizzatore o presunto tale pare essere stato la causa di tutto, ma più che incolpare un singolo penso sia doveroso incolpare tutti quelli che hanno creato un disordine senza precedenti. Ancora una volta l’italiano medio amante delle raccomandazioni ha vinto su chi, invece, armato di pazienza, ha visto sfumare un piccolo sogno.
Si spera che domani sia migliore tutto e che, dagli errori di oggi, possano imparare a gestire meglio le piccole crisi, gli intoppi e i malfunzionamenti organizzativi.

A voi la libertà di leggere e prendere atto di tutto ciò. A voi la libertà di crearvi una vostra opinione al riguardo. Per chi come me era lì, lo scontento non è stato registrato in maniera positiva, cosi come la maleducazione di taluni elementi poco inclini ai bisogni di chi ha pagato e atteso per ore di ottenere un piccolo autografo svolazzante. Di cose belle ce ne sono state, ma le critiche sono state altrettanto numerose non solo per quello da qui descritto.

mercoledì 24 giugno 2015

Ricordi di baci, salsedine e foto.

(Il bacio riflesso di Elliot Erwitt)

Questa foto mi è sempre piaciuta, tant'è che uno dei primi libri fotografici che ho acquistato è proprio di Erwitt, e ancora non avevo intrapreso quell'amore viscerale per la fotografia cosi come adesso invece sento. Tornando alla foto, devo ammettere che mi ha sempre fatto sorridere, mi ha sempre creato un momentaneo benessere, quasi una palpabile felicità. Il sorriso della donna, quella felicità e radiosità che il volto lascia intravedere cosi nitidamente, il mare da sfondo a un amore che mi piace immaginare, consolidato, ricambiato, mai incasinato o rifiutato. Nonostante lui appaia rigido nella posa quegli occhi chiusi mi fanno pensare che anche lui ricambi quell'amore e quella felicità immortalata in un attimo di intimità di coppia. Quella felicità io stessa l'ho vissuta, non corrisposta, ma non importa, ero felice, entusiasta, colma di amore per entrambi, ero viva. Semplicemente viva. E anche uno dei primissimi baci in concomitanza della mia prima foto scattatagli aveva come sfondo il mare. Una panchina, delle barche attraccate, un piccolo porticciolo, la sera, un lampione e un'ombra appena rischiarata nei contorni che ormai conosco a memoria, seppur debba tracciarli, solo nella mia memoria. 
Ricordi di baci, salsedine e foto sotto un lampione dalla flebile luce

Tonino Carotone - Me Cago En El Amor


È un mondo difficile
E vita intensa
Felicità a momenti
E futuro incerto
Il fuoco e l'acqua
Concerto e calma
Sonata di vento
E nostra piccola vita
E nostro grande cuore
 
Porque voy a creer yo en el amor
Si non me entiende no me comprenden tal como yo soy
Porque voy a creer yo en el amor
Si me traiciona y me abandona cuando major estoy
No sabemos muy bien entre tu y yo
Y aunque parezca no tienes la culpa la culpa es del amor
 
È un mondo difficile
E vita intensa
Felicità a momenti
E futuro incerto
 
No puedo convencer a mi corazon
Si yo no dudo y estoy seguro que el tiene razon
No voy a asesinar esa sensacion
Si yo la quiero yo la deseo aunque me dè dolor
Yo no quiero sufrir pero aquì estoy
Y estoy sufriendo y no me arrepiento me cago en el amor
 
È un mondo difficile
E vita intensa
Felicità a momenti
E futuro incerto
Il fuoco e l'acqua
Concerto e calma
Sonata di vento 
E nostra piccola vita
E nostro grande cuore
 
Porque voy a creer yo en el amor
Si non me entiende no me comprenden tal como soy yo
Porque voy a creer yo en el amor
Si me traiciona y me abandona cuando major estoy
No sabemos muy bien entre tu y yo
Y aunque parezca no tienes la culpa la culpa es del amor
Yo no quiero sufrir pero aquì estoy
Y estoy sufriendo y no me arrepiento me cago en el amor
 
Me cago en el amor
Vita mia
È un mondo difficile

martedì 23 giugno 2015

Marco Masini - Il bellissimo mestiere


L'amore, 
sono incazzato con l'amore 
e tu non c'entri amore mio
tu con quell'altro, 
chi vi ha ratto incontrare 
e innamorare, so chi è. 
È l'amore, l'amore 
e il sesso, degno suo compare, 
che ci spiavano, lo sai, 
da quello specchio, 
quella specie di altare, 
dove ci guardavamo 

ore, ore e ore, 
senza bere né mangiare, 
senza neanche respirare, 
solamente far l'amore, 
senza neanche andare in bagno 
per non risvegliare il sogno, 
su quell'isola di un letto, 
e ora che è finito tutto... 

