domenica 27 settembre 2015

Un niente con data di scadenza

Sto letteralmente ottenebrando i pensieri con la musica ad alto volume, sicuramente da qui a dieci anni perderò una buona percentuale di udito, ma è uno di quei sensi di cui non mi sono mai preoccupata poi troppo, vorrà dire che alzerò ancora e ancora il volume se diventerò più sorda di quanto lo sia ora. Se non facessi cosi sarei invasa da pensieri molesti, lascerei che le dita scorrano sulla tastiera per comporre lettere, parole e frasi che ho riposto in un posto oscuro. Scriverei per chi non merita più alcun sospiro, scriverei per chi ancora ha il potere di farmi venire voglia di scrivere in maniera logorroica, ma con quello vengono anche le domande, la confusione e il malessere, quindi ben venga la musica sparata al massimo nelle orecchie, ben venga la testa che si agita un po' convulsamente avanti e indietro seguendo riff di chitarre elettriche e la voce stonata che intona parole straniere. Ben venga la distrazione in ogni sua forma, anche il solito "ti penso" ricevuto nel pomeriggio e sottintende una marea di cose che di carino non hanno proprio nulla, ma ben vengano anche quelle cose perché alla fin fine almeno so già per certo cosa sarà o potrà essere, ho il quadro della situazione ben chiaro, niente bugie, sotterfugi o prese per il culo, niente codardia, niente frustrazione, niente dolore, niente film mentali, niente futuro, niente speranze o attese. Solo la fottuta concretezza del nulla che soddisfa come una sigaretta post orgasmo. La libertà e la spensieratezza di dover piacere solo a se stessi, di non dover fare di tutto e di più per piacere ed essere amati, la semplice voglia di essere stronzi o dolci a seconda di quello che si vuole in quell'istante, perché è solo l'istante, il momento e l'attimo che contano. Niente passato. Niente futuro. Niente sogni. Niente passeggiate, fotografie, giri per supermercati, niente litigi, niente censura, niente spalle girate e niente "no" se vuoi fare l'amore. Niente problemi. Niente amore, ma l'amore non muove tutto. Niente emozioni vere, ma avere dalla propria il distacco emotivo ti porta a non prendertela a male per nulla, perché nulla ti sfiora, nulla affonda il coltello sul fianco che hai lasciato scoperto. Niente lacrime, niente obblighi, niente. Un niente appagante perché fugace. Un niente con data di scadenza. Niente e tutto. In attesa del mio niente, pochi giorni e sarò anche io un niente.

sabato 26 settembre 2015

Lettera n°75

Come immaginavo oggi è un anno preciso dal nostro primo appuntamento, quell'appuntamento col vento, i gatti bisticcioni e fare l'alba in auto baciandoci come ragazzini. Un anno da quelle emozioni che personalmente ho provato. Per quanto contrastanti potessero essere, ho provato emozioni pure e devastanti. L'insicurezza su come comportarmi il giorno dopo, le tattiche da usare o evitare, i film mentali e quel sapore sulle labbra gonfie di... Direi amore, ma ora so che amore non lo è mai stato. Diciamo gonfie di baci ardenti e delicati con l'aggiunta di un po' "troppa lingua". Sorrido e piango mentre scrivo, perché nonostante tutto, il ricordo non è negativo, perché nonostante come sia andata a finire serbo ricordi belli di quel poco tempo in cui mi sono sentita prevalentemente felice. Piango per la nostalgia delle emozioni, piango per il caos che regna sovrano adesso. Abbiamo fatto di nuovo l'alba. Abbiamo litigato. Abbiamo (principalmente tu) riso, abbiamo parlato, senza soffermarci troppo su cose che avrebbero potuto innescare nuovi bisticci verbali o incomprensioni dure a morire. Abbiamo fatto cose "fuori luogo" da sconsiderati, senza quella freschezza di un anno fa, con un macigno di rabbia, dolore, incomprensioni, che ci trasciniamo e che puntualmente tornano fuori in un modo o nell'altro. Che abbiamo fatto quindi? Una cazzata e nulla di più. Lasciarsi andare (mai totalmente) a che serve? Ci mantiene solo costantemente legati in un modo o nell'altro e viene meno quella rottura che in realtà si è creata mesi fa. Vengono meno i miei propositi, viene meno il mio distacco emotivo. Sussurrarti un "ti odio" senza sentirlo, consapevole che in quella frase tu ci abbia letto un'emozione diversa e opposta. Frustrazione. Ancora. Quella con te è un po' all'ordine del giorno, come si suol dire, ma è anche scontata lì dove il lasciarsi andare arriva ad un 70% e poi la testardaggine torna a prendere il sopravvento. Non importa, non è più importante, posso sempre dissiparla altrove, lo sai, te l'ho detto chiaramente, se volessi saprei come impiegare il mio tempo, cosa che comunque faccio a prescindere, perché si va avanti, non posso restare immobile in attesa di un qualcosa che non muterà mai. Non posso restare invischiata in un qualcosa di doloroso e irreale. Quindi è stato uno sbaglio, voluto da entrambi, ma pur sempre uno sbaglio. Abbiamo fatto una cazzata. Eppure ancora mi domando: "Tu perché non mi hai dimenticata?".
Tranquillo, conosco la risposta. Mi faccio i fatti miei.

