mercoledì 16 febbraio 2011

La staticità perduta


INCIPIT: E’ il suo segreto, questa forma di terapia.
Alle cinque, quando ha finito, non vede l’ora di tornare a casa, di togliersi le scarpe e di mettersi in poltrona.
Di solito ha un giornale e una bibita già pronti sul tavolino perché a Paola piace coccolarlo.
Lui beve, legge, si riposa, poi va a fumare una sigaretta sul balcone e aspetta.
Verso le sei e mezzo spunta il gatto sul terrazzo di fronte.
E’ un persiano bianco, di quelli di razza.
Si guarda intorno, poi con un salto raggiunge il cornicione più in basso e fa quella cosa.

 
 «Così inizia la storia che vi sto per raccontare.»
Osservo i due bimbi nei loro lettini, le coperte tirate fin sopra il naso, i loro pupazzi di peluche pronti a difenderli come angeli custodi di pezza. La luce per la notte è accesa, adesso manca solo la storia per la buona notte.
 
«In questa favola non ci sono streghe, principesse, ranocchi, nani, draghi o principi azzurri. I protagonisti sono nonno Giacomo e gatto Silvestro, ma badate bene, non è Silvestro dei cartoni animati, infatti questo gatto è un bel persiano bianco, dalle movenze eleganti e snob, proprio come Duchessa degli aristogatti». I bambini sogghignano al ricordo di quei due gatti piuttosto famosi e che loro gradisco un bel po’ per quel filo di violenza, soprattutto per quanto concerne gatto Silvestro, a differenza di Duchessa. Gli aristogatti sono un cartone che avranno visto una o due volte al massimo, ma che per ora non hanno compreso in pieno.
«Nonno Giacomo come ogni giorno della settimana, sabato e domenica esclusi, torna a casa dal lavoro,  si toglie le scarpe, indossa le pantofole e si lascia scivolare sulla sua poltrona preferita, la stessa che ha la sua forma, dove Paola, sua nipote, non osa sedere per rispetto e anche per quel pizzico di scomodità che percepisce al contatto di quella forma che non le appartiene. Il giornale è posizionato sul piccolo tavolino di legno e viene accompagnato, come sempre, da un bicchiere di vino, l’unico che Paola gli concede. In fin dei conti nonno Giacomo ha una certa età, e Paola è troppo apprensiva. Intorno alle sei e mezza inizia l’altra routine. Il nonno si alza e con passo pesante, rallentato dagli anni che incombono come macigni sulle spalle e sulle gambe, raggiunge il balcone. Il secondo piacere sta nello fumare la sua nazionale, una sigaretta priva di filtro, che lascia un odore forte e riconoscibile tra mille, non odora di sigaretta e basta, odora di nonno Giacomo.» Mi concedo un attimo di pausa per riprendere la storia: «Come vi stavo dicendo, mentre fuma sul balcone lo sguardo va alla ricerca del gatto bianco.»
 
«Ma di chi è quel gatto?» domanda Vincenzo sgranando i grandi occhi marroni, con quel lampo dorato che guizza nelle pupille e che indica quella curiosità infantile che si porterà cucita addosso lungo la vita.
 
«Non si sa di chi sia quel gatto così curato, nessuno nel vicinato pare esserne il padrone, Giacomo ha chiesto informazioni alla pettegola del paese, la signora Annabella, la proprietaria dell’edicola, ma anche lei è all’oscuro di tutto. Un mistero che rimarrà privo di soluzione, come tanti altri del resto e che per il momento possiamo tralasciare». Mento, per non rovinare la sorpresa.
 
«Paola sei tu?» un’altra domanda posta questa volta dal piccolo Alessio, lui segue il fratello in curiosità, anche se è una curiosità totalmente differente. Nata principalmente per emulare il fratello maggiore e non per una curiosità innata e dirompente propria di Vincenzo. Scuoto il capo decisa.
«Non sono io quella Paola, adesso però torniamo alla storia, è già tardi è c’è ancora molto che dovete sapere. Dov’ero rimasta? Ah sì, il balcone. Bene il gatto ogni giorno a quell’ora saltava giù per raggiungere il cornicione del terzo piano, un pazzo, ma è una pazzia che i gatti hanno nel loro sangue, tutti i gatti saltano incuranti delle altezze, e infatti si dice che abbiano sette vite.
Nonno Giacomo si affaccia ulteriormente, vuole capire cosa stia facendo quel gatto, ogni giorno è la stessa storia, la stessa routine.»
 
«Che cosa fa il gatto mamma? Perché il nonno lo osserva?»
«Il gatto semplicemente salta sul cornicione del terzo piano, con circospezione felina si guarda intorno e attende. Una mano diafana spunta dalla finestra, ne accarezza il manto setoso, prima di chiudere la finestra. Il nonno non ha mai visto il resto del corpo o il viso a cui appartiene quella mano dalla carnagione così chiara che ci può riportare alla mente Biancaneve.»
 
