domenica 13 dicembre 2015

Lettera n°78

Sei come quel nodo che mi si forma quando c'è un po' di vento o umidità nell'aria. Quel nodo che mi fa male se lo pettino e ho solo due alternative:

1) reciderlo con le forbici
2) pazientare e cercare di districarlo pian pianino con il pettine e la spazzola

Inutile sottolineare quello che è ovvio, i miei capelli non li taglio da tre anni e non ho alcuna voglia di reciderne nemmeno un centimetro per un qualsivoglia nodo, quindi l'opzione numera due resta quella che ho scelto di perseguire. Pettino piano piano, soffro e sento il cuoio capelluto essere tirato, ma la sofferenza ci sta tutta se non vuoi perdere quello a cui tieni. E nello stesso modo tu che sei il mio nodo da quasi un anno a questa parte non vieni reciso con un semplice zac. Sarebbe più facile, lo sai tu e lo so benissimo anche io, ma non sarebbe nemmeno umanamente possibile, tu non sei cellule morte che si rigenerano ogni secondo, tu sei vivo, lontano, assente, nuovamente sconosciuto, ma sei vivo. Sei, paradossalmente, molto più concreto dei capelli, quelli potrei tagliarli, tanto ricrescono, ma tu? Tu no. Tu non torni più (lo so benissimo), ma resti qui, nonostante tutto ci rimani qui dentro di me. Per quanto possa dire o fare, sei qui. E sarò noiosa, ripetitiva, non me ne frega assolutamente niente. Questo è quello che sento e questo è quello che esprimo, mi conosci, sai perfettamente quanto sia incapace di mentire, ma a prescindere dall'incapacità concreta reputo le menzogne una presa in giro senza paragoni, sono e resterò sempre pro verità. Ma tanto so che non mi leggi più da tempo ormai, ti sarai stancato di sapermi qui in attesa di un qualcosa di improbabile e irreale, ma d'altra parte credo di aver smesso di scriverti con la speranza che tu mi legga quanto piuttosto sono tornata a farlo per il semplice bisogno viscerale di farlo, senza orpelli o fronzoli vari ed eventuali. E oggi ne avevo voglia, tutto è nato da un reale nodo incontrato durante la spazzolata post shampoo, quel nodo era veramente testardo, come te. Ho impiegato dieci minuti buoni a farmi male e pettinarlo per poterlo districare, in quel caso ho vinto io, non ho avuto bisogno di recidere la piccola ciocca colpevole di essersi ribellata, con te ho perso da subito. Le possibilità, seppur minime le ho avute, ho cercato di giocarmele come meglio avrei potuto, mi sono data completamente. Ho corso come uno di quei treni modernissimi che raggiungono in tre quarti del tempo classico la meta predestinata. E adesso attendo semplicemente quella data che mi sono imposta come scadenza, la pazienza non mi manca, di quella ne dispongo pure troppa. E dopo? Dopo non lo so, lo saprò quando arriverà quel dopo, per ora lascio che queste emozioni facciano il loro corso senza più frenarle. Che senso ha castrarle? Nessuno.
Spero tu sia felice e stia bene mio non più mio trenino annodato.

venerdì 11 dicembre 2015

Velvet Revolver - Can't Get It Out Of My Head

"And I cant get it out of my head
No, I cant get it out of my head
Now my old world is gone for dead
Cause I cant get it out of my head"

giovedì 10 dicembre 2015

La persona giusta

«Improvvisamente ho capito che non c'è nessuna persona giusta. Non esiste né in terra né in cielo né da nessun'altra parte, puoi starne certa. Esistono soltanto le persone, e in ognuna c'è un pizzico di quella giusta, ma in nessuna c'è tutto quello che ci aspettiamo e speriamo. Nessuna racchiude in sé tutto questo, e non esiste quella certa figura, l'unica, la meravigliosa, la sola che potrà darci la felicità. Esistono soltanto delle persone, e in ognuna ci sono scorie e raggi di luce, tutto…».
Sandor Marai, “La donna giusta”

Quante parole si sprecano sull'argomento, tra saggi, letteratura narrativa, poesia, musica o quel che si vuole eppure personalmente mi ritrovo ad associare al concetto di "persona giusta" il nome e il volto di chi, nonostante tutto, ancora amo. Sì, perché parliamoci chiaro, purtroppo è cosi, amo pur non essendo amata, in lui ho scorto la felicità, a lui associo anche quella sensazione: felicità. Certo non solo quello, avrei un elenco interminabile di ciò che il suo nome e la sua essenza mi crea o mi porta ad associare. Di lui ho amato tutto, non era la perfezione, non esiste la perfezione, ma per me era perfetto con le sue incongruenze e imperfezioni, per me è felicità, amore, serenità, pace. Per me resta quell'appiglio da non mollare perché diverrei arida e vuota, priva totalmente di emozioni. Lo sono stata e non ci voglio più tornare, voglio restare quella stupida che ama chi non l'ama perché anche se fa male almeno sento qualcosa, percepisco una emozione, non me ne voglio privare nonostante sia consapevole razionalmente di quanto dovrei invece fare di tutto per scrollarla via, per allontanarla, per offenderla, per ridurla ai minimi termini, annullarla totalmente, perché solo un folle dona amore (in silenzio e a distanza) a chi non c'è, a chi non ha alcun interesse, voglia o qualunque altra cosa verso di me. Amo e aspetto. Questo è per ora. 

domenica 6 dicembre 2015

Lettera n°77

E anche stasera sento quell'impulso, quella voglia di condividere la mia giornata con te, resti sempre tu l'unico che vorrei rendere partecipe della mia vita, un po' come la canzone di Mengoni che ho sentito poco fa in cui, citando, dice: "Fra miliardi di persone ho visto solo te", sorrido se penso che prima di Mengoni, lo stesso concetto te l'ho espresso in mille modi differenti, a voce o per iscritto, non ho mai negato di aver scelto te, di aver visto solo te, di sentire, ancora oggi, la voglia e l'impulso di raccontarti di me. Ti sarebbe venuta la ridarella oggi (*), mi conosci sono un'inguaribile testarda, forse tanto quanto te, un po' meno te lo concedo, ma resta di fondo che lo sono e se mi impunto su qualcosa cerco di ottenerla. Oggi c'era il Nikon Live, ci sono andata con un gruppo di fotografi, ho perso un paio di workshop poi quando ho capito l'andazzo, ho mollato loro e me ne sono andata per i fatti miei a fare e sentire quello che volevo dal principio, li mi sono aggregata ad altri fotografi che conosco e che fanno parte dell'associazione fotografica a cui mi sono iscritta e con la quale mi sono messa concretamente in gioco e in discussione. Ammetto che appena sono approdata lì la prima cosa che ho fatto è stato vagare perduta osservando ogni persona presente. Ti stavo cercando trenino, ho sperato che tu potessi essere lì, che avrei potuto rivederti senza proportelo direttamente o senza che fossi tu a farlo (so che non accadrà più, sento distintamente che non ci saranno più occasioni come l'ultima volta, non ci saranno più malinconie che mi spingano a cercarti in qualche modo e non ci sarà nulla che spingerà te a cercarmi, siamo veramente lontani e distanti adesso, lo sento come sento le dita che pestano i tasti del computer e come sento le lacrime pungermi gli occhi, ma tranquillo le sto cacciando, non le voglio). Non c'eri naturalmente, non era destino reincontrarci, non ti piacciono quei posti, la folla, il caos, poi è sabato, probabilmente sei tornato a casa tua, nella tua terra, forse stai frequentando una nuova ragazza, non lo so, ma non c'eri, eppure... c'eri. Eri lì con me, come sempre, nella mia mente c'eri e ho sorriso ogni volta che mi mettevo a saltare da un posto all'altro o a fare gli occhioni stile Gatto con gli stivali del cartone animato e implorare i fotografi di farmi spazio perché sono una piccola nanetta e lì ti ho visto nitidamente a ridacchiare di gusto di me e di quanto potessi apparire buffa io e maschi che mi hanno fatto spazio tipo le acque del Nilo per far passare Mosè. Essere donna in quel contesto non è stato male, certo mi hanno fotografato in tanti, ma era normale e prevedibile, se si provano le nuove ottiche fotografi quello che ti capita per capirne la portata, la lunghezza e se ne vale o meno la pena acquistarla in futuro. Ad un certo punto mi sono fatta fotografare volontariamente lo ammetto, ho provato ad abbattere i miei muri, mi sono avvicinata ad un fotografo che fotografava tutti con vari attrezzi di scena e appena si è liberato gli ho proposto di fotografarmi, ma a patto che dovesse mostrarmi lo scatto, altrimenti avrebbe dovuto rifarlo. Il mio scatto è andato bene, gli ho sorriso di cuore e l'ho ringraziato ed ora attendo che carichi la foto nella pagina dell'evento, cosi da salvarla e tenerla lì come ricordo di una giornata che, tutto sommato è stata felice e divertente. Saresti stato fiero di me, della piccola nanetta che zompettando e scherzando si è fatta rispettare e senza spintoni si è presa un posto semi decente in sala posa per poter fotografare la modella di turno. Alla fine penso di aver guadagnato in sicurezza e nuove nozioni, nuovi punti di vista. Non ho ancora capito quale possa essere il genere di cui mi innamorerò totalmente ma su quello non ho fretta, lo capirò quando sarà il momento, come ho sentito di amarti quella sera mentre ti guardavo negli occhi e ti baciavo come se fosse l'ultima volta che lo facevo traendo il massimo da quei baci di cui non ero mai sazia. E torno a richiamare alla memoria te con te la ridarella e sorrido di cuore anche io vedendomi dal di fuori, ho fatto ridere, in effetti, vari fotografi con le mie peripezie per vedere qualcosa lì dove non arrivavo (praticamente ovunque), ma oh l'ho avuta vinta io, tra una risata e l'altra mi è andata bene, non so se è perché ho creato simpatia o perché son sembrata un po' disperata o perché fossi una donnina molto rock and roll con la sua macchina fotografica impugnata mentre saltellando e in punta di piedi sbuffavo e sparavo battutine ironiche sulla mia (non) altezza, però è divertente, ti stai immaginando la scena e stai ridacchiando, lo so. Ti conosc.. piccolo blocco, non so come continuare quella parola, conosco o conoscevo? Non è importante al momento, sappi solo che alla fine sono stata accompagnata da un altro amico fotografo, insomma mi sono arrangiata, una piccola avventura dove sono passata come un apetta di fiore in fiore cercando di essere presente per tutti, ma mantenendo me stessa come priorità assoluta.
Una volta giunta a casa mi sono messa a raccontare a mia madre tutto quello che ho combinato da questa mattina con Kenny che mi faceva le feste senza sosta, e anche lei ha sorriso, ma non le è preso il ridolino come sarebbe preso a te, chissà poi perché ti prendeva il ridolino, non l'ho mai capito in effetti. Comunque, a casa mi sono messa a cazzeggiare un pochetto e mi sono imbattuta in questo stralcio di Zafon, uno dei suoi libri che mi ha emozionato e colpito degli ultimi anni, tanto da spingermi a leggermi tutti i suoi romanzi. La citazione dice:

