venerdì 14 agosto 2015

Lettera n°72

«In ogni storia a un certo punto arriva una grande svolta. Uno sviluppo improvviso. La felicità è sempre uguale, ma l’infelicità può avere infinite variazioni, come ha detto anche Tolstoj. La felicità è una fiaba, l’infelicità un romanzo»
Murakami Haruki, “Kafka sulla spiaggia”


Quanto ha ragione il mio caro Murakami citando Tolstoj. L'infelicità può avere infinite variazioni, ed in questi ultimi mesi mio malgrado le sto vivendo tutte senza tralasciarne alcuna. Non perché lo voglia, ma perché una volta che ti si appiccica addosso l'infelicità non si schioda più tanto facilmente, e si può lottare, divincolarsi, strepitare ed urlare, ogni cosa appare vana via via che si va avanti nel tempo. Quell'alone rimane nello sguardo, nell'animo, nelle parole, nei gesti e nei pensieri. Ho vissuto una fiaba piena di felicità, ero talmente felice da essere totalmente ottenebrata, perduta, ma comunque felice. E adesso, nella stessa maniera mi ritrovo infelice, vuota, malinconica, malconcia come un pugile alla fine di un incontro all'ultimo sangue. 
Tento ancora con tutte le mie forze di risalire a galla, di lottare contro la corrente che mi spingerebbe sempre più a fondo, ma basta ancora cosi poco per ridurmi a una bambola priva di forze. Mi basta veramente pochissimo. Che sia il fischio di un treno, che sia una parola, un odore, un luogo, un pensiero o una emozione ed eccola lì con quel ghigno malefico tornare a riportarmi coi piedi per terra. Resto ancorata ancora a quella che è l'opinione che mi sono fatta, resto ancorata a quella briciola di fiducia che mi rimane, resto ancorata ai ricordi seppur fraintesi o falsati. Resto ancorata alle giustificazioni che ancora mi racconto. Resto ancorata al desiderio che chi mi ha reso infelice possa essere, a differenza mia, felice sino a scoppiare. Resto ancorata a ciò che non è mai esistito e mai esisterà. Mi aggrappo con le unghie fregandomene del dolore che mi squarcia dentro. Sì, me ne frego. Perché posso lamentarmi, inveirgli contro, posso arrabbiarmi, odiarlo per piccoli frangenti, ma alla fine giustifico gesti, parole pur ritrovandomi a pensare e credere di non conoscerlo affatto. Non ci sono mai certezze in questa vita, ma quelle poche su cui facevo affidamento, col tempo vanno a perdersi. Si cambia. Le persone, inevitabilmente cambiano. Ma tu chi sei? Chi eri? Eri felice? Stavi bene? Pur credendo che fosse andata cosi, che lui stesse bene, non era abbastanza, E l'incoerenza torna a regnare sovrana, non su di me, io resto coerente anche negli errori che posso commettere, ma tu, tu resti incoerente. Volevi amare, lo desideravi e ora non lo vuoi più, ti convinci di non poterlo avere, ti convinci che rimarrai solo eppure... Solo io ci vedo incoerenza? Ma dai, sono giustificabile, sì, lo sono. Sono infelice e soffro. Delirio come in preda a una febbre altissima e incurabile che ha il tuo nome vicino alla parola AMORE.

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