Amore, amore, 
sono incazzato da morire, 
ma con l'amore e non con te, 
perché ti odio 
così teneramente, 
che anche un cieco lo vede, 

t'amo disperatamente, 
si può esser più coglioni, 
piango come un deficiente, 
mentre ascolto le canzoni, 
e tutto questo quel bastardo, 
lui non me l'aveva detto, 
che si soffre come un cane 
quando se ne va l'effetto, 

ma lui, l'amore, l'amore, [L'amore...] 
fa sempre quello che gli pare 
e noi paghiamo, amore mio, 
tu sei un foglio 
sotto un'altra matita 
e io scrivo su un'altra 

vita disperatamente
più maturo e più coerente, 
mi è caduto addosso un muro 
e non mi sono fatto niente, 
ma cosa vuoi più da un amore 
che fa piangere e incazzare, 
ma che in fondo fa soltanto 
il suo bellissimo mestiere, 
cioè l'amore!

Lasciati andare

«Io sono, si perdoni la metafora, un sepolcro ambulante, che porto dentro di me un uomo morto, un cuore già sensibilissimo che più non sente».
Giacomo Leopardi

Leopardi mi è sempre piaciuto sin dal liceo, nonostante il nostro averci impiegato più di quattro mesi per studiarlo sviscerando fino in fondo ogni minima parola da lui scritta. Analizzare quello che i più definiscono pessimismo cosmico, ma che ai miei occhi non è mai stato nulla di più della semplice esternazione di un profondo dolore mai del tutto metabolizzato, ma alla fine chi metabolizza veramente il dolore? Il dolore ce lo portiamo dietro fino alla fine dei nostri giorni, fingiamo che vada tutto bene, lasciamo che la vita torni a seguire i propri ritmi e alla meglio cerchiamo di seguire gli eventi che il fato, il destino, la vita stessa o quel che vi pare, ci pongono dinanzi. Torniamo ad eseguire quasi meccanicamente cose che pensavamo di non poter più fare, ma le facciamo con la consapevolezza che qualcosa dentro si è spento, le compiamo pur essendo totalmente privi di emozioni differenti da quello che ha scaturito quell'assenza di emozioni o di sentimenti. Frequentemente ci verrò detto: "Lasciati andare". Ci provi, ma qualcosa dentro torna a bloccarti, quella paura di stare male o semplicemente perché ti ritrovi svuotato completamente di tutto quello che hai investito altrove. Scuoti la testa, palesi apertamente, senza menzogne, la difficoltà che percepisci nel lasciarti andare, nel semplice atto naturale di sentire emozioni. Sei incapace di sentire qualunque cosa che trascenda quell'oscurità. Non senti più nulla, ma insisti ad andare avanti, insisti testardamente nel credere che la situazione con un po' di pazienza e tempo potrà mutare, e passano i rospi uno dietro l'altro e tu non riesci a sentire nulla, nemmeno lo schifo che mentalmente sai di dover provare. Niente. Non senti più nulla. Hai lasciato indietro quello che l'involucro conteneva. Sei nulla. Sei un vuoto oscuro che non sente più nulla.

sabato 20 giugno 2015

I Will Survive



At first I was afraid, I was petrified
Kept thinkin' I could never live
Without you by my side
But then I spent so many nights
Thinkin' how you did me wrong
And I grew strong, and I learned how to get along

And so your back, from outer space
I just walked in to find you here
With that sad look upon your face
I should've changed that stupid lock
I should've made you leave your key
If I had known for just one second
Yoùd be back to bother me

Go on now go, walk out the door
Just turn around now, 'cause yoùre not welcome anymore
Weren't you the one who tried to hurt me with goodbye
You think I'd crumble? You think I'd lay down and die?
Oh no not I, I will survive
Oh as long as I know how to love I know I'll stay alive 
I've got all my life to live; I've got all my love to give
And I'll survive, I will survive
Hey, Hey!

It took all the strength I had not to fall apart
And trying hard to mend the pieces of my broken heart
And I spent oh so many nights just feeling sorry for myself
I used to cry, but now I hold my head up high
And yoùll see me, somebody new
I'm not that chained up little person
still in love with you
And so you felt like droppin' in
and just expect me to be free
Now I'm savin' all my lovin'
for someone whòs lovin' me

Go on now go, walk out the door,
Just turn around now, 'cause your not welcome anymore
Weren't you the one who tried to break me with goodbye
You think I'd crumble? You think I'd lay down and die?
Oh no not I, I will survive
Oh as long as I know how to love I know I'll stay alive
I've got all my life to live, I've got all my love to give
And I'll survive, I will survive. Oh

Go on now go, walk out the door,
Just turn around now, 'cause your not welcome anymore
Weren't you the one who tried to break me with goodbye
You think I'd crumble? You think I lay down and die?
Oh no not I, I will survive
Oh as long as I know how to love I know I'll stay alive
I've got all my life to live, I've got all my love to give
And I'll survive, I will survive, I will survive