"Ero troppo per te. 
Troppo orgogliosa. Troppo scorbutica. Troppo problematica. Troppo insicura. Troppo poco gentile. Troppo poco dolce. Troppo disordinata. Troppo bambina. Troppo matura. Troppo emotiva. Troppo sognatrice. Troppo poco romantica. Troppo caparbia. Troppo poco elastica. Ero troppo per te. 
Ma non ero mai abbastanza."
C. R. Zafon, L’ombra del vento.

Tralasciando momentaneamente tutto, mi sono concentrata sull'ultima frase "Ma non ero mai abbastanza" ecco per evitare di far straripare le lacrime mi appiglio a quella frase, a quella sensazione che, tuo e mio malgrado, ho realmente sentito attaccata addosso quando... quando pensavo eravamo un qualcosa tu ed io. Ed è brutta come sensazione, so anche che adesso probabilmente ti starai incazzando o più probabilmente starai pensando che non è cosi, ma parliamoci chiaramente, non lo so, non posso sapere con certezza cosa ti può passare per la mente, a malapena credo tu mi legga ancora figuriamoci dare per scontata una tua eventuale reazione, non posso che ipotizzare pur essendomi promessa da tempo di non farlo più, perché alla fin fine sono sempre e solo io quella che sta male, che affonda e non riesce a risalire poi facilmente, sono io quella che fa tre passi avanti e cento indietro ogni qualvolta mi ritrovo a scriverti, pensarti o lasciar straripare le lacrime e le parole. E lo so che ora sto percorrendo quei passi indietro, ma non posso farne a meno, non oggi, non dopo il tripudio di emozioni e la costanza con la quale mi sei stato affianco stile spiritello birbante e molesto. Per un attimo ho creduto sul serio di poterti raccontare tutto, ma mi sono resa conto che non era la realtà, tolto questo mezzo non mi resta più nulla e non mi venire a dire che posso cercarti che si può essere amici, io non posso esserti amica, non ancora, non so quando e se ciò potrà accadere, ma so di non poterlo essere al momento, perché non mi è passato proprio nulla, non mi è passato il sentirti "giusto", non mi è passato il saperti "la persona", non mi è passata quell'unica emozione che avrebbe dovuto e che dovrebbe sparire, non mi è passata la voglia di baciarti, di amarti, di fare l'amore con te, di vivere ogni giorno che mi rimane da vivere con te, non mi è passato proprio nulla, resti tu il mio metro di paragone e questo mi spinge semplicemente a buttarmi su tutto ma non più sulle conoscenze eventuali, non ha senso, sai come la penso, ho provato a gettarmi nella mischia, ho provato realmente ad andare avanti, a forzarmi, ad obbligarmi a sopprimere e nascondere tutto, ma non serve a nulla, resta li il fardello. Resta la mancanza che sento, la malinconia, la voglia di sentirti ridere come uno scemo, la voglia di sentirmi dirmi che sono bella o un scendi scendi per ritrovarti sotto casa. Vaneggiamenti. Sono solo vaneggiamenti e illusioni lo so. E' solo un cuore ferito che spera invano il ritorno di chi non ha mai messo in gioco il proprio cuore. Folle. Sono momentaneamente folle e la follia mi porta a sentire totalmente mia questa canzone che sto ascoltando (giustamente mi faccio male musicalmente, ma che ci posso fare se ci sei tu in questi versi?) e da qui nasce il (*) che ho messo poco fa perché ha connessione con un verso:

Le cose che non ho
sono come te,
ti assomigliano un po'
sono bellissime
Mentre guido piano verso casa,
in compagnia di una radio accesa,
c’è una canzone che riempie l’aria della sera.
Le cose che non ho,
radici e nuvole,
e lì in mezzo ci sei tu,
da qualche parte.
A volte un nome sulle labbra appese,
anche se più leggero di una piuma
quando il suono di una felicità che si consuma.
La mia vita è sempre uguale
sembra calma come me
appena sotto la superficie c’è tutto quello che ho di te.
E so che non si torna indietro mai
lo so io, lo sai tu,
ma se dovessi cambiare idea, io sarò qui.
Le cose che non ho, ragioni e regole
neanche il cuore adesso sa che cosa fare.
Avrei voluto regalarti i miei sogni
e farti ridere fino a stancarti, (*)
ti avrei difesa dai dispiaceri con le mie mani.
La mia vita è sempre uguale
sembra calma come me
appena sotto la superficie c’è tutto quello che ho di te.
E so che non si torna indietro mai
o so io, lo sai tu,
ma se dovessi cambiare idea, io
se dovessi cercarmi ancora, io
sarò qui perché di te non c’è niente che non so
e non avrò paura di un addio sincero, ma devi crederci davvero.
La mia vita è sempre uguale
e sembra calma come me
appena sotto la superficie c’è tutto quello che ho di te.
E so che non si torna indietro mai
lo so io, lo sai tu,
ma se dovessi cambiare idea, io
e se dovessi cercarmi ancora, io
sarò qui
sarò qui.


Non penso debba aggiungere altro, io... Io sono qui, sono ancora qui, sarò ancora qui se dovessi cambiare idea. Ed eccola lì l'altra immagine mentale di te in auto che ascolti la radio mentre vai da qualche parte, magari è la stessa stazione radio che ascolto anche io, la stessa canzone, i Guns'n'Roses che ci perseguitavano all'epoca. Lo ricordo. Io ricordo. Ma tu ridi, continua a ridere e a farti prendere dal ridolino compulsivo. Sei bello da morire quando ridi.

sabato 5 dicembre 2015

Lettera n°76

Come stai? E' da un po' che non ti scrivo, non perché non ne abbia avuto la voglia, quanto piuttosto perché ho cercato di evitare un dolore gratuito, quel dolore che ogni parola mi provoca cosi come il semplice pensiero di te. Eppure oggi eccomi qui, non ho potuto fare a meno di pensarti, vuoi perché un anno fa di questo periodo eravamo, forse è meglio dire ero, felice, veramente felice, ed oggi lo sono stata un po'. Mi sei venuto in mente come quella persona a cui vorresti raccontare la tua giornata. Raccontare delle mille peripezie che stai facendo per un concorso fotografico nazionale al quale ti sei iscritta, raccontare nei minimi dettagli la giornata lavorativa passata a sorridere e rimproverare e poi a motivare i miei studenti. Ti parlerei del mio ultimo alunno di quanto sia trementamente lingua lunga, del filo da torcere che mi da quotidianamente, ma di come già faccia parte di quelle poche persone a cui tengo, perché lo sai quanto tengo ai miei nanetti, sai quanto per me sia importante dare loro non solo un aiuto concreto nella loro istruzione, ma essere, all'occorrenza, anche quell'amica un po' più grandicella con cui confidarsi e a cui chiedere consiglio, sulla quale appoggiarsi se si sta male. Sono i miei cuccioli, i bambini che non ho partorito, ma che vedo crescere anno dopo anno e che accompagno per mano fino alla maturità. Ti parlerei di Kenny del suo essere diventato sempre più pigro e del suo essere ancora terribilmente terrorizzato dai botti, tant'è che quest'anno il veterinario gli ha dato delle pilloline che sembrano il valium per i cagnolini, ma almeno starà bene e non soffrirà d'ansia, si potrà godere queste giornate elettrizzanti, cariche di attesa e di aspettative per il Natale che è alle porte e per la fine dell'anno. Ti parlerei del mio continuare ad arrossire quando parlo con qualcuno anche per telefono, ma del sentirmi un po' di più realizzata quando i miei progetti vengono accolti con entusiasmo, mi vedresti iperattiva e instancabile, come lo ero un anno fa, mai immobile. Una piccola trottola che va da una parte all'altra e che cerca di far rientrare tutto in piccoli lassi di tempo. Ti parlerei delle mie giornate, delle mie incazzature, delle montagne superate (metaforicamente), di quello che sto imparando con il confronto quotidiano, di quanta soddisfazione stia avendo e di come un po' stia credendo in me stessa nonostante non ci sia tu a fare il tifo per me. Ho iniziato un secondo romanzo, anche se, ammetto, sono mesi che non riesco ad andare avanti, non perché non sappia come proseguirlo, ma mi fa male la sua stesura come il primo, fa male staccarsi e lasciarsi andare tra le parole, fa male riversare tutto li dentro e non ho voglia di piangere, bastano le lacrime che ho versato e che verso ogni volta che mi vieni in mente, proprio come ora. Penso siano sufficienti al momento e bastino come razione, non occorre aumentarne il dosaggio, non per ora, certo le lacrime portano con loro una emozione e non hai idea di quanto ne abbia bisogno dal momento che sono diventata aemozionale, stimolo le emozioni con la fotografia, con i libri, con i film, ma non sempre hanno effetto, non sempre accendono qualcosina. So che non mi leggi più, ma mi fa un pochino bene liberare le parole, lasciarle andare e fermarle qui sopra. Mi liberano quel tanto che basta per poter respirare. Mi manchi, ma non ti cerco. Sei libero e io lo diventerò realmente tra pochi mesi (spero). Spero tu stia bene, ma veramente bene. Spero tu sia felice e sereno. Volevo dirti solamente questo. Eri la persona ed ora... ora non sei più nulla. Un fantasma del passato. uno sconosciuto che vorrei rivedere domani, che vorrei riconoscere tra i tanti che ci saranno al live, ma so che non si sarai, non fanno per te la confusione e i workshop, ma chissà, magari sbaglio. 

sabato 28 novembre 2015

Duecentosettanta notti e attendo ancora.

