venerdì 20 novembre 2015

Tutto sommato va bene. Ci si abitua a tutto.

Le cose migliori dell'amore accadono per caso, 
si capiscono dopo.
Erri De Luca

L'autografo di De Luca è giunto puntuale così come quella torta che non ho preparato ma che ho fatto preparare. Assieme a quel piccolo pensiero a cui tenevo proprio oggi ho iniziato a fare un passo in avanti, piccolino, nulla di eclatante, ma mi fa dire con più sicurezza "Sei una fotografa", niente compensi, non ancora, per quanto siano prossimi, quanto piuttosto il semplice atto di compilare due moduli, due iscrizioni che reputo importanti per potermi lanciare senza paracadute alcuno verso quello che al momento mi sembra l'unica via di fuga dalla realtà, certo la scrittura rimarrà sempre il mio primo vero amore, ma ad essa si è aggiunta da un po' di anni la necessità di andare oltre, di forzare il limite della ragione lasciando che una storia venga fuori anche solo tramite qualche immagine, scatti che raccontano. Difficile, lo ammetto, spesso la mia autocritica mi fa dire "No, non mi dice nulla questo scatto" eppure poi finisce che quello stesso scatto ad altri racconta quello che poi volevi raccontare, ma che non vedi impresso. La fotografia è anche questo. Da oggi, quindi, si inizia a fare sul serio. Piccoli passettini ancora un po' incerti, traballanti come quelli di un bambino che sta imparando a camminare da pochissimo e che ancora inciampa e cade, ma che ha anche la forza di tirare su col naso e rimettersi di nuovo in piedi. Forza. Quella che sento ancora mancante in buona percentuale, ma che sto cercando di recuperare senza strafare. 
La citazione scelta di De Luca è una delle tante che mi piacciono, ma racchiude anche una speranza malsana, la mia speranza malsana, un po' come un Don Chishotte in gonnella che lotta contro i mulini a vento. Sì, da tempo immemore mi sento proprio come Don Chishotte, ma nonostante tutto, apprezzo di lui la forza di volontà che gli ha permesso di andare avanti. Quella speranza, la speranza che la comprensione venga dopo, pur essendo pienamente consapevole dell'irrealtà della cosa, della concretezza di quanto ciò non sia proprio possibile in nessuna percentuale, nemmeno la 0.00001%, non c'è alcun numerino sono solo zeri, eppure la speranza malsana rimane attiva, un po' come il mio essermi data una scadenza, ok, lo ammetto, per certi versi quella scadenza mi è comoda, allontana i Proci indesiderati, ma d'altra parte realmente in me vive quella speranza che mi fa desiderare la favola, sì, perché mio malgrado ho assaporato la favola, la stessa che, a conti fatti, non è mai stata, a questo punto realistica, eppure... Eppure c'era, l'ho percepita, l'ho vissuta come tale e me ne sono inebriata a tal punto da non riuscire ad andare totalmente avanti, non ancora, senza quell'ultimo appiglio, senza quella voglia che mi fa dire "Potrebbe rendersi conto che ha sbagliato, che ha avuto paura!". Me la racconto, lo so io e lo sapete voi che mi leggete, ma che posso dire? Affermare: "Io non lo amo più" sarebbe una bugia abominevole ed io non sono proprio capace di mentire. Certo ho avuto una miriade di primi appuntamenti, una miriade di occasioni, di nuove conoscenze, ma erano lì appese, inutili. Vuote dimostrazioni fine a se stesse che potevo farcela, ma dentro, dentro non ce la facevo, non ce la faccio. Ci provo, per carità, ci provo ancora di tanto in tanto, in maniera molto più sporadica, alla fine dedicare tempo alle conoscenze me lo leva per qualcosa a cui realmente posso dare ben più attenzione di quanto un paio di ore in compagnia di qualcuno di cui non mi importa assolutamente nulla e di cui so già a primo acchito, non mi importerà in futuro, non mi va. E ancora una volta voli pindarici, parole che si perdono e concetti che si mescolano tra di loro, positività