It took all the strength I had not to fall apart
And trying hard to mend the pieces of my broken heart
And I spent oh so many nights just feeling sorry for myself
I used to cry, but now I hold my head up high
And yoùll see me, somebody new
I'm not that chained up little person
still in love with you
And so you felt like droppin' in
and just expect me to be free
Now I'm savin' all my lovin'
for someone whòs lovin' me

Go on now go, walk out the door,
Just turn around now, 'cause yoùre not welcome anymore
Weren't you the one who tried to hurt me with goodbye
You I'd crumble? D'you think I'd break down and die?
Oh no not I, I will survive
Oh as long as I know how to love I know I'll stay alive
I've got all my life to live; I've got all my love to give
And I'll survive, I will survive, I will survive

Il tuo modo d'amare

Il modo tuo d’amare - Pedro Salinas
Il modo tuo di amare è
lasciare che io ti ami.
Il sì con cui ti abbandoni
è il silenzio. I tuoi baci 
sono offrirmi le labbra
perché io le baci.
Mai parole o abbracci 
mi diranno che esistevi
e mi hai amato: mai.
Me lo dicono i fogli bianchi, 
mappe, telefoni, presagi;
tu, no.
E sto abbracciato a te
senza chiederti nulla, per timore 
che non sia vero
che tu vivi e mi ami.
E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire
con domande, con carezze,
quella solitudine immensa
d’amarti solo io.

venerdì 19 giugno 2015

Piccole gocce di essenza invisibile perdute

«Dalla stessa apertura da cui entra l’amore, s’intrufola la paura. Quel che ti voglio dire è che se sarai in grado di amare molto, soffrirai anche molto».
Isabel Allende, “Il quaderno di Maya”


E mi rendo conto che è vero, una volta che apri quella famosa porta, che ti apri totalmente con qualcuno, non l'amore sopraggiunge anche la paura e la paura è un'infame puttana di prim'ordine, se ne sbatte altamente se in quel momento sei felice, vuole alimentarsi di lacrime, ansie e dolore. Si sbaglia e si creano incomprensioni che sembrano voragini insormontabili. Un accumularsi di queste voragini, di queste crepe porta necessariamente ad allontanarsi (non che sia solo quella la causa, ma una buona percentuale di colpa ce l'ha anche la paura e le conseguenze che crea). Ti ritrovi, quindi, a dover chiudere quella porta nella speranza che la paura se ne sa andata, ma quella stronza non se ne va mai e torni ad essere per altri un libro aperto nella tua difensiva chiusura e ti perdi la semplicità del lasciarsi andare senza pensieri, perché i pensieri che ti crea la paura, intanto, ti martellano costantemente le tempie. Le frasi che si formano in testa sono tra le più svariate. Glissi le domande troppo personali, eviti le risposte domandando a tua volta o zittisci in qualunque modo chi hai dinanzi per non portarti ad esporti più di quel che per te è dovuto. In questo momento, in questo attimo di totale chiusura mi sto ammazzando. sto letteralmente impazzendo e mi sto perdendo il nulla che qualcosa di buono o decente potrebbe darmi, seppur in piccole gocce di essenza invisibile.

Dov'eri?

Dov'eri?
Quando sentivo il bisogno di vederti
dov'eri?
Quando riflettevo nei miei pensieri
e vedevo che tu c'eri
dov'eri?
Mentre camminavo per le strade
sotto la pioggia
in quelle sere tristi
dov'eri?
Quando la speranza e l'attesa
mi dedicavano solo illusione
tu…
tu dov'eri?
Mahmoud K. Shahmirzadi

giovedì 18 giugno 2015

John Doe

«Dunque, d’ora in poi parlerò ogni notte. Con me stessa. Con la luna. Passeggerò, come ho fatto stasera, gelosa della mia solitudine, nell’argenteo livido della fredda luna, che splende facendo brillare una miriade di scintille sui cumuli di neve appena caduta. Parlo da sola e guardo gli alberi scuri, beatamente neutrali. Molto più facile che affrontare gli altri, che dover sembrare felice, invulnerabile, brava. Senza la maschera, cammino parlando con la luna, con la forza neutrale e impersonale che non ascolta, ma si limita ad accettare la mia esistenza».
Sylvia Plath, “Diari”


E come la Plath ho ritrovato il piacere dell'uscire di notte, del passeggiare sola con una compagnia silente per le viuzze della mia città. La scorsa notte mi ha trovata impreparata la pioggia, ma è stato piacevole lasciare che la pioggia scivolasse sui capelli, sul viso, sui vestiti. Gettare la maschera, aprirsi con chi hai lasciato indietro quasi un anno fa e che hai ritrovato con sommo piacere. Pioggia come fonte battesimale. Pungente l'aria. Profumo di terra bagnata e di una sigaretta accesa e aspirata. Per la prima volta mi sono sentita totalmente a mio agio, senza la preoccupazione di dovermi far conoscere, mi si conosceva già. C'era nel prima e c'è adesso nel dopo. Resto la stessa seppur in parte modificata, ma vengo finalmente capita. L'empatia era palese e fa bene, devo proprio ammetterlo, fa bene essere capiti, sapere che chi hai di fronte comprende appieno come ti senti. Un John Doe è per sempre!