(Foto di mia proprietà - "Autoritratto")

Duecentosettanta giorni passati, dieci cicli lunari si sono verificati, ne mancano solo altri tre completi, altri ottantuno giorni. Penelope tesseva una tela, io scatto fotografie, le elaboro, le rielaboro, le riscatto, e cosi all'infinito. Ho preso sette chili dal Dicembre scorso, sette chili di cui sento tutto il peso e la fatica, sette chili che non volevo, ma che ho penato per ottenere, sette chili che mi sono pesati e mi pesano come un macigno fisso sullo stomaco. Perché sono ingrassata è presto detto:

1. Dovevo necessariamente farlo perché pesare trentotto chili non andava bene
2. Perché ho nutrito la (vana) speranza che il peso potesse modificare le sorti di quello che è accaduto dieci mesi fa. 

Dieci mesi, chi lo avrebbe detto che il tempo sarebbe passato cosi in fretta? Si ripetono gli eventi, questa volta senza la conclusione di un anno felice come l'anno passato. Quest'anno niente è andato per il verso giusto, quest'anno che tra due mesetti verrà a concludersi è stato colmo di lacrime, dolore. Un anno pesante sotto molti aspetti. Un anno di attesa e di speranze infrante. Per carità ci sono stati attimi (brevi) di lucidità mentale razionale e/o irrazionale, ma alla fin fine gli attimi restano sempre e solo attimi, brevi lassi di tempo che non riescono a cambiare la sorte degli eventi protratti per lungo termine. Cambiano le priorità, cambiano le amicizie e le abitudini, in quasi un anno ho fatto passi avanti, ho imparato a mettermi in discussione come fotografa, ho imparato ad accettare le critiche e ad accettare i complimenti anche se quegli scatti per me non sono "perfetti". E' un lavoro ancora in corso. Non è facile chiedere il parere di chi per te è più bravo, ma se non lo facessi non potrei andare oltre e non voglio fossilizzarmi, non ho una data di scadenza per questo, devo imparare a lasciare andare la parte emotiva e scattare un po' col raziocigno, continuare a studiare e non sentirmi inadatta se mi si presenta l'occasione di guadagnarci qualche euro con i miei lavori. Piano pianino ce la farò. Questo, probabilmente, è l'unico proposito per l'anno nuovo che ho già iniziato a mettere in atto concretamente, certo ho scucito un bel po' di soldi, ma sono soldi ben spesi, perché so che mi daranno l'opportunità di partecipare a delle mostre, di far vedere anche ad altri quello che i miei occhi vedono e immortalano per sempre. Attimi, ma attimi di quelli che durano tutta la vita.
Oggi mentre rientravo dall'allenamento ho sorriso per un ricordo, ho sorriso di cuore, senza pensarci, mi è sopraggiunta la domanda: "Chissà a chi manderà le foto della cena aziendale?"
Una domanda che sappiamo non dovrei pormi, eppure ho sorriso ricordando le foto ricevute, i messaggini con le descrizioni di pance piene e mente annebbiata dai fumi dell'alcool. Chissà se nevicherà quest'anno. Altre foto perderò se ciò dovesse accadere, ma non importa, vorrà dire che le scatterò io, andrò in giro a scattar foto se dovesse nevicare. Piagnucolo un po' adesso, ma vi giuro che stamani sorridevo a questi ricordi. Non facevano male, ma si sa la sera le barriere vengono meno, il dolore si rafforza e quei fiori che mi hanno portato mezzi appassiti e che mi servono per un progetto fotografico mi guardano troppo colorati e ancora troppo ritti per rappresentarmi, spero che nel weekend siano appassiti al punto giusto per divenire il mazzo nuziale di una Penelope in attesa. Perduta tra i pensieri come al solito le parole e i concetti si confondono ed ora c'è anche Slash con questa qui che non aiuta proprio per nulla:


She is watching, heart aching with sorrow
She is broken is broken, as she waits
Hoping when all is said and done we can learn to love and be as one

giovedì 26 novembre 2015

Non essere nulla di più di niente

C'è chi diventa mamma per la prima, seconda o infinita volta e poi ci sono io che mi ritrovo a giocare con le bambole, però badate bene, ci gioco in ambito fotografico, da bambina non mi sono mai interessate troppo, non che ad oggi ne sia attratta particolarmente, ma ci sono quelle ispirazioni del momento che vanno seguite e mi ritrovo a giocare con bambole e luci e pose manco fossero mini modelle, eppure mi hanno già un po' annoiato, sarà che lo stimolo se ne è andato a farsi un giro, sarà che ho bisogno di vagare quanto più possibile con la mente, perché se mi fermo mi ammazzo di pensieri e sinceramente ho smesso di pensare, preferisco zittire ogni barlume di pensiero prima ancora che l'avvisaglia alzi la bandierina dell'allerta pericolo. D'altra parte lo stimolo del mutamento deve essere un po' abbandonato, vuoi per il tempo inclemente, vuoi per pigrizia, vuoi perché da amante dell'inverno mi sono ritrovata a divenire orso e il letargo lo prediligo di gran lunga al batter forte i denti per il gelo di queste serate. Un po' di sano letargo tuttavia non credo mi possa nuocere, certo nel letargo non resto immobile, mi mantengo attiva allenandomi, lavorando, badando ai miei piccoli nanetti adolescenti e al loro voler emulare prematuramente i grandi con tutte le conseguenze che ne comportano, come oggi che, il mio nuovo allievo, detto Gianni Morandi piccino (è uguale uguale) ha fumato una sigaretta e si è sentito male, ha vomitato pure l'anima poverino ed io li a dirgli che sarà la prima di una di quelle vomitate che si ricorderà a vita. Ricordo la mia ultima, coincide con l'ultima volta che mi sono ubriacata di brutto, ma proprio brutto brutto, parevo la tipa dell'esorcista, ma cribbio, ad oggi, dico che ne è valsa proprio la pena. Errare humanum est. Si dice cosi vero? Ben vengano gli errori, di qualunque tipo essi siano, perché solo sbagliando si impara realmente, un po' come il mio far sbagliare di proposito gli allievi con le equazioni, le proporzioni o qualunque argomento matematico, perché sarebbe troppo facile indicare loro l'errore, ma sono loro che devono comprendere dove sbagliano e correggere la volta dopo, una volta compreso l'errore stupido o grave e chissene se ci mettono due ore su una espressione, alla fine sapranno farle ad occhi chiusi (quelli mentali gli occhietti). Un metodo probabilmente criticabile, ma è il mio metodo e sino ad ora nessuno in questi diciotto anni è mai stato bocciato o rimandato in qualche materia, anzi sono giunti alla fine delle superiori senza troppa fatica. E fermo per iscritto questa giornata passata a consolare un piccolo ometto alla sua prima asfaltata senza ritegno, dove il mio cane si sentiva un piccolo infermierino preoccupato ma più ingombrante di un elefante. Ora mi rilasso. Mi fermo. Smetto di mantenere i blocchi attivi e mi lascio andare nell'oblio del ricordo dell'ultima volta in cui con piacere ho assistito chi stava male, nonostante per la persona non fossi nulla di più di niente.

mercoledì 25 novembre 2015

Piece of my heart


Take it! 
Take another little piece of my heart now, baby,
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart, 
now darling, yeah, yeah, yeah.


venerdì 20 novembre 2015

You're A Lie


The sun is gone
You can go.
Cause you're a lie lie
Lie, lie
All my faith has been wasted, wasted
Cause you're a lie lie
Lie, lie

Tutto sommato va bene. Ci si abitua a tutto.