Amami - Alda Merini

 Amami
finchè sentirai il calore
di una fiamma tremula
che sempre arde,
difendendosi dai venti di scogliera.
Sono un pensiero
che non vuole mai
-legare le tue mani-
libere nel mondo,
anche se vorrei
che fossero solo mie.
Amami
ora che non ho parole
per farti innamorare
dei miei silenzi
pieni di gioia,
che non potrai vedere.
Amami ancora,
saranno solo gli occhi
a dirti la mia passione
e le mie labbra,
a raccontarti
cose difficili da dire.
Saremo noi, un giorno forse
ad abbracciare solo i profumi dei nostri corpi
senza paura
che l’assenza diventi una cosa vera.

giovedì 24 settembre 2015

Citazione Giulia Carcasi

Mentre le ragazze della mia età facevano coi maschi prove di volo, io facevo prove di abbandono. Dopo venti giorni di cinema, pizza, normalità, avvertivo l’urgenza di non vederli più. Ricorrevo all’addio tramite sms: “Non funziona”, come se si trattasse di un elettrodomestico. Un introverso mi rispose con uno squillo e sparì nel nulla. Un logorroico mi scrisse una lettera di cinque pagine in cui mi avvertiva che un dipendente era stato risarcito dall’azienda perché licenziato tramite sms, concludeva con: “Quanti danni morali dovrei chiedere io a te?”. Ora fa l’avvocato. Un ricco mi comprò un cellulare molto costoso per convincermi a richiamarlo. Non accettai: mi piacciono i regali, non gli investimenti. Ora lavora in Borsa. Un mammone, che mi aveva invitato a casa sua per presentarmi, mi rispose: “Mia madre ha preparato il pranzo, che le dico?”, gli consigliai di dirle che non avevo appetito. Ora le presentazioni le fa al ristorante. Con loro ero stata prevedibile, inaffidabile, seriale: mai una foto insieme, una promessa, un ripensamento. Eppure, se li incontravo per caso, ci tenevano a fermarmi, volevano a tutti i costi offrirmi un caffè, azzardavano un contatto, mi chiedevano perché fosse finita, io mi chiedevo perché fosse iniziata, perché non m’insultassero, perché non sentissero l’oltraggio, l’orgoglio, l’abbaglio. ME N’ERO ANDATA PRIMA DELLA FINE: IO PER LORO NON AVEVO FATTO IN TEMPO A DIVENTARE STANCHEZZA, ERO RIMPIANTO, VOGLIA INTATTA, E LORO PER ME NON AVEVANO FATTO IN TEMPO A DIVENTARE MANCANZA 