mercoledì 17 giugno 2015

Ludwig Van Beethoven

ETERNAMENTE NOI
Mi guardi negli occhi e mi dici che
non hai mai parlato con una come me,
vedo le cose come le vedi tu,
ragiono sì con la testa ma c’è sempre un pezzo di cuore più grande nei miei ragionamenti,
ci sentiamo così simili,
ci sentiamo così soli,
siamo lontani da ciò che desideriamo..
però al tempo stesso sappiamo esattamente cos’è quello che vogliamo:
abbiamo le nostre idee ed anche se dobbiamo remare contro tutti per portarle avanti
lo facciamo lo stesso, senza arrenderci ma solo arrabbiandoci,
ribellandoci a tutti, per difendere ciò in cui crediamo.
La parola che conosciamo meglio è: libertà,
si incontreranno mai le nostre libertà?
Io rinuncerei alla mia,
per stare nella stessa gabbia con te,
e tu? Tu lo faresti?
Lettera all’Immortale Amata di Ludwig Van Beethoven

The End


Non conoscevo questa di Battisti, l'ho trovata per caso girovagando su youtube alla ricerca di nuove canzoni da poter integrare o con le quali sostituire alcune del mio lettore mp3 che stanno divenendo insentibili per quello che mi creano dentro. La prima cosa che ho pensato è stata "Mi piacerebbe che me la si dedicasse", utopia. Chi mai potrebbe dedicarmi una canzone che parla di amore? Io non sono quella d'amare, io sono quella con la quale passare qualche serata, un paio di mesi al massimo e poi via, avanti la prossima. Ci si abitua anche a tutto ciò, si abitua ad essere quella che non farà scrivere poesie, canzoni o romanzi. Non sono una donna da amare a lungo, attraggo come una luce attrae le falene, ma poi puff l'attrazione iniziale passa, lascia che torni il bisogno di cercare altro, qualcosa di diverso, di più potente, una droga emotiva che non riesco a trasmettere o donare. E lo so, la colpa non è detto che debba essere da imputare solo a me, ma oggi va cosi, e mi va bene, perché non ci sono più aspettative, non c'è più emozione, vivo come un'automa senza emozioni, va bene cosi. Ben venga l'essere il nulla, un bagliore a tempo. Il resto lo lascio a chi ci crede. Io ho smesso. Ho smesso di credere nelle favole. La favola l'ho avuta, una parvenza perlomeno, ma non aveva il lieto fine, non era destinata, non ero io quella che doveva scrivere la frase The End!

domenica 14 giugno 2015

Vivo arrancando e inciampando, ma vivo.

Per un periodo della mia vita non ho fatto altro che pensare a lui, a lui che si addormentava con un’altra, a lui che la faceva ridere, godere; a lui che aveva sempre qualcosa di interessante da dire così diverso da me che invece non ho argomenti. Per un periodo della mia vita piuttosto lungo (tanto che ad un certo punto più che un periodo mi sembrava la mia vita) non facevo che pensare a come sarebbe stato toccarlo di nuovo dopo tanti mesi, non facevo che pensare a come sarebbe stato chiamarlo e chiedergli di vederci per un caffè. Io odio i caffè, ma per sentirmi ancora come mi sentivo quando mi guardava ne avrei presi parecchi, e me li sarei fatti anche piacere. Per un periodo della mia vita non facevo che piangere ed è stato assurdo perché io piango raramente, soprattutto non sono il tipo che piange per amore. Ma per lui ho pianto tanto: la mattina appena sveglia, prima di entrare a lavoro, in pausa pranzo, prima di cena, dopo cena, prima di dormire. Piangevo tantissimo e le persone non mi chiedevano nemmeno più niente, perché altrimenti ricominciavo a piangere. E’ stato un periodo di quelli che ti fanno credere di non avere abbastanza forza per reagire, di quelli che ti fanno dire agli amici “non ce la faccio”, di quelli che ti fanno pensare che sarebbe bello se la notte e il vino non finissero mai; di quelli che o diventi una dura o crolli. Io stavo per crollare, ne sono quasi sicura, poi un giorno mi sono cambiati i pensieri. No, non ho smesso di pensare a lui. Non ho mai smesso, perché lui è lui e anche se non mi ha mai amato io l’ho amato tanto e non sono il tipo che sta attenta a certi dettagli come l’essere ricambiati o meno: per me il nostro è stato un grande amore.
Un giorno mi sono cambiati i pensieri. C’era un sole che emanava il giusto calore, era quasi come trovarsi in un abbraccio, e c’erano pochi fiori qua e là. Mancavano due ore al momento in cui sarei uscita da lavoro e dopo (l’avevo programmato mentalmente fin dalla mattina) sarei andata a fare una passeggiata nel parco che c’è vicino casa mia. Quel giorno in cui mi sono cambiati i pensieri ero euforica, perché invece di ripetermi “senza di lui non sarà lo stesso” quel giorno mi rimbombava in testa questo: “tra poco farò una passeggiata, amore o non amore, con lui o senza di lui”.
E la feci, eccome se la feci. Tornai a casa alle nove e da quella sera in poi ogni cosa che ho fatto l’ho fatta “amore o non amore”, perché chi non ha l’amore ma ama vive in una sorta di torpore che gli fa smettere di fare le cose. Prima di quel giorno io non facevo più niente. Non mi compravo un vestito da secoli, non mi truccavo da mesi, non leggevo più, non ascoltavo più la musica, non mi spazzolavo i capelli e quando dovevo fare la doccia soffrivo, perché sotto la doccia mi veniva da piangere. A darmi lo smalto mi veniva da piangere. A preparare una torta mi veniva da piangere. Ci ho messo tanto tempo, ma alla fine l’ho capito: l’unica cosa da fare quando qualcuno non ci ama è fare delle cose. Le stesse cose che abbiamo sempre fatto, le stesse identiche cose, perché amore o non amore domani potrebbe essere una bella giornata.
Basta viverla.
Susanna Casciani.