Le cose migliori dell'amore accadono per caso, 
si capiscono dopo.
Erri De Luca

L'autografo di De Luca è giunto puntuale così come quella torta che non ho preparato ma che ho fatto preparare. Assieme a quel piccolo pensiero a cui tenevo proprio oggi ho iniziato a fare un passo in avanti, piccolino, nulla di eclatante, ma mi fa dire con più sicurezza "Sei una fotografa", niente compensi, non ancora, per quanto siano prossimi, quanto piuttosto il semplice atto di compilare due moduli, due iscrizioni che reputo importanti per potermi lanciare senza paracadute alcuno verso quello che al momento mi sembra l'unica via di fuga dalla realtà, certo la scrittura rimarrà sempre il mio primo vero amore, ma ad essa si è aggiunta da un po' di anni la necessità di andare oltre, di forzare il limite della ragione lasciando che una storia venga fuori anche solo tramite qualche immagine, scatti che raccontano. Difficile, lo ammetto, spesso la mia autocritica mi fa dire "No, non mi dice nulla questo scatto" eppure poi finisce che quello stesso scatto ad altri racconta quello che poi volevi raccontare, ma che non vedi impresso. La fotografia è anche questo. Da oggi, quindi, si inizia a fare sul serio. Piccoli passettini ancora un po' incerti, traballanti come quelli di un bambino che sta imparando a camminare da pochissimo e che ancora inciampa e cade, ma che ha anche la forza di tirare su col naso e rimettersi di nuovo in piedi. Forza. Quella che sento ancora mancante in buona percentuale, ma che sto cercando di recuperare senza strafare. 
La citazione scelta di De Luca è una delle tante che mi piacciono, ma racchiude anche una speranza malsana, la mia speranza malsana, un po' come un Don Chishotte in gonnella che lotta contro i mulini a vento. Sì, da tempo immemore mi sento proprio come Don Chishotte, ma nonostante tutto, apprezzo di lui la forza di volontà che gli ha permesso di andare avanti. Quella speranza, la speranza che la comprensione venga dopo, pur essendo pienamente consapevole dell'irrealtà della cosa, della concretezza di quanto ciò non sia proprio possibile in nessuna percentuale, nemmeno la 0.00001%, non c'è alcun numerino sono solo zeri, eppure la speranza malsana rimane attiva, un po' come il mio essermi data una scadenza, ok, lo ammetto, per certi versi quella scadenza mi è comoda, allontana i Proci indesiderati, ma d'altra parte realmente in me vive quella speranza che mi fa desiderare la favola, sì, perché mio malgrado ho assaporato la favola, la stessa che, a conti fatti, non è mai stata, a questo punto realistica, eppure... Eppure c'era, l'ho percepita, l'ho vissuta come tale e me ne sono inebriata a tal punto da non riuscire ad andare totalmente avanti, non ancora, senza quell'ultimo appiglio, senza quella voglia che mi fa dire "Potrebbe rendersi conto che ha sbagliato, che ha avuto paura!". Me la racconto, lo so io e lo sapete voi che mi leggete, ma che posso dire? Affermare: "Io non lo amo più" sarebbe una bugia abominevole ed io non sono proprio capace di mentire. Certo ho avuto una miriade di primi appuntamenti, una miriade di occasioni, di nuove conoscenze, ma erano lì appese, inutili. Vuote dimostrazioni fine a se stesse che potevo farcela, ma dentro, dentro non ce la facevo, non ce la faccio. Ci provo, per carità, ci provo ancora di tanto in tanto, in maniera molto più sporadica, alla fine dedicare tempo alle conoscenze me lo leva per qualcosa a cui realmente posso dare ben più attenzione di quanto un paio di ore in compagnia di qualcuno di cui non mi importa assolutamente nulla e di cui so già a primo acchito, non mi importerà in futuro, non mi va. E ancora una volta voli pindarici, parole che si perdono e concetti che si mescolano tra di loro, positività e negatività. Dualismi. Quegli stessi dualismi che lo avvicinarono, ma che non sono, poi, serviti a farlo restare. Sparito. Assente. Estraneo. Testardamente convinto di essere nel giusto e quindi impossibile da esaudire quella malsana speranza. E poi la quasi conferma di chi mi viene dietro, ma che distruggerei perché sono oramai bruciata e distrutta, rabbiosa verso chiunque può interessarsi a me. Nera. Oscura. Morta come quei fiori che devo andare a ritirare prima di iniziare l'ennesimo progetto fotografico. Fiori morti per abbellire una persona morta (me). Mi ha ucciso l'amore, mi ha ucciso un treno preso senza pensarci poi troppo, mi ha ucciso quell'incoscienza, quell'abbattere barriere e muri che sino ad allora mi aveva protetta dalle intrusioni. Sono morta e no, non sono una fenice, io non risorgo, non più. Non amerò tanto facilmente, non mi fiderò più, lo faccio già. Diffido delle parole, dei complimenti, delle voglie, dei desideri, diffido dei gesti, diffido di chiunque e di me stessa. Mi castro. Mi censuro. Viene facile essendo totalmente vuota. Svuotata e abbandonata. Sorrido di più, piango di meno in maniera concreta, ma il pensiero resta immutato, non si spegne, come quelle dita che vorrebbero scrivere, eppure, una volta attivate, una volta deciso di saltare il fossato, mi abbandonano. L'anima è fuggita via. Spaventata dimora lontana da me, esiliata, picchiata, umiliata, isolata. 
Tutto sommato va bene. Ci si abitua a tutto. 

martedì 17 novembre 2015

Opinioni di chi sa di non sapere

(Foto di mia proprietà - Serie bambole)
Senza volerlo, e lo giuro, non volevo e non era mia intenzione, ho risvegliato i destroidi miei amici e/o conoscenti su di un social. Ho solo posto una considerazione, paradossalmente lì dove di solito non condivido che il minimo indispensabile. Ed ecco venirsi a creare un putiferio di fascistoni convinti che a violenza si risponde con violenza, gli stessi che poi la domenica professano il verbo di un Dio che, se non ricordo male, diceva di porre l'altra guancia ad uno schiaffo ricevuto e no di rispondere con uno schiaffo a nostra volta. La mia opinione naturalmente è una goccia in un oceano intero, ma resta la mia opinione, una opinione informata, o almeno ho cercato di informarmi per quello a me concesso, interesse e voglia di farlo, sia chiaro, non sono la saputella di turno che sa per filo e per segno cosa stia accadendo, non lo so e sono la prima ad asserire di essere abbastanza menefreghista su questo argomento come su quasi tutto il resto, ma ho imparato sin troppo presto quanto l'informazione sia sotto il dominio di potenze ben più grandi, le stesse potenze che noi, pecorelle abbiamo eletto. Quindi no, se mi si chiede se ho una soluzione differente dall'imbracciare un fucile e inneggiare una guerra, non ne ho, ma so che con una risposta violenta non si ottiene la pace. La storia insegna che ad ogni guerra ne è susseguita un'altra e dopo un'altra e un'altra ancora. Lì dove, come ho spiegato abbondantemente sul social nella speranza che le menti si aprissero, il Dio Danaro e il Dio Petrolio fanno gola da sempre a chi ha subito i minimi danni (e con ciò non dico che il centinaio di morti di Parigi siano giustificabili, lungi da me asserire una stronzata simile, sono la prima che se ne dispiace) e non solo. Attaccare un posto X per partito preso, fregandosene delle guerre civili in atto da anni oramai, dove ogni giorno muoiono non cento e passa persone ma migliaia di padri, figli, sorelle, fratelli, madri e chi più ne ha più ne metta, li dove ha avuto origine quella maledetta scissione dove più gruppi professano il credo di un Dio simile ma altresì così differente, non può di certo portare alla pace o all'esaudire una vendetta che sono certa non vogliono le famiglie dei caduti che l'altro ieri erano in giro a passeggiare, in un ristorante a mangiare o ad un concerto, l'attacco che c'è stato la scorsa notte (vista l'ora attuale) in posti dove si PRESUME vi siano stati basi e quartier generale dei terroristi fedeli all'Isis (vi invito a dare un'occhiata, se non lo avete fatto, ad un video pubblico che gira su Facebook da qualche giorno: 


giusto per aiutarvi a capire che Isis non sta a dire un luogo fisico pieno di cattivoni invasati, quanto una piccola parte di invasati che ha iniziato una guerra interna basando la propria pazzia come taluni Cristiani (esaltati) hanno fatto in passato in varie zone del Mondo, insomma una storia che si ripete come la storia in genere). Quel presume in maiuscolo la dice lunga su quanto l'attacco, dal mio modesto parere, parere di chi come disse il grande Socrate "sa di non sapere", è basato praticamente sul nulla. Ipotesi e congetture. Per non parlare delle foto dei missili con la scritti "From Paris with love", false come una monetina da un euro e cinquanta per intenderci, ma che riempiono le home del social (Fb, twitter etc) manco fosse doveroso sottolineare una cosa che ci han piazzato li tutte le più grandi testate giornalistiche. Il mio interesse tuttavia si è risvegliato nel considerare l'alleanza venutasi a creare tra Stati Uniti e Francia, guarda un pochetto proprio le due grandi nazioni che hanno fatto promesse (vedetevi il video linkato) e che non le hanno poi mantenute. L'attenzione poi si va a spostare su quanto è accaduto ventiquattro ore prima degli attentati a Parigi, di Beirut non ne ha parlato nessuno, una notizia che è passata sottobanco, irrilevante, non ci appartiene, non ci interessa vero? E invece no. Chi se ne frega di quelli lì che da più di un decennio sono sotto assedio? Fa più gola per i giornali parlare di ragazzi europei che si stavano godendo un venerdì sera piuttosto che di 45 morti e più di duecento feriti, tanto lì muoiono spesso e quotidianamente.
Personalmente incolpo la nostra cecità, il nostro voler vedere solo quello che ci è più vicino e il fregarcene di cosa accade dietro le quinte di un teatrino costruito ad arte da chi detiene il potere assoluto, ma noi da brave caprette giustamente che possiamo fare? Nulla, a parte indignarci non possiamo fare nulla. E non mi venite a dire "vogliamo la guerra" stile Miss Italia 2015, perché poi non ne sopportereste il peso. Se quei fori di proiettili mi hanno inquietato in Bosnia, se voi stessi avete trattenuto il fiato nello seguire passo passo venerdì sera quello che è accaduto a Parigi abbiate il coraggio di mordervi la lingua e di legarvi le ditine belle che avete perché inneggiare una guerra non porta a nulla di più se non morte. Morte e morte. Né più né meno di quello. E lì vi viene in mente la fatidica domanda: "E allora tu cosa proponi di fare?". Io che non sono nessuno penso che le promesse vadano mantenute, abbiamo promesso quella terra? Date loro la terra, gestissero loro quel posto, gestissero loro il Dio petrolio, aiutiamo i Siriani che non c'entrano nulla con gli esaltati militanti dell'isis a riprendersi la propria vita, volete la guerra? Aiutate loro. Coi mezzi tecnologici a nostra disposizione si può trovare l'ago nel pagliaio figuriamoci questi maledetti invasati. Se hanno trovato Osama bin Laden volete che non sappiano dove sono questi tizi? Lo sanno, fidatevi, loro lo sanno, quindi non sta a me trovare una soluzione. Sbaglio o paghiamo le tasse affinché loro trovino piani atti alla risoluzione dei problemi?. La mia l'ho detta ora sta a voi crearvi la vostra opinione. Riposino in pace i parigini e non uccisi, ma anche tutti i siriani e palestinesi massacrati per il vile danaro che fa troppa gola. Ora lapidatemi pure, ci sono abituata.