«Se c’è Biancaneve allora ci sarà anche un principe e una strega nella storia!» esclama Vincenzo contento per quell’intuizione.
«No, Vincenzo è solo il nome che le daremo, ma non ci sono streghe o principi con spade luccicanti e coraggio da vendere. Non ci saranno lotte o mele avvelenate». La sua espressione dichiara apertamente la delusione di aver sbagliato, eppure persiste ancora la curiosità.
«Come avrete capito questa routine è giornaliera, e va avanti da mesi, e i mesi diventano anni, e in questa favola passano ben due anni. Due anni in cui il nonno si strugge dalla curiosità di saperne di più, e in cui nessun passo in avanti viene fatto verso la conoscenza. Almeno fino al primo novembre. Quel giorno nonno Giacomo si era affacciato al balcone per fumare, e intanto aspettava il gatto bianco, l’attesa fu ricompensata, ma quello che accadde sconvolse tutto l’equilibrio creato in quei anni trascorsi. Nessuna mano apparve da quel piccolo spiraglio nella finestra. La finestra era totalmente chiusa. Il gatto miagolava e spingeva le piccole zampe sul vetro alternando destra e sinistra, destra e sinistra. Paola osservava tutto alle spalle di Giacomo. “La signorina Ivana ha lasciato il gatto fuori?” domanda d’un tratto affacciandosi appena sul balcone. Il nonno la osserva con uno sguardo spaesato “Chi è la signorina Ivana?”
“Come chi è la signorina Ivana? Nonno non ricordi quella donna che ebbe l’incidente d’auto? Quella donna che sopravvisse per miracolo?”. Paola osserva il nonno, il suo scuotere la testa, quella memoria labile come un foglio di carta di riso che, se troppo maneggiato, si squarcia ed è inevitabilmente da buttare. “Io non ricordo questa storia, ma quindi il gatto è della signorina Ivana?” domanda curioso e mortificato per quella memoria che ha deciso da tempo di abbandonarlo. “Non lo so nonno, lo chiedevo a te. Non vedo la signorina Ivana da un anno circa”»
 
L’attenzione dei bambini se da una parte è vigile, dall’altra è offuscata dal sonno che incombe, da Morfeo che li chiama tra le sue braccia per cullarli dolcemente sino al giungere del giorno.
«I due continuano a guardare il gatto, il suo disperato tentativo di richiamare l’attenzione di Biancaneve, o meglio Ivana, ma da dentro nessuno si sporge per alleviare le sue pene. Il nonno prova a chiamare il gatto, ma quello non lo fila nemmeno per sbaglio. Paola intanto va al telefono e chiama un’ambulanza, il suo sesto senso le urla che qualcosa di brutto deve essere successo alla signorina Ivana, la disperazione trasmessa dal gatto si è inculcata in lei, grandi artigli premono per mantenere la presa su quei sensi risvegliati e doloranti. Passa un’ora e finalmente si sente il suono della sirena. Anche la polizia viene chiamata, perché nessuno risponde. Paola e nonno Giacomo tornano ad osservare dal balcone tutto quello che si svolge in strada. Il corpo della signorina Ivana viene portato via in barella, ha avuto un malore, ma è viva. Il nonno si muove irrequieto, si osserva intorno alla ricerca del gatto, ma è sparito. Non c’è più. La sua apparizione in quei due anni è diventata la compagnia di nonno Giacomo e della signorina Ivana, di lui non vi è stata più alcuna apparizione, l’equilibrio monotono della routine è stato spezzato. Ed è così che finisce questa favola moderna. Ricordate che nulla è certo o statico nella vita. Ora chiudete gli occhi e dormite».
 
I bambini non sono soddisfatti, lo vedo dal loro sguardo, Biancaneve, il piccolo persiano bianco fa il suo ingresso nella stanza, mi salta addosso acciambellandosi sulle gambe. Di tutta questa storia siamo rimasti in vita solo io, Paola, e la piccola Biancaneve, figlia di quel persiano bianco. Nonno Giacomo e la signorina Ivana non ci sono più. Com’è totalmente assente, in questa storia, la morale delle classiche favole, certo si potrebbe ricondurre il tutto all’assenza di staticità della vita, ma i bimbi sono piccoli e non capirebbero cosa ciò possa significare, e tantomeno voglio disilluderli già da ora.
 
«Mamma la nostra Biancaneve è uguale al gatto della signorina Ivana». Vincenzo ancora una volta mi sorprende con il suo intuito. Annuisco lievemente, ho omesso molte altre cose nella storia il cui finale non è un vero finale, ma per quello ci sono ancora tante storie della buona notte. Adesso è tardi e loro devono riposare.
«Buona notte piccoli miei» mormoro con un filo di voce tenendo in braccio, come un infante, la piccola palla di pelo bianca. Inizio già da ora a pensare alla prossima storia da raccontare.


(Racconto scritto per il Concorso Letterario "Blusubianco" l'incipit veniva fornito settimanalmente dalla coordinatrice letteraria)

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