Personalmente sono ancora nel mio personale limbo emotivo, compio automaticamente ogni gesto che facevo anche prima, lo ammetto mesi fa mi risultava difficile fare qualunque cosa, perché piangevo e piangevo e piangevo anche io senza sosta. Portare il cane a spasso era doloroso, andare in palestra mi faceva male, leggere mi risultava difficile, ma comunque facevo tutto. Ho cucinato, lavorato, pulito, sistemato, mi sono tenuta in forma, ho mangiato anche se non avevo fame, mi sono messa lo smalto, lavato, asciugato e acconciato i capelli seguendo i miei soliti tempi, lo faccio ancora e continuerò a farlo, cosi come non potrò impedire alle lacrime di scendere se ne avranno voglia o se ascolto una canzone o se mi ritrovo a parlare di lui con un amico o un'amica. Non posso impedirmi di pensarlo costantemente o di amarlo. Non posso impedirmi, però di vivere. Ho ricominciato ad uscire, poco, ma comunque ho iniziato a farlo e se all'inizio scappavo e inventavo scuse assurde adesso resisto fino a fine serata, mi diverto anche in determinati frangenti, sorrido o rido a seconda del momento o di quello che ne ha scaturito l'essenza. Mi costringo a vivere step by step, senza darmi fretta, senza crearmi false aspettative. Oramai non mi aspetto più nulla da niente e da nessuno. Ho baciato, accarezzato e sonnacchiato esausta dopo una lunga giornata e una lunga chiacchierata tra altre braccia. Ho mangiato uno yogo e ho imboccato un amico col mio stesso cucchiaino, e chi credeva che potesse accadere? Ma vivere è anche quello, condividere con gli amici o con chi ci sta affianco in un determinato momento le piccole cose, che sia una carezza, una lacrima, una parola, un silenzio, uno yogo o qualunque altra cosa, va bene. Sto semplicemente vivendo, inciampo ancora, continuerò a farlo. Amerò ancora non amando, ma va bene cosi, perché sono cosi, io sono cosi e non posso cambiare chi sono o cosa sento o non sento. Vivo, sbagliando oppure no, ma comunque vivo. Non sto bene, sia chiaro, per il 90% del tempo sto letteralmente di merda, ma va bene cosi, c'è quel 10% che mi fa sperare che potrebbe arrivare quella scossa da shock acuto che mi faccia ridestare del tutto.