Ti ho conosciuto in una pizzeria, a una cena universitaria. Stavi seduto accanto a una ragazza, lei era di Latina, ma sosteneva che sua nonna era regina d’Etiopia, tu la guardavi perplesso. Ho preso posto accanto a te, ho pensato: sei tu. Un giorno quando racconterai ad altri il nostro inizio dirai che stavi parlando con una principessa ed è venuta a infastidirti una “zanzarina”, io ti dirò zanzarina a chi?, ma nei tuoi diminutivi sentirò il sollievo di non dover essere grande. Ci siamo rivisti un diciotto maggio alle diciotto, alla fine delle lezioni mi aspettavi. Hai chiesto il mio numero di telefono a un’amica comune e io l’ho rimproverata per avertelo dato. Paura di te, delle nostre notti passate a passeggiare a vanvera per Roma. Sai?, mi sembra che certe piazze e certe strade le abbiamo viste solo noi, non le ho più trovate. Mi hai portato in ristoranti sofisticati, ma dal Cinese ti sei fatto coraggio e m’hai baciato. Due giorno dopo ho provato a lasciarti: “Non funziona”, ti sei piantato sotto casa mia, hai pianto, hai detto: «Aggiustiamola» e ci abbiamo provato. A insegnarmi come si tiene e si lascia tenere una mano ce n’è voluto, io bravissima a scansare, mi prendevi la mano, indicavi un’insegna e dicevi «tienimela fino a lì, manca poco». Ho cominciato a cercare la tua mano prima che tu prendessi la mia. Abbiamo noleggiato cento film, non ne abbiamo seguito uno, abbiamo smesso di camuffare i nostri difetti, la discesa del mio naso, la tua altezza, i tuoi capelli arrabbiati, i miei più arrabbiati dei tuoi, il tuo ginocchio, la cicatrice che ho vicino all’orecchio, «bella questa malformazione» hai detto passandoci il dito sopra ed era come se la disegnassi tu in quel momento, ti ho detto «allora è una benformazione». Abbiamo costruito un vocabolario nostro, di parole minuscole ed esagerate, di progetti fatti, un figlio coi capelli inevitabilmente arrabbiati e i denti a perle, tu gli insegni a guidare la macchina ma io gli dico di andare piano, io gli scrivo le favole, tu gli spieghi come si sogna. 

I VENTI GIORNI ERANO SCADUTI DA MESI, ANNI, NON TENEVO PIÙ UNA CONTABILITÀ PRECISA. LA VOGLIA RESTAVA INTATTA E CRESCEVA INVECE DI DIMINUIRE. E MI MANCAVI ANCHE QUANDO C’ERI. 
Mi hai dato un anello e ti ho detto «è largo» senza nemmeno provarlo. In chiesa ci tenevi ad andare insieme, io non ero praticante, non lo sono, però una volta ti ho accontentato. Il prete recitava il primo comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano.” Il nome di Dio invano non l’avevo mai fatto, ma di addio invano ne avevo detti tanti e dentro di me ho giurato di non aggiungerne un altro. La nostra prima foto ce l’ha scattata un marocchino. Io ho provato a dire no, niente foto, ma tu ci tenevi, hai fatto quella faccia, quando facevi quella faccia io pensavo sempre “perché no?”. È il mio compleanno, mi hai regalato il bracciale col cuore, quello che guardando una vetrina ti ho detto che mi piaceva e tu sei stato attento. Siamo nella stessa immagine: io pallida, quasi trasparente, tu scuro; io col broncio costante, tu che sorridi e non serve chiedertelo. A guardare bene, ci separa un’interruzione, un precipizio, uno strappo netto: l’ho fatto io una sera in cui volevo cancellare le nostre prove e un attimo dopo già l’aggiustavo con lo scotch. La foto l’ho messa in una scatola insieme al bracciale col cuore, all’anello, a tutte le lettere e le parole che non c’assomigliano più. Ma forse un gesto è solo un gesto e una frase è come tante, è chi la sente a caricarla di significato, cerco di convincermi ogni volta che un ragazzo mi fa una carezza, le mani sono mani, le tue, le sue, quelle di un altro, che differenza fa?, lui segue i miei lineamenti, scende sul collo, poi risale, si sofferma sulla cicatrice che ho vicino all’orecchio, penso: la benformazione, e scanso la sua mano infastidita. Vorrei che le parole per me non avessero tutta questa importanza, vorrei che non m’incatenassero a chi le dice, a chi le ho dette. E maledico i ricordi felici perché fanno più male di quelli feriti. Mi tornano in mente le vacanze estive, l’immagine di me bambina, il bagno al largo. Gli altri nuotavano dandosi slancio in lunghezza, con movimenti fluidi si mischiavano alle onde, seguivano la corrente, io m’immergevo quasi perpendicolare all’acqua, spingevo coi piedi, tenevo il respiro, volevo misurare il fondo, toccarlo, prendere una manciata di sabbia e portarla in superficie.
Risalivo in modo scomposto, gli occhi rossi, il fiato grosso, stringevo la sabbia bagnata in pugno e mi sentivo più forte, sapevo cos’era il fondo, ero capace di toccarlo e risalire, la corrente fino a quel punto era un pericolo che sapevo gestire. Ho la gastrite ma la Coca non rinuncio a berla: me la facevi trovare già sgasata, prendevi un cucchiaino e le davi una girata. Ti ho amato per queste accortezze, per le sciocchezze che mi venivano concesse, perché non volevo essere saggia, volevo essere stronza e ragazzina. Ti ho amato perché certe volte non riuscivo a essere forte, volevo solo scivolarti tra le braccia e sentirti dire tutto passa, tutto passa, pure se non era vero, tutto passa, tranne noi, certo, tranne noi. Ti ho amato perché se non mangiavo avevo qualcuno che mi sgridava, perché mi mettevi a tradimento lo zucchero nel tè, perché se mi estraevano i denti del giudizio e avevo la faccia gonfia, mi volevi baciare uguale, perché insistevi per vedere i film horror e poi eri il primo a spaventarti, perché dopo un anno ancora ti spiegavo come arrivare a casa mia e tu alzavi gli occhi e ripetevi «la strada la so». Perché se camminavamo per strada curvavi le spalle per sembrare più basso e io salivo su ogni gradino possibile, perché se mi abbracci scompaio, perché una volta in macchina, mentre ci stringevamo, ti sei scordato d’inserire il freno a mano e abbiamo tamponato, perché quello che era normale diventava speciale, perché eravamo uno pure se eravamo due, ma soprattutto ti ho amato perché tu mi hai amata. Paura di te, della corrente. Eravamo al largo, così al largo, dov’era il fondo?, dove la fine? Sempre meno mia e sempre più tua. Dov’era il controllo? Dove l’autonomia? 