domenica 15 novembre 2015

Lacrime nere

(Foto di mia proprietà - Serie bambole)
Avrei cosi tanto da scrivere, ma le parole sono lì, bloccate, frenetiche, accalcate. Dissipare la matassa che si è creata mi porta solo a mescolarle ancora di più, un po' come quando vogliamo sbrogliare le cuffiette del lettore mp3 o dello smartphone. Ho pensato tanto in questi giorni, la nebbia e l'umidità mi hanno portato pensieri e preoccupazioni, ansie riguardanti chi non mi è mai appartenuto e che non deve più essere una mia preoccupazione. Quello che è accaduto a Parigi, ha aperto il vaso di Pandora, altri pensieri si sono creati e affollati, mescolati, ingarbugliati a quelli che già non riuscivo a gestire. Ammetto che ai pensieri si sono aggiunti anche i ricordi, parole e frasi che mi son state dette, oramai, tempo fa, troppo tempo fa, prive di valore oramai, vuote parole prive di significato con il senso del poi. Pensieri che sono stata io ad elaborare questa volta, non che ne avessi bisogno in realtà, sono sempre stata sicura di quello che ho provato, non ho mai vacillato coi sentimenti, io non ho provato solo emozione. Ho amato. Amato veramente in maniera incondizionata, senza remore. Ho amato i pregi ma ancor di più i difetti. Quelli, per quanto mi facessero impazzire, li mantengo vivi ancor oggi gelosamente, sono miei, erano scaturiti da me, tutto sommato erano per me, rivolti solo a me. 
Probabilmente l'unica cosa che dovrei smettere di fare è preoccuparmi per chi non c'è e iniziare a preoccuparmi di chi c'è, ci sarà, ma ancora fatico a lasciare andare via per la propria strada chi, purtroppo, rimane il mio pensiero costante. Ed eccomi nuovamente a tirar fuori come un prestigiatore dal suo cappello magico parole e pensieri che appaiono incoerenti. Eccoli di nuovo ad affollarsi nella mente ed ecco le lacrimucce riempirmi gli occhi. "Se fosse il tuo ultimo giorno con chi lo vorresti passare?" la mia risposta era e resta sempre la stessa a differenza di chi se l'è posta prima di me, un anno fa oramai e che con molta probabilità è mutata, non do per scontato non fosse reale all'epoca, ma ad oggi... Oggi non è praticamente possibile che sia la medesima, ma è giusto cosi, è coerente con quello che non c'è mai stato in fin dei conti. Eppure dovrei smetterla io di essere coerente, andare veramente avanti e non fingere solamente. Fosse facile, ma non lo è, non che qualcuno mi abbia detto il contrario, nessuno ha mai affermato lo fosse, facile, intendo, eppure, se solo fosse più facile, se solo non ci fosse la nebbia e l'umidità a farmi preoccupare per i suoi mal di testa, se solo non ci fosse un evento catastrofico come quello capitato a Parigi, non penserei a chi vorrei al mio fianco se fossero gli ultimi attimi della mia vita. E poi... Poi penso a una cosa letta qualche tempo fa, questa qui:

"Nessuno parla più di te; sembra essere arrivato quel momento in cui tutti pensano che non valga più la pena affrontare l’argomento con me. Nessuno mi chiede più “l’hai sentito?” o “l’hai più visto?” perché tutti danno per scontato che non sia così e forse è meglio, perché forse sarebbe imbarazzante dimostrare a tutti che a volte ti amo ancora. A volte, dico, solo a volte. Però mi dispiace, anche se mi piace la sensazione che si prova a essere obbligata a non pronunciare il tuo nome. Mi dispiace che il mondo abbia deciso che non sia più il mio momento di piangere per te. Io di lacrime da sprecare ne avevo ancora un po’ e di parole da dedicarti ne avevo ancora parecchie, non tutte gentili, certo, ma tutte per te.Susanna Casciani

In effetti più nessuno mi chiede di lui da un po' di tempo oramai, danno tutti per scontato che mi sia passata ed io non faccio nulla per far comprendere che tanto passata non lo sia, far preoccupare gli altri non è nella mia indole, penso sempre più agli altri di quanto possa pensare prima a me stessa, sono fatta cosi e non penso che alla ma età si possa più cambiare, eppure ieri notte l'ho tirato fuori, ne ho parlato. Le parole si sono confuse come i concetti, ma alla base sempre amore e giustificazioni. Dubbi e perplessità. Caos totale di parole ed emozioni. Un po' come quando mi hanno chiesto quante lune devono passare ancora prima di potermi definire libera. Sono tredici, ma è un palliativo anche quello, me la sto raccontando per darmi la forza sufficiente a vivere come meglio posso. Di lune ne saranno passate nove prossimamente saranno dieci, la mia data di scadenza coincide con l'anno. Un anno intero di speranza, un anno intero di attesa. Un anno di bugie, un anno di nulla, un anno di dolore, ma ne parlerò allo scadere di quel giorno, ora sarebbe tutto molto buttato li alla rinfusa. Silente la speranza di non arrivarci a quell'anno. Muta, ma non troppo, la speranza che Ulisse torni da Penelope, ma si sa, la vita vera è diversa da quello che si legge nei libri. Esco. Non ho più voglia di stare qui. Le parole e i pensieri sono troppo aggrovigliati. Non li so più gestire.

venerdì 13 novembre 2015

Vita al condizionale

(Foto di mia proprietà -  Serie bambole)
La mia incapacità di sapere al momento cosa voglio si palesa ogni giorno di più anche nelle piccole cose che un tempo avrei fatto senza pensarci poi troppo. Un po' come il non sapere se stasera dovrò o meno uscire con annesso sapere di averne o meno voglia. Cercare o essere cercati? Ecco li l'inghippo. Il tranello. Il dubbio amletico e la totale assenza di senso di importanza. Praticamente da quando vivo con l'interruttore sull'ON della vita al condizionale, non me ne importa niente di nulla e nessuno, di uscire, di mettermi in tiro, di ricordarmi di fare le cose per tempo, di essere puntuale, di piacere. Dio ce ne scampi, piuttosto mi presento tutta... tutta... arruffata e svogliata a qualsivoglia appuntamento, non perché non potrebbe interessarmi la persona X di turno quanto piuttosto per un menefreghismo e una stanchezza totale che mi pervadono e mi spingono a dire un bel "Macchissene..." quindi ho deciso di fare la gnorri di turno, non cerco, non chiedo, prendo se mi vien dato, ma alla fine non do nulla più di quello che mi viene istintivo dare. Se da un lato rifuggo chi mi cerca costantemente dall'altro vorrei essere cercata, ma alla fine ritornerei al punto precedente e tornerei a fuggire. Loop perpetuo di un fancazzismo privo di emozioni. Chiusura. Menefreghismo. Condizionale. 
Potrebbe interessarmi.
Potrei innamorarmi.
Potrei se volessi.
Potrebbe cancellarlo.
Sì, potrei, potrebbe, ma intanto resto qui, con una montagna di cose da fare senza farne alcuna. Ascolto la musica, organizzo le foto per ammazzare il tempo con la stessa svogliatezza con la quale mi vesto la mattina. Vivo e tanto basta. Ci sono e non ci sono. Come una bambola dal capo decapitato lascio che la chioma celi tutto. Indifferente.

venerdì 6 novembre 2015

Una sciarpa arancione e una domanda costante.