sabato 13 giugno 2015

Lettera n°65

Come stai? Ho un po’ di difficoltà nel lasciare che le parole vengano fuori come dovrebbero o vorrei. Sono trattenuta. Non voglio lasciare che l’impulsività prenda il sopravvento, cosi come non voglio che lo stesso avvenga con la ragione. Mi trovo a non sapere bene cosa scrivere e lo so che probabilmente potresti pensare “sii te stessa”, ma non è facile, non lo è se esserlo comporta venire meno alle promesse che mi sono fatta o che implicitamente ho fatto pensando a te.
Ho promesso che ti avrei lasciato andare cosi da darti la libertà, il tempo e la possibilità di essere veramente felice, di poter trovare quello che veramente vuoi, darti la possibilità di innamorarti veramente. Ho promesso a me stessa che mi sarei fatta da parte, che ti avrei amato, nonostante tutto, perché non dipende da me quello che sento per te, c’è e non posso fingere semplicemente che non ci sia o non ci sarà ancora. Ho detto più volte che non avrei voluto perderti dalla mia vita, ma mi rendo conto che al momento, per quello che ancora nutro nei tuoi riguardi, averti nella mia vita come amico o chissà cosa, penso sia sbagliato per me. Non voglio stare male più di quanto non lo sia ancora oggi e non voglio che tu stia male a causa mia, seppur in maniera riflessa. Non è giunto, probabilmente, ancora il momento per essere quella donna matura a sufficienza da poter mettere da parte se stessa e quello che sente per non perdere chi le ha sconvolto, in bene e in male, l’esistenza. Spero che queste parole non vengano fraintese, le ultime volte che ti ho scritto mi è sempre sembrato che tutto quello che abbia scritto sia stato solo parzialmente compreso. E lo capisco. Comprendo appieno la mente umana, so che detesti essere psicanalizzato, ma io non sono come te, ho bisogno di comprendere, di indossare panni non miei per capire e nei tuoi panni mi ci sono messa per capirti. Non ce l’ho con te. Non ti odio, non avrebbe senso farlo. Spero veramente che tu sia felice, nonostante non sia io la fonte di quella felicità e mai lo sarò, cosi come spero tu stia bene veramente, non solo di salute (spero che il problema che hai avuto, qualunque esso sia stato, sia passato). In bocca al lupo per tutto.
Ti penso sempre. 

P.S: non occorre dirti che c’è altro, ma leggerai tutto tra le righe. In fin dei conti sono sempre stata un libro aperto per te. 

giovedì 11 giugno 2015

"Come stai?"

«La domanda più indiscreta, più insolente, più insoffribile, e la più comune anche, la più poliglotta, la più persecutoria, al telefono e faccia a faccia, la domanda che mette alla tortura chi ama la verità perché la si formula per avere in risposta una miserabilissima bugia è COME STAI? »
"La fragilità del pensare" di Guido Ceronetti

Penso che non tutti pongano questa domanda per ricevere una bugia in risposta. Taluni, pochi in realtà, magari ci sperano in un "Sto bene" oppure nell'ammissione di un dolore di cui conoscono già l'esistenza. Personalmente da un po' di mesi a questa parte quando mi pongono questa domanda, mi ritrovo a rispondere nei modi più vaghi concessi dalla lingua italiana, cerco scappatoie o evito la domanda portando l'argomentazione a sfiorare altri temi che vadano ad escludere me come centro di interesse. Come sto io è irrilevante, lo so io e lo sanno quei pochi, pochissimi, che mi conoscono, si mente per non fare del male a chi ci vuole bene, si finge senza ritegno perché è sempre stato cosi e sempre lo sarà. Eppure un "Come stai?" io vorrei porlo a qualcuno e vorrei che mi si rispondesse in tutta sincerità "Sto bene!", senza menzogne o finzioni, solo un benessere vero. Una sorta di conquista a tutto quello che ha comportato quella domanda, il distacco, il silenzio, la freddezza, i muri, il filo spinato e quelle mine anti uomo posizionate strategicamente assieme ad un rilevatore di intrusi. Chiusura necessaria e persistente tanto quanto quella domanda che da troppo invade la mente. Prima o poi avrò il coraggio di porla, prima o poi ne avrò le forze, prima o poi la paura del dolore mi lascerà vivere serenamente o dignitosamente, ma adesso no, prima o poi...

martedì 9 giugno 2015

Continuerei a perdere tutto

«Eppure, se avessi potuto ricominciare da capo, ero sicuro che avrei rifatto le stesse identiche cose. Perché quello ero io: quella vita in cui continuavo a perdere tutto».
Haruki Murakami

Già, se esistesse una macchina del tempo e mi fosse data la possibilità di mutare qualcosa, dubito fortemente che cambierei l'evolversi del tempo. Qualunque cosa io abbia detto, fatto o pensato fa parte di me. E' un pezzo di me, sempre e comunque. Sfaccettature di mille colori e intensità che, comunque, compongono un puzzle che porta il mio nome. Con molta probabilità vivrei tutto ancora e ancora una volta così com'è giusto che vadano le cose, perché in quel momento era quello che sentivo, pensavo o volevo dire. Non muterei assolutamente nulla, nemmeno quel dolore che doso in piccole parti nella malsana speranza che possa affievolirsi e fare meno male se dovessi lasciarlo entrare totalmente in tutta la sua furia. Nel mio non sapere so molte cose: so che dovrei scrivere, so che dovrei aprirmi totalmente, so che non dovrei isolarmi come sto facendo, so che dovrei smetterla di chiudermi in me stessa, so che dovrei mettere da parte il dolore e l'amore e andare avanti, so che dovrei odiare o amare ancora di più. So che non voglio, tra il dovere e il volere il secondo vince. Io non voglio. Non voglio modificare nulla, non voglio rimproverarmi di nulla, non voglio trovare scuse, non voglio più censurarmi, non voglio più lasciare che il nulla e il vuoto prevalgano, non voglio più queste lacrime che mi bagnano il viso, non voglio più sfiancarmi per sopperire o riempire ciò che non si riempie. Non voglio più mangiare perché non ha più senso farlo, non voglio più vivere come sto vivendo, se questo si può definire vivere. Non voglio più amarti e odiarti e stare male, non voglio più giustificarti e non voglio più dire "Va bene, è giusto che sia cosi". No! Non è giusto proprio per nulla. Fa schifo! La verità è che è tutto uno schifo. Io, tu e quello che è stato. L'idea che hai di me e l'idea che ho di te fa schifo. Il dolore fa schifo. Questi chili che non volevo fanno schifo come facevano schifo le ossa in bella vista. Fa schifo la schiena curata e allenata perché non è quella schiena dipinta, fa schifo il ventre vuoto e fanno schifo le bugie. Fa schifo vederti e faccio schifo io a starci male. Fa tutto schifo, ma non cambierei nulla se potessi, perché è cosi che deve e doveva andare, qualunque cosa potrei mutare, la fine sarebbe sempre e solo la stessa: da schifo.