DA QUANDO TI HO LASCIATO, CON UN SMS, MI COMPORTO COME SE POTESSI INCONTRARTI OVUNQUE: a una mostra, una presentazione, in qualunque luogo pubblico mi trovi, tengo fisso lo sguardo sulla porta, aspettando di vederti entrare, cerco di farmi trovare sorridente, in buona compagnia, tra persone di successo e se qualcuno mi parla sottovoce e si fa audace, penso: se solo entrassi adesso, adesso, in questo momento, sarebbe un quadro perfetto. Da quando ti ho lasciato, ogni mio momento è recitato come se tu dovessi assistere. Lavoro vicino casa tua, ma allungo la strada per non passare lì sotto, ho il terrore d’incontrarti insieme a qualcuna, le tue mani sui suoi fianchi, vedervi attraversare la strada in fretta, con la certezza di finire sul letto e addormentarvi stanchi. Ma ci s’incontra anche in una città enorme e senza farlo apposta: ci vediamo all’ospedale, io sono radioattiva, ho appena fatto una lastra, tu esci da un esame. Non ci tieni a fermarmi, non mi offri il caffè, a stento un cenno, mi dici parole indegne di te e di me, di noi, vorrei spiegarti, ma spiegarti cosa?, che la paura dell’abbandono fa fare cose assurde, che per paura di sentirsi dire addio un giorno, si pronuncia per primi e subito, mi chiedi «come stai?» e finalmente lo ammetto, «male», mi guardi tutta e dici «non sembra», «tanto tu sei forte, sei saggia», sì, io sono forte, sono saggia, «tu non ce l’hai il cuore come tutti gli altri», già, io non ce l’ho il cuore come tutti gli altri, perché io ne ho uno solo di cuore, gli altri ne hanno almeno uno per ogni occasione.

Mi accompagni alla macchina, salgo, provo a mettere in moto. Niente. Provo di nuovo, provi anche tu ma il risultato è lo stesso. Non ho vinto io, non hai vinto tu. Spingiamo la stessa macchina che non è partita, non ha funzionato e non si sa perché, dev’essere la batteria, la benzina c’è, i presupposti per andare lontano c’erano. Spingiamo e parliamo, le tue parole affilate, le mie così vaghe. Penso: ti sto dicendo mille frasi adesso, ma vorrei dirtene solo una e non riesco. 