Soulmate (anima gemella)
Significato: Una persona con la quale hai un’immediata connessione nel momento in cui la incontri – un’esperienza mai vissuta prima. Mentre questa connessione cresce nel tempo, provi un amore così profondo, forte e complesso, che inizi a dubitare di aver mai amato veramente qualcuno prima di questa persona. La tua soulmate ti capisce e si connette con te in ogni modo su ogni livello, il che ti porta un senso di pace, di calma e di felicità quando siete insieme. E quando non lo siete, ti rendi conto di più delle difficoltà della vita, di come legare con quella persona sia la cosa più significativa e soddisfacente che ti sia successa. Sei anche più consapevole della bellezza della vita, perché ti è stato fatto un dono e ne sarai sempre riconoscente.
(tratto dal web)

Cosa succede se la tua Soulmate viene meno? Quando la tua Soulmate non sente quello che senti tu? Cosa succede se perdi quello stato di pace e di grazia divina? Muori, sì, muori dentro, ti rinsecchisci come una prugna lasciata a marcire nel cestino e non desiderata, quindi mangiata, da nessuno. Muore qualcosa dentro, ti ritrovi arida, secca, priva di emozioni, accogli qualunque cosa, ma in realtà le scosse che puoi percepire non sono che un flebile ritorno, una eco senza senso, talmente inutili da essere irrimediabilmente accantonabili. Eppure persisti, non ricerchi più quelle stesse emozioni perdute, non sei cosi folle da desiderare qualcosa che sai sin troppo bene non sarà mai più com'era, non con chi ti ha creato quel senso di pace e ti donava calma assoluta semplicemente respirandoci assieme in assoluto silenzio. No, non lo ritroverai mai, forse, e sottolineo il forse, se sarai fortunata lo troverai di nuovo ma in una forma diversa, però persisti, non ti precludi nulla, nemmeno il più piccolo barlume di speranza, sì proprio speranza. Tu, tu che hai dichiarato più volte che hai abbandonato alle tue spalle la speranza eccoti li a sperare tuo malgrado e farti pensare come in un mantra senza fine: "Dove sei? Dove sei? Dove sei?".
Ma non ti è dato conoscere la risposta a quella domanda, non hai il dono della veggenza, non prevedi il futuro, non fai sogni che ti palesano quel che sarà e vai avanti lasciando che il condizionale sia la forma verbale più adatta alla tua vita. E partono quindi le filippiche date dai "Vedremo", "Se sarà", "Se succederà", "Lo scopriremo". Certo, ma poi in realtà non ci credi nemmeno troppo, puntualmente ritorni a fare paragoni dopo nove fottuti mesi quel "Dove sei?" ha un soggetto sottinteso ai più ma non a te, tu sai a chi vorresti urlarlo, tu sai a chi è rivolto, chi è il destinatario. Tu sai ma fingi. Menti anche a te stessa per farti forza. E poi? Poi crolli come un castello di carte instabile. Crolli su una canzone, crolli su una parola letta, crolli su un paio di ciabattine antiscivolo trovate nella scarpiera, crolli per colpa di una sciarpa arancione trovata nell'armadio ben imbustata perché non si sa mai che si vada a rovinare. Ed eccola li l'emozione, ecco le lacrime affiorare, hai tolto di nuovo la crosticina dalla ferita con le unghie, lasci che il sangue scorra nuovamente vivo, brucia, ma quanto sei stata peggio senza quel dolore oramai famigliare?

Song di sottofondo: Mi manchi di Mina

Shopping e complimenti (sgraditi)


Stamani nonostante il raffreddore e la tosse odiosissimi come un bel po' di spilli dritti sul culo, mi sono ritrovata a girare in lungo e largo, nelle orecchie musica impostata a random, senza scalette predefinite, non ne avevo bisogno, ogni cosa mi sarebbe andata bene pur di escludermi dal brusio delle persone. Mi sono fermata a comprare un po' di intimo, con un cane per casa mi ritrovo puntualmente ad avere meno reggiseni e mutandine di quanti ne potrei avere se lui non ci fosse. Ho scelto con cura i modelli, manco dovessi fare da modella per Victoria Secret, ma oh tra i miei vizi da donna compare proprio l'intimo, quindi anche per uno slippino comodo per tutti i giorni ci impiego più di dieci minuti per scegliere quello che poi andrò ad acquistare. Il commesso mi osservava, non si è avvicinato e non ha rotto come fanno di solito, figuriamoci, in quel frangente non sono mai insicura. So cosa mi dona, so cosa è comodo e so già a priori cosa voglio. Al momento del pagare la merce mi fa:
Commesso: "Signorina si prepara per i momenti bui?"


La mia espressione palesava chiaramente un bel vaffanculo senza mezzi termini, ma ho preferito rispondere in maniera acida con la verità:
Io: "Ho un cane che ama l'intimo femminile, gli piace strapparlo"


Ok, ammetto che detta così, uno malizioso avrebbe potuto pensare chissà cosa, ma do per buono che la risposta arrivata poco dopo sia per una presa in considerazione della frase per quello che era:
Commesso: "Non lo sa che costano?"

Ho fatto spallucce, pagato e me ne sono andata. Per strada ho beccato uno senegalese che mi ha fermata proprio mentre stavo canticchiando a labbra strette un pezzo rock che mi stava risuonando nelle orecchie, ho tolto le cuffiette per capire che cosa volesse:
Senegalese: "Ciao, lo sai che sei proprio bella?"
Ho sospirato, uno di quei sospiri misti di rotture di palle, noia ed esasperazione con annesso sguardo che punta verso il cielo.
Io: "Ma dove? (voce da trans) sono tutta raffreddata e influenzata"
Senegalese: "Sì, tu. Sei di qui?"
Ho annuito a mi sono messa a vedere le borse che aveva sulla bancarellina, ne ho comprata una per mia sorella, giusto per non apparire la stronza di turno snob e poco affine al credere ai falsi complimenti atti solo all'abbordaggio per il puro gusto di rifilare merce. Finalmente a casa, ritorno a vedere i completini presi, il cane li osserva, lo ammonisco e mentalmente gli dico che deve essere qualcun altro a strapparmeli non lui. Prima o poi naturalmente, per ora evito di lasciare il cassetto della biancheria intima aperta, tanto per far risparmio, perché ogni volta è un salasso.

giovedì 5 novembre 2015

Mal di testa e influenza più deliri vari

«Il dolore è passato. La vita lo ha trasformato in qualcos’altro; dopo averlo provato, dopo aver singhiozzato, lo si nasconde agli occhi del mondo come una mummia da custodire nel padiglione funerario dei ricordi. Passa anche il dolore provocato dall’amore, non credere. Rimane il lutto, una specie di cerimonia ufficiale della memoria. Il dolore era altro: era urlo animalesco, anche quando stava in silenzio. È così che urlano le bestie selvatiche quando non comprendono qualcosa nel mondo – la luce delle stelle o gli odori estranei – e cominciano ad avere paura e ululare. Il lutto è già un dare senso, una ragione e una pratica. Ma il dolore un giorno si trasforma, la vanità e il risentimento insiti nella mancanza si prosciugano al fuoco purgatoriale della sofferenza, e rimane il ricordo, che può essere maneggiato, addomesticato, riposto da qualche parte. È quel che accade ad ogni idea e passione umane».
Sándor Marái “Il gabbiano”

E mi ritrovo ad ascoltare la "sua" stazione radio preferita, non mi andava di vedere un film, di leggere o scrivere, non mi andava di mettere ordine tra le foto stampate per crearne dei piccoli reportage e non mi andava nemmeno di studiarmi il prossimo reportage, ho un mal di testa tremendo causato dall'influenza, niente febbre, solo tosse e raffreddore fortissimo. Probabilmente non avrei dovuto nemmeno metter su la musica, il mal di testa è rimasto costantemente fastidioso lì nello stesso posto, fermo come quei ricordi che non se ne andranno mai, non come il dolore emotivo che come ben scrive Marái d'un tratto si trasforma semplicemente in ricordo e i ricordi sono più malleabili, gestibili, usabili a proprio vantaggio o svantaggio a seconda dell'occorrenza, certo delle volte possiamo pensare che stiano prendendo il sopravvento, ma non è cosi. Gli occhi sono aridi, il vuoto creatomi divora tutto dentro, non sento più nulla, assolutamente nulla se non quel martellare le tempie e la musica che scorre dritta nelle orecchie tramite le cuffiette ma che, comunque, nemmeno sto ascoltando veramente, un semplice diversivo per non sentire il silenzio o la cacofonia dei rumori circostanti. Le domande ho imparato a zittirle, ad accantonarle, a riporle lontano, alla fine è stato semplice, mi è bastato tornare al preferire la censura, il silenzio verbale iscritto e mentale, mi è bastato concentrarmi su altro, qualunque cosa fosse quell'altro, entità colma di una miriade di significati e significanti, per mettere a tacere tutto quello che andava taciuto. 
Apprezzo quello che Emil Cioran ha scritto nei suoi "Sillogismi dell’amarezza": "Noi amiamo sempre… malgrado tutto; e questo “malgrado tutto” copre un infinito". Vero, lo condivido, si ama sempre... malgrado tutto, ma nonostante quel malgrado tutto, siamo in grado di alzarci le maniche e per noi stessi, per l'amore verso noi stessi, andare avanti, nonostante le difficoltà iniziali, nonostante la difficoltà nel cancellarsi dal luogo che vi ha fatto incrociare, nonostante quei ricordi, nonostante il pensiero costante (rimuovibile con un po' di sforzo), nonostante la presenza dell'assenza, nonostante lo stomaco che brucia, la rabbia, l'amore, la tristezza, l'incoerenza, la delusione, nonostante la consapevolezza, si torna a sorridere per delle sciocchezze.

lunedì 2 novembre 2015

Promesse mantenute e da mantenere.