Conseguenze

Quando all’animo sensitivo è inferta una ferita profonda, che però non uccide il corpo, l’animo si riprende quando il corpo guarisce. Ma solo apparentemente. In realtà, è solo il meccanismo delle abitudini che torna in funzione. Lentamente, molto lentamente, la ferita dell’anima inizia a farsi sentire, come un livido che solo lentamente fa affiorare un dolore intenso, fino a riempire l’intera psiche. E quando si pensa di essere guariti e di aver dimenticato, è allora che ci si imbatte nelle conseguenze più terribili.
D. H. Lawrence

Mio malgrado devo annuire con l'affermazione di Lawrence, mi pare di averne scritto in abbondanza nei post precedenti, la valanga prima o poi ti travolge e non puoi fare assolutamente nulla se non seppellirla o lasciarti seppellire, nessuna pala esterna può aiutarti lì dove tu stesso devi prima di tutto porre rimedio. Le conseguenze più nefaste sono sempre li in agguato, a braccetto con la paura, quella lì ha sempre amici pessimi, mai una volta che si accompagna a qualcosa di positivo. Ci si illude di poter tenere a bada il tutto, che tutto sia finito, che quel dolore possa essersene andato senza troppi danni e invece e lì. E' sempre rimasto lì, nessuno lo ha schiodato dal suo posto. Educato e paziente ha atteso che giungesse il suo momento, il tempo non lo spaventa, non ha paura di nulla il dolore, perché sa che giungerà la sua fine solo quanto si sarà del tutto estinto, ma il dolore è immortale, il dolore resta sempre, diminuisce, si affievolisce, ma non muore mai. Il dolore è un fottuto vampiro succhia felicità illusoria e non. Il dolore ha un nome, un volto, una particolarità. Il dolore ha un numero, una data. Il dolore veste le sembianze di chi ha inflitto la ferita, ma per un paradosso non puoi odiarlo, non ci riesci per quanto tu possa forzarti, non è proprio possibile farlo, perché quel dolore nasce sempre da una ferita che era amore puro, semplice amore. E come si potrebbe odiare qualcosa di bello come l'amore? Nonostante il dolore, chi ha il coraggio di odiarlo? Paradosso. E' solo un paradosso. Intanto io ancora lo nascondo il dolore, lo seppellisco, lo ignoro, non troppo bene, lo ammetto, ma confido nella speranza che magari si dimenticherà di me. Dimenticherà di venire a riscuotere il mio debito nei suoi confronti. Intanto speriamo che la prima delle conseguenze non si stia già mettendo in moto.

lunedì 8 giugno 2015

Ciò che seppellisci o da cui scappi è sempre dentro di te.

"Tutto ciò che stai sopportando... Non dovresti proprio sopportarlo. Dovresti sentire tutto. Dovresti sentirti dispiaciuta, smarrita, piena di dolore. E' normale."
"Non lo è affatto"
"Lo è. E' normale, invece. Non lo è per te perché è la prima volta. E invece di sentirti dispiaciuta, invece di provare dolore, hai spento i sentimenti e assumi droghe invece di... Invece di provare dolore, stai scappando via. Tu... Invece di avere a che fare con l'essere feriti, tristi e soli e spaventati da questo orribile senso di vuoto che regna qui, sono scappato. Sono letteralmente scappato. Mi sono arruolato per un'altra missione. Noi ci comportiamo cosi. Noi scappiamo. Ci curiamo. Noi facciamo tutto ciò che possiamo per insabbiare tutto questo dolore. Ma non è normale. Dovremmo sentirlo. Dovremmo... Amare e odiare e provare dolore. E provare dispiacere. E... sentirci a pezzi. E sentirci distrutti... Ci rimettiamo in piedi, per poter essere distrutti un'altra volta. Ma è la vita umana. E' il cerchio della nostra vita. Ed è essere vivi. Ed è proprio questo lo scopo. Solo questo. Non evitarlo. Non eliminarlo." - Grey's Anatomy