Forse sto aspettando anch'io di vederti rientrare nella scena e cerco di essere pronta in ogni istante. T'ho detto addio per paura di quello che sarebbe potuto essere, per la forza dei nostri sentimenti. Ora t'aspetto inutilmente... Vorrei solo far ripartire la nostra macchina perché viaggiare, con te, m'è sempre piaciuto.
Giulia Carcasi, Perché si dice addio.

giovedì 17 settembre 2015

Lettera n°74

Oggi sarebbe stato un anno dalla prima volta che ci siamo parlati, è strano sapere che invece ora non ci si parla più, ma di cosa dovremmo parlare? Si è instaurato, per quanto mi riguarda, imbarazzo, soggezione, sfiducia, incapacità di lasciarmi andare come un tempo. Come ho scritto nella lettera precedente, il tempo passa e si cambia, io non so più chi tu sia, cosi come tu non sai più chi io sia, cosa faccia, come stia realmente, cosa senta. Oggi posso dire di stare bene, sto andando avanti, te l'ho già scritto, ieri sera è stata una bella serata, sento ancora la sabbia tra le dita dei piedi pur non avendola realmente. Sento l'odore del mare e la salsedine pizzicarmi le guance. Il vento scuotermi la treccia e le città scorrere veloci ai miei lati. Ho passato una serata dolce e libera. Un treno in lontananza fischiava mentre mi lasciavo abbracciare. Ti ho pensato in quel frangente, ma poi ho preferito allontanarti come fare con un insetto molesto. Era la mia serata non dovevi entrarci in alcun modo. Sono stata bene e sono stata felice. Mi porto addosso ancora quella sensazione di vita priva di sofferenza. Sarai sempre tu l'amore della mia vita, ma non posso costringerti o costringermi a fossilizzarmi su chi per me non ha più alcun interesse. Spero tu stia bene. Spero tu sia felice, per fugace che sia questa emozione. Te lo auguro come te l'ho augurata mesi fa quando la parola fine è precipitata con la precisione di una katana giapponese sulla nostra storia. Mi stai perdendo, la realtà è quella. Mi stai semplicemente perdendo, non che la cosa ti importi in realtà, ma mi fa bene scriverlo: mi stai perdendo.