«Di questo per me si tratta, di essere il resto di alcune persone,
 delle loro sottrazioni. Porto il vuoto che mi hanno lasciato».
Erri De Luca, “Non ora, non qui”

Lo ammetto, non vedo l'ora di avere tra le mani l'autografo con dedica fattomi da De Luca, ok, non gliel'ho chiesto io di persona, perché  dovevo lavorare, perché sono influenzata, perché... Perché... La giustificazione non è il mio forte, ma D. merita una torta con i fiocchi per essere riuscito lì dove io ho fallito. Mi ha tirato su portandomi in giro a far foto, mi ha spronato a scattare e partecipare ai contest, mi fa sorridere, mi è amico pur non essendolo realmente, e ora questo piccolo dono. Un regalo fatto senza secondi fini, per il semplice gusto e piacere di rendere felice me. Il collante, il clown, l'uomo che spronerebbe un sasso con la sua gentilezza mi ha rallegrato queste giornate in cui la gola mi fa male, la testa vaga sotto quel tappeto usato e logoro sotto cui non ci sta più nulla. Lui non mi ha reso un  resto, per lui sono una somma, una totalità, un essere umano degno di fiducia, amicizia e perché no? Degna di un sorriso, nonché "sfornatrice" di torte per autografi di scrittori che mi stanno a cuore. Di quegli scrittori che riempiono quel vuoto creatomi da chi mi ha lasciato. E vado avanti con un sorriso meno blando sulle labbra e qualche colpo di tosse. Ho freddo, ma posso gestire la mancanza e la voglia di braccia che non ci saranno più, che non ci sono, in realtà, mai state veramente. 

martedì 27 ottobre 2015

Passi abbandonati

(Foto di mia proprietà)

Il pugno stretto
intorno al mio cuore
si allenta un poco,
e io respiro ansioso luce;
ma già preme di nuovo.
Quando mai non ho amato
la pena d’amore?
Ma questa si è spinta
oltre l’amore fino alla mania.
Questa
ha la forte stretta del demente,
questa si aggrappa
alla cornice della non-ragione,
prima di sprofondare
urlando nell’abisso.
Tieni duro allora, cuore;
così almeno vivi.
Derek Walcott

Trattenersi dall'iniziare una conversazione colma di convenevoli e cose non dette. Domande taciute. Rancori. Dolori. Aspettative. Evito di farmi del male abbandonando alle mie spalle un paio di scarpe vissute, non totalmente, la tomaia è ancora sana, avrei potuto camminarci ancora a lungo, ma sono divenute scomode. Abbandono con una scrollata di spalle quell'antico dolore. Non svanisce, cosi come non sparisce la voglia di esserci, le domande, le curiosità, la voglia di conoscere e di contare qualcosa. Non sparisce mai nulla. In sottofondo Promise di Ben Howard risuona perfetto. Promisi di esserci, promisi di non dimenticare, promisi per te e per me, ma ad oggi, in questo giorno prometto a me di andare avanti. prometto di lasciare alle mie spalle quel macigno che mi porto dietro da mesi. Prometto a me di esserci, di amarmi, di non dimenticarmi. Prometto di indossare scarpe comode e nuove, perché in quelle vecchie, per quanto cosi famigliari, oramai il mio piede ci va troppo largo. Si sono sformate, svuotate. Fa freddo in quel vuoto privo di abbraccio. Mi voglio bene e mi trattengo, non è facile. Non lo è mai stato e non lo diventerà con il tempo, ma non posso fare altro che abbandonare. Sventolo una bandiera bianca. Resa. Hai vinto.

lunedì 26 ottobre 2015

Finestra sul passato

                                                                                        (Foto di mia proprietà)

Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d’essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l’abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro. «Ti amo perché ti gratti il polso in quel modo tutto tuo», questo per esempio vorremmo sentire, piuttosto che: «Ti amo perché sei generoso e affidabile».
C’innamoriamo di minuzie, di riflessi in cui vediamo l’altra persona come pensiamo che nessuno l’abbia mai vista e mai la potrà vedere, e custodiamo questi attimi di unicità in forma d’immagine, anche se negli anni sbiadisce; ma è a quell’immagine che chiediamo aiuto quando il nostro sentimento vacilla e dubitiamo di amare, allora la richiamiamo, e ci basta (quando ancora l’immagine è viva) ritrovare quel modo di bere a canna, tenendo la bottiglia distante dalle labbra, perché l’amore torni a insinuarsi e si riaccenda, rimettendo a posto le cose, disponendole intorno a noi nell’ordine rassicurante in cui ci siamo abituati a vivere, e ci lasci dove siamo, reprimendo di schianto i progetti di fuga a cui avevamo già cominciato a lavorare.
Diego De Silva, Mancarsi

Mi sono innamorata di un sorriso celato, di una rotara peggiore della mia, mi sono innamorata di un pizzetto scuro (proprio io che detesto i baffi e il pizzetto rispetto ad una folta barba), mi sono innamorata di occhi profondi che raccontavano tutto, ma che non ho mai visto realmente, mi sono innamorata di quella mano sulla fronte, di quelle rughette pensierose, mi sono innamorata dei mal di testa, dei "no" continui, della frustrazione, del non amore, degli abbracci asfissianti mentre dormivo, mi sono innamorata delle storie che mi si raccontavano, anche quando le avevo già udite, mi sono innamorata della premura di un pacco di biscotti comprato per me, mi sono innamorata di lenzuola scombinate, di una poltrona che ha impressa una forma a me oramai sconosciuta. Mi sono innamorata di piccole minuzie e dettagli che resteranno, nonostante il passare del tempo, impressi a fuoco nella memoria, piccoli fermo immagine recuperabili da finestre chiuse, ma che, di tanto in tanto apro per poter far prendere aria all'ambiente. Eppure nel mio caso specifico, richiamare alla memoria tutto ciò non serve a ritrovare quell'amore perduto, tutt'al più dovrei sbarrare le finestra abbandonarle, lasciare che le ragnatele e la muffa prendano il sopravvento, dovrei dimenticare, cancellare, ottenebrare quello che amo e che mi ha fatto innamorare, perché non ho altra alternativa se non quella di andare avanti. Incespicando, inciampando, cadendo e finendo con un ruzzolone per terra. Ma d'altra parte non sono io che gestisco il centro della memoria, mi si attiva da solo, le finestrelle basta un alito di vento più forte ed eccole li a sbattacchiare senza sosta. I ricordi ritornano. Scardinano le cicatrici, sanguina la ferita, ma si rimargina presto, almeno quello devo ammetterlo e tornano i progetti di fuga a cui, di volta in volta, torno ad elaborare per potermene tirare fuori, più o meno, illesa.

venerdì 23 ottobre 2015

Attese. Mancanze. Dolore. Resa.

(Dennis Stock "Love story")
«Non vedeva l’ora di incontrare Edmonde, di lanciarle il segnale, di leggere la risposta nei suoi occhi e di inabissarsi con lei in quell’universo». Georges Simenon, “I complici”

E manca, manca davvero sentire l'emozione di quell'attesa. Manca il voler battere il tempo, portarlo in avanti oppure rallentarlo a seconda del momento che si sta vivendo. Manca l'emozione del doversi separare pur sapendo di rivedersi nuovamente dopo poche ore. Manca il tumulto del cuore, quell'esplosione di tum tum senza fine che ti sembra di percepire anche nelle orecchie. Come se quel palpito possa essere udito da chiunque. Attesa. Penelope. Ulisse. Proci. Circe. Tutto ruota intorno al tempo, allo scopo, all'attesa, almeno lì, almeno in quel romanzo epico, nel mio Penelope si è arresa dopo mesi di dolore, lacrime e tele cucite e scucite. Penelope ha gettato la spugna. Si è data in pasto ai Proci sorprendendosi dei sorrisi che taluni le hanno scaturito o del semplice sentirsi a proprio agio in loro compagnia o non sorprendendosi affatto nel paragonarne gli atteggiamenti, le parole e la semplice presenza con Ulisse. Eppure Penelope ha rinunciato alla speranza. Penelope si è stancata di aspettare. Ha chiuso le porte a chiunque: Proci o Ulisse non fa più alcuna differenza. Nessuno (e no, non parlo di Ulisse con Polifemo) può accedere nelle sue stanze, a nessuno è concesso l'ingresso. Sola. Realmente sola. Amore per se stessa. Si basta Penelope, è tornata a bastarsi, eppure... Di tanto in tanto, le prende quel magone che le riempie gli occhi di lacrime, lo stomaco le si aggroviglia e i ricordi come fantasmi la perseguitano. Quelle emozioni perdute la pungolano invitandola ad aprire uno spiraglio, ma lei stringe i denti, sopporta e rifiuta. La mancanza delle emozioni è il male minore rispetto al dolore.

martedì 20 ottobre 2015

Il fabbro dell'amore

(Foto di mia proprietà)

Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
dicendo che è un mio emissario,
non credergli, anche se sono io;
ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
neanche che si bussi
alla porta irreale del cielo.
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
bussare, vai ad aprire la porta
e trovi qualcuno come in attesa
di bussare, medita un poco. Quello è
il mio emissario e me e ciò che
di disperato il mio orgoglio ammette.
Apri a chi non bussa alla tua porta
Fernando Pessoa