E' vero, invece di sentire che un dolore occupa tutto il nostro essere, ci ritroviamo a scappare, seppellirlo o fingere che esso non è mai sopraggiunto, non è mai esistito. Riempiamo la nostra vita delle cose più disparate, delle persone più assurde o normali  come se ne avessimo effettivamente bisogno, semplici palliativi e nulla di più, cerotti messi su una ferita non rimarginata e che senza le dovute cure non rimarginerà mai, anzi, se lo farà ci lascerà un segno indelebile, una cicatrice dolorosamente brutta e sensibile agli sbalzi di temperatura. Il problema, il fulcro del dolore non sarà sparito d'un colpo, resterà sempre lì, pronto a riaffiorare al primo rilassamento delle membra, al primo svuotamento di mente eccolo che riaffiora forte come prima, devastante e terribilmente doloroso. Sopportare quel vuoto creato, quella mancanza insostituibile, affrontare quel dolore seppellito per un lungo periodo, sopportare il peso di chi hai fatto accomodare nella tua vita e da cui ti sei allontanata senza percepire il minimo dolore o rimorso, con la consapevolezza che fossero solo passatempi con cui occupare un po' del tempo morto avanzante. Rendersi conto che tutto quello che hai fatto, in fin dei conti non è servito a nulla se non ad accrescere ulteriormente quel vuoto e quel dolore. E la paura di dover affrontare ancora e ancora una volta tutto dall'inizio ti paralizza. Smetti di vivere e di esserci. Come un'automa agisci, ma non ci sei. Non ci sei più. Chi sei? Dove stai andando? Cosa vuoi dalla tua vita? Domande a cui non hai più alcuna risposta perché quella che daresti d'istinto ti condurrebbe nelle braccia del dolore. Taci, ti distrai. Torni a riempire il nulla con altro nulla. Il tempo scorre e te ne freghi altamente del suo stesso scorrere e del suo fregarsene del tuo restare indietro. Non ti importa più nulla, perché dovrebbe? Stai scappando. Hai seppellito il dolore. Lo stai evitando come in passato si evitavano gli appestati. Scappi a gambe levate e ti richiudi nella tua piccola bolla di nulla che, come una coperta di Linus, ti offre la protezione di chi è venuto meno e ha creato tutto questo... Dolore.

domenica 7 giugno 2015

Nulla

Più del sentire troppo è il non sentire nulla che dovrebbe atterrire. Ci lasciamo spaventare da quello che meno viviamo rispetto quello che più conosciamo. Conoscere è una parola probabilmente erronea in questo contesto, in quanto la conoscenza del nulla resta effimera o superficiale. Eppure io stessa avrei preferito vedere, in tutti questi mesi, la pancia gonfiarsi come un palloncino colmo di elio piuttosto del percepire il nulla che tanto ben conosco o, per essere coerenti e veritieri, ho vissuto per più tempo. Fa schifo questo nulla, ma per me resta necessario. La finzione ha una fine. Getto le maschere e mi lascio andare al nulla, senza paura, senza emozione, solo un nulla senza fine. Un nulla privo di braccia, emozioni contrastanti, dualismi o qualunque cosa che da sempre, oltre il nulla, accompagna il mio personale tempo su questo Mondo. Abbraccio il nulla, lo stringo nella sua più effimera e bastarda forma senza forma. E' solo il nulla, niente di più del semplice nulla.

venerdì 5 giugno 2015

Perdita, vuoto e chiusura.

«Chi rimane immischiato nella passione amorosa,
cerchi di tirarsene fuori prima di rimanerci immischiato;
perché non troverà altro che follia,
secondo l’universale giudizio dei sapienti;
e se anche non si impazzisce come Orlando,
la pazzia sarà comunque manifesta in altro modo.
C’è forse un sintomo più evidente di pazzia
che perdere sé stessi nella ricerca di altri? ».
Ludovico Ariosto, “Orlando Furioso” – Perifrasi Canto 24.

Ed io mi ritrovo ad aver perso la parte più bella di me stessa. mi ritrovo ad aver perduto l'input e la voglia di digitare o formare parole. Ho perduto quello che mi rendeva viva e degna di interesse almeno per me stessa. Ho perduto quello che mi faceva stare bene nonostante il dolore che poteva scaturire dallo scrivere sotto uno stato d'animo x. 
Perduta o vuota. Chiusura. Sì, sono totalmente pregna nel mio periodo massimo di chiusura. Come una persona affetta da chissà quale malattia che ti porta ad essere completamente isolata da tutto perché qualunque cosa potrebbe crearti dolore, malattia, lacrime o morte. Chiusura. Devo ritrovarmi e per farlo non ho bisogno di elementi esterni che mi facciano perdere di vista quello che dall'inizio non avrei dovuto perdere: me stessa.