martedì 15 settembre 2015

Lettera n°73

("Emotional Imprisonment" Foto mia)
Per quanto ancora mi creerai scombussolamenti emotivi di forza tale da mettermi il magone nello stomaco? Per quanto ancora un semplice pensiero mi riempirà gli occhi di lacrime? Per quanto tempo ancora mi turberai e avrai il potere di farlo? Per quanto? Io non lo so. Ogni volta che sembra stia andando tutto per il verso giusto, o quasi giusto, mi ritrovo a percepire il cuore che batte all'impazzata ed emozioni contrastanti riempirmi talmente tanto che mi chiedo quand'è che scoppierò e finirò in un milione di pezzi. 
Sto vivendo le giornate cosi come vengono, senza aspettarmi nulla, eppure ci sono giorni in cui mi fai ancora male, o mi fai arrabbiare o mi fai semplicemente sorridere. Quando diavolo diventerai un semplice ricordo privo di conseguenze emotive? Tu lo sai quando? Perché io non ne ho la più pallida idea e probabilmente il non saperlo mi manderà al manicomio (sempre ammesso che ne aprano uno apposta per me). Mi manchi, ma probabilmente mi manca chi pensavo di conoscere, perché chi tu sia adesso io non lo so, non lo posso sapere e probabilmente non voglio nemmeno saperlo. Mi fai male, lo sai tu e lo so bene anche io, quindi anche se so che non mi leggi più, scrivo qui quello che avrei il desiderio di scriverti direttamente altrove. In quel altrove che ha scaturito l'emozione che mi sta devastando, cosi come la domanda che mi sovviene in mente: "PERCHE'???".
Ho letto il tuo status di whatsapp, non volevo farlo, ma stavo cercando qualcuno tra i contatti e li mi vengono fuori gli status ed ho letto quello che hai scritto. Perché rinunciarvi? Vorrei essere capace di poter essere io la fortunata a prendere tutto, ma non posso esserlo. Non me lo posso permettere, e sicuramente anche se avessi potuto, non credo ti avrei cercato per proporti la cosa. 
Sto ricominciando ora a stare un po' meglio, sto ricominciando ora ad aprirmi e a lasciarmi andare. Sto ricominciando ora ad andare avanti e a lasciarmi stringere, coccolare e baciare da chi non mi interessa poi troppo sapere se mi vuole o meno, come invece mi interessava di te. Non mi importa più vivere col patema d'animo su che sarà, che accadrà, o come andrà a finire, non me ne importa più nulla, forse perché non mi interessa nulla della persona, forse perché sono talmente ferita che do per scontato che la vita mi offra solo palliativi, ma sino a quando provocano un minimo di emozione me li prendo tutti cosi come vengono. Cosa ho da perdere? Nulla. Ho perso tutto quello che potevo dare con te. Ho perso la ragione, l'amore, ho perso me stessa e va bene cosi, deve andarmi per forza bene. Ti ho scelto un anno fa. Io ho scelto te. Ho scelto di fidarmi, ho scelto di rischiare, ho scelto di amarti, sì, perché anche quella per certi versi non è altro che una scelta. Io ho scelto te e tu non hai scelto me. Ora sto scegliendo me, nonostante tu resti ancora il carceriere delle emozioni, nonostante tu sia quello che mi faccia battere il cuore più di un "ti penso" o un "odio e amo" che potrebbero dirmi costantemente. Nonostante tutte le belle parole, i bei gesti, uno sfarfallio di emozioni blande, tu resti. Nonostante tutto ci sei ancora. Sei tu quello che cerco di notte, e qui, lascio che la Merini mi venga in aiuto.
Di notte,
mentre dormo
o tento di dormire,
con le mie mani calde 
io tocco le lenzuola
e vorrei una presenza
che mi colmasse il cuore.
Invece è solo buio
e ho paura del giorno,
e invece è solo sera
e tremo del mattino.
Ma di notte ti vedo
genuflesso al mio lato
e hai l'incandescenza
della stella cometa.

Alda Merini
Concludo questa inutile sfogo, lettera o chiamalo come ti pare chiedendoti: "Perché rinunciare all'unica cosa che avevamo in comune? Perché".