Una domanda che negli ultimi mesi mi viene posta in maniera velata e diretta è questa qui: "Ma se dovesse tornare tu che faresti?". Bella domandina che apre mondi paralleli con altrettante risposte contrastanti tra di loro eppure concretamente vere. Se dovessi rispondere con la pancia, quindi con l'emotività, direi "La porta per lui sarà sempre aperta!", dall'altra parte la me razionale invece, bastion contrario senza mezzi termini, direbbe "Sulla porta c'è un cartello: "TU QUI NON PUOI PIU' ENTRARE!". Districarsi tra le due personalità (che scritto cosi mi fa sembrare una psicopatica pronta per essere internata) non è facile, cosi come non è affatto facile rispondere ad una domanda del genere, un po' come la famosa e altrettanto spinosa domanda: "come stai?". Eppure penso che non sia difficile dare una risposta, ciò non toglie che alla medesima domanda, la sottoscritta devia o fa scena muta, più che altro è stato difficile mettersi da parte, sparire, dare spazio, abbandonare e abbandonarsi, perdere e perdersi, difficile è stato tutto il percorso che ha portato a quella domanda. Stupida io più che altro nel non essere capace di mentire e nell'essere cosi schietta e sincera dal palesare senza mezzi termini con chiunque che ho sì libertà nel frequentare o conoscere, ma che poi in realtà non mi ci senta perché ancora legata (innamorata) di chi alla fin fine non conosco più. Altro che Amleto con il suo essere o non essere. Comprendere e accettare che quello che sento nasce più che altro dalla paura di non sentire più niente, rispetto al provare veramente qualcosa di cosi profondo per chi poi, ad oggi, non so più chi sia. Si può amare chi non ti ama? No, in realtà non si dovrebbe, si può, ed è pure facile farlo, si amano i ricordi, i se, i ma, si ama chi conoscevi ma non c'è più o non c'è mai stato, si ama chi eri e come eri, si ama la sensazione di "casa" che quella persona ti faceva provare (e ti ha fatto provare fino all'ultima volta che vi siete parlati o visti), ma dall'altra parte c'è anche tutto il resto. C'è il non sapere chi sia ora (e sarò ripetitiva ma si diventa sconosciuti dopo), c'è il non saper giustificare certi atteggiamenti, certe parole, certi sotterfugi, non digerire le prese in giro, lo squallore dell'egoismo puro, non si digerisce più nemmeno la contraddizione che tanto ti aveva colpito in principio, eppure ti nascondi dietro un "sono ancora innamorata" perché non vuoi rischiare più. Non dopo che hai lottato con i denti e con le unghie per venirne un po' a galla, quel tanto che basta per respirare senza annaspare. Non dopo che hai rischiato il collasso per le sessanta notti passate in bianco a fissare il soffitto, non dopo i mesi passati a non mangiare perché lo stomaco si era talmente chiuso che solo l'odore del cibo ti creava conati di vomito. Non dopo esserti donata totalmente senza aspettarti nulla in cambio e alla fine sentirti dire che hai torto perché un ti amo non è mai stato pronunciato. Quella frase è solo un dettaglio, un pizzo su una tovaglia imbandita. I gesti, la premura, il tempo, le attenzioni e la presenza valgono più di mille parole. Il ti amo sono solo due parole messe assieme come un ti voglio bene troppo pronunciato. Eppure ti viene da chiederti se non hai voluto vedere e sentire cose che non c'erano in alcun modo. E per carità ci può stare, l'amore mette i prosciutti agli occhi fisici e non, eppure non posso non considerare tutto nel complesso. Parole su parole che un qualcosa significheranno pure o hanno significato, tempo verbale più corretto in questo momento. Ad oggi non contano più non per me, hanno perso valenza, le parole sono diventate vuote, solo parole, prive di pathos, di sentimento, prive di significato se non quello imposto dal senso comune. Smettere di credere non è difficile, ti basta una stilettata dritta al cuore e puff, non credi più. E quella porta. Abbandonata, dalla vernice scrostata, dalla maniglia e dalla serratura arrugginita, dal vetro sporco e rotto, resta chiusa, ci vorrebbe un fabbro o un piede di porco per aprirla, ma non è tutta li la difficoltà. All'interno poi c'è un caos incredibile che fa un baffo al caos primordiale, scatoloni di ricordi, di foto, di parole, scatoloni di vestiti, mobili, polvere e ragnatele hanno preso il sopravvento, farsi spazio non è per nulla facile, il desistere diviene più facile come scelta. E dopo questo volo pindarico torniamo alla famosa domanda. La risposta? Non lo so. La fiducia si è perduta e riconquistarla non è cosa da tutti. Ci vuole pazienza con le vecchie porte, il legno è gonfio per l'umidità, quante lacrime ne hanno percorso i solchi del legno? La serratura è arrugginita. Basterà un po' di olio? Pazienza e manualità, amore e tempo, però, aggiustano tutto.

lunedì 19 ottobre 2015

Illegalità, sorrisi e luna.

(Foto di mia proprietà)

Questo lunedì è quasi giunto al termine, manca effettivamente veramente poco e sarà già martedì. Ho passato un weekend assurdo. Tra l'imbucarsi in una casa abbandonata per scattare foto all'andare all'avventura verso un posto mai visitato con persone che non hai mai visto in vita mia, ma con le quali alla fine c'è un filo conduttore comune, ok, magari due se considero il folle che ama creare miscugli di persone. Io, piccola asociale misantropa, tutto sommato sono stata bene, quel lasciarmi alle spalle tutto, quel andare contro le regole dell'ordine comune, lo scavalcare un muro e la felicità in un unico scatto decente, vale tutto quello che avrei potuto rischiare, ma che cos'è la vita senza rischio? Per una foto, un singolo attimo rubato passerei mille giorni in prigione se poi la soddisfazione di avere qualcosa di buono mi faccia sentire cosi... Cosi bene. L'aggregazione, il mangiare con degli sconosciuti, il non sentirsi totalmente fuori posto, il non avere un pensiero costante, che, per carità c'era, eccome se c'era, nelle parole, nella gestualità, nella luna che ho immortalato e continuerò a immortalare, in quella mano su una gamba posata più per appiglio che per altro, un gesto che comunque mi ricorda quel che vorrei dimenticare. Una foto rubata con la voglia di farla e darla per la comicità della posa del soggetto, niente emozioni contrastanti, niente sentimenti, niente occhietti a cuoricino, semplice voglia di immortalare l'attimo. Due giornate differenti, due tipologie di foto diverse, ma che in comunque alla fine hanno avuto solo la mia amichetta luna. Essere me stessa senza esserlo veramente e non faticare minimamente perché mi sono potuta celare dietro la macchina fotografica e sorridere, sorridere, sorridere. Vorrei uno di quei sorrisi ora, potrei eliminare le lacrime che stanno riempiendomi gli occhi e che sto contrastando. Si va avanti. Devo andare avanti.

sabato 17 ottobre 2015

Viaggio rimandato e occhi ancora ciechi

Adesso avrei dovuto essere in viaggio, su un treno o un aereo, il mezzo non era più poi troppo importante, uno valeva l'altro per raggiungere quella meta che mi ero imposta. Eppure il viaggio è stato nuovamente rimandato. Il lavoro viene prima del mio bisogno di riprendermi del tutto, del mio bisogno di scrollarmi di dosso quel macigno sotto forma di velo nuziale che mi trascino da mesi. Ho bisogno di mettere le distanze per un paio di giorni da tutto, cellulare spento, computer abbandonato a casa, solo io, uno zaino e la macchina fotografica. Perdermi tra le braccia di vecchie amicizie e rivederne di nuove. Ho bisogno di staccare la spina, ma per ora devo solo stringere i denti e sopportare altre settimane infernali prima di poter scappare via, fingere che tutto vada bene, che quel fuggire possa essermi realmente di aiuto, ma so bene che non mi aiuterà poi molto. Ennesimo palliativo per far stare quieti i demoni almeno un paio di giorni. Controllo quotidianamente gli orari dei treni e degli aerei, organizzo nei minimi dettagli la fuga, accetto proposte di viaggiare in moto o in auto, come ho detto prima il mezzo è irrilevante, la meta... La meta è uno di quei posti che conosco, che non avrei messo nella lista dei posti da rivedere quanto prima, ma che d'un tratto è divenuto rilevante. Importante tanto quanto il mio incapponirmi affinché il viaggio abbia luogo. Trovare una sistemazione per un paio di notti non mi è difficile, ovunque vado un letto che mi aspetta lo trovo, avrei preferito non averlo per certi versi. Lasciare lo sguardo vagare nel vuoto interno, ma è giusto che qualcuno provi a salvarmi lì dove io stessa ho gettato da tempo la spugna. Un po' come l'aver smesso di scrivere realmente, un po' come quella censura auto procuratemi, perché tanto le parole oramai sono solo parole, prive di significato, prive di impronte, di emozioni, prive di senso. Disfattista. Pessimista. Vuota. Non servirà a nulla nemmeno il viaggio, ma chi lo sa, magari mi ricrederò. Ci si stanca, ammettiamolo, ad un certo punto apri gli occhi e i miei occhi hanno bisogno di vedere di nuovo.

venerdì 16 ottobre 2015

Ti ho voluto bene veramente


Così sono partito per un lungo viaggio
lontano dagli errori e dagli sbagli che ho commesso
ho visitato luoghi per non doverti rivedere
e più mi allontanavo e più sentivo di star bene
e nevicava molto però io camminavo
a volte ho acceso un fuoco per il freddo ti pensavo
sognando ad occhi aperti sul ponte di un traghetto
credevo di vedere dentro il mare il tuo riflesso
le luci dentro al porto sembravano lontane
ed io che mi sentivo felice di approdare
e mi cambiava il volto, la barba mi cresceva
trascorsi giorni interi senza dire una parola

E quanto avrei voluto in quell’istante che ci fossi
perché ti voglio bene veramente
e non esiste un luogo dove non mi torni in mente
avrei voluto averti veramente
e non sentirmi dire che non posso farci niente
avrei trovato molte più risposte
se avessi chiesto a te ma non fa niente
e non posso farlo ora che sei così lontano

Mi sentirei di dirti che il viaggio cambia un uomo
e il punto di partenza sembra ormai così lontano
la meta non è un posto ma quello che proviamo
e non sappiamo dove né quando ci arriviamo

Trascorsi giorni interi senza dire una parola
credevo che fossi davvero lontana
sapessimo prima di quando partiamo
che il senso del viaggio e la meta è il richiamo
perché ti voglio bene veramente
e non esiste un luogo dove non mi torni in mente
avrei voluto averti veramente
e non sentirmi dire che non posso farci niente
avrei trovato molte più risposte
se avessi chiesto a te ma non fa niente
e non posso farlo ora che sei così lontano
non posso farlo ora