venerdì 4 settembre 2015

Quando meno te lo aspetti i fantasmi ritornano e ti tormentano


Ho passato la notte prima del mio compleanno lasciandomi coccolare senza mezzi termini, palliativi e sostitutivi a quello che in realtà avrei desiderato. Diversivi da quello che poi in realtà mi porta a smettere di scrivere in maniera pubblica. Diversivi che riempiono ore di nulla, ma un nulla pieno rispetto al classico nulla dato dal silenzio urlante della solitudine malinconica. Lo so, mi ero ripromessa di non fare quello che mi è stato fatto, di non illudere, di non essere codarda, di non far stare male nessuno, ed è quello che mi porta a collezionare primi appuntamenti discutibili privi di proseguo. Ho perso il conto di quanti primi appuntamenti fini a se stessi si siano susseguiti uno dietro l'altro. Tendenzialmente di solito faccio la trattenuta, quella che se la tira per intenderci, di rado mi lascio andare, fingo sorrisi, chi non mi conosce pensa che il mio parlare a macchinetta sia sintomo di stare bene, di essere a mio agio, mai cosa fu più sbagliata. Ho avuto primi appuntamenti (tanti) in cui per evitare la noia mi portavo dietro l'attrezzatura fotografica. Bisogna sempre unire l'utile al dilettevole, ma soprattutto, celarsi dietro una macchina fotografica ti aiuta a smorzare l'imbarazzo nato dal silenzio, dal non avere nulla da dire. Essere concentrati su qualcosa zittisce i pensieri e i ricordi, quindi... Di primi appuntamenti degni di nota ne ho avuti due, forse tre, uno descritto a grandi linee nell'ultimo post, uno avuto con chi mi ha stupito tant'è che c'è stato un secondo appuntamento e la possibilità ipotetica che ce ne siano altri in cui la parola chiave è unicamente: amicizia. Il terzo, paradossalmente potrebbe essere stato quello del due di Settembre, il mare, chiacchiere, di nuovo , come un déjà vu fare l'alba, ma senza baci solo con mani che si accarezzano e si cercano e parole che riempiono l'abitacolo di un auto mentre fuori le onde si scontrano pigramente sugli scogli. In cielo una luna un po' coperta da nuvole simili a zucchero filato, bella da mozzare il fiato, ma non avevo con me la mia attrezzatura, l'ho immortalata mentalmente, quella luna che mi fa sempre pensare all'emoticon con la faccina dagli occhi e bocca strabuzzanti, la scorsa notte era offuscata come Shahrazād de "Le mille e una notte", il viso coperto mentre racconta una storia a Shahryar. Ho creduto nuovamente a un complimento e mi ha fatto, stranamente bene, essere considerata troppo bella ha sia dell'irreale che del reale, pensare di poter essere bella al punto da sembrare irraggiungibile, lo ammetto ha gonfiato, e non poco il mio ego, ma anche quello resterà un primo appuntamento fine a se stesso. Vige sempre la regola che non voglio fare ad altri quello che mi è stato fatto. Le illusioni le lascio a chi ha un velo di Maya costantemente sugli occhi e non vi è nulla che glielo potrà strappare. Prima di uscire ho perso qualche battito, per poi avere un accelerazione assurda dello stesso, la causa è data da uno scambio di messaggi da chi ho cercato di cancellare, nascondere, eliminare, allontanare dalla mente e da quel cuore che non vuole sentire ragioni e continua imperterrito a sentire emozioni quando non dovrebbe. Eppure mi sono goduta la serata, c'ho provato, nonostante l'imbarazzo e le difficoltà iniziali, nonostante quella luna che mi ricorda puntualmente tutte le volte che è mutata in cielo, le ho contate, mi sono ritrovata a contarle da mesi ormai tutte le lune nuove in cielo, e le aspetto ancora e ancora, le aspetterò per un altro po'. Lo avevo già scritto, mi sono data una scadenza, non che questo possa portare a un dato di fatto, ma intanto mi offre la speranza, seppur piccola, che possa essermi utile, mi aggrappo a qualunque cosa. Ci credo come ho creduto altro mesi or sono. Ho smesso di organizzare e programmare più di un giorno massimo due per volta. Ho passato il compleanno a vedere l'incoerenza del velo di Maya, mi sono fatta un po' male, ma per fortuna anche quest'anno è passato. Coi miei 32 anni compiuti da un paio di ore appena, posso dire conclusa una giornata strana e dolorosa. Lo ammetto mi sono aspettata un invito che non è giunto, ma in cuor mio sapevo che non sarebbe mai arrivato. Ho odiato ieri. Ho sentito veramente l'odio per chi mi ha spezzato il cuore, su chi ha minato il mio amor proprio eppure continuo a sentire con ogni cellula del mio corpo e animo. Per cui ancora nutro un barlume di speranza per quanto flebile e minuscolo, quello persiste, soprattutto se quello che è spezzato puntualmente viene stuzzicato, riattivato. Quando meno te lo aspetti i fantasmi ritornano e ti tormentano, motivo per cui non posso che mantenere attiva la promessa che mi sono fatta di non far soffrire come ho sofferto e soffro io. Il mio velo di Maya l'ho strappato con i denti e le unghia, ho urlato una volta liberata da quel velo, ma dei brandelli mi sono rimasti addosso, cuciti, amalgamati con la pelle, tra i capelli, una sposa cadavere senza matrimonio alcuno. Ma mi basta vedere quel ciondolo a forma di sole per stare un pochettino meglio, posso essere se non felice almeno un po' serena se mi lascio andare e se mi sento a mio agio, se mi sento e mi fanno sentire bella, se faccio qualunque cosa mi porti ad ottenebrare la mente, a frenare i desideri malsani e a smettere di cercare e stuzzicare quella ferita su cui la crosticina non riesce a formarsi perché le dita e le unghiette la vanno a infastidire e rimuovere per vedere se la ferita si è chiusa prima del tempo necessario. Perdo sangue ancora e ancora, ma poi la lascio un po' in pace, fino alla fine sotto la crosticina ci sarà solo una cicatrice e nulla di più, devo solo crederci e sperarci. Sparisci dalla mente e dal cuore. Sparisci. Sparisci. Sparisci. Ciò che hai spezzato e distrutto non potrai più recuperarlo. You're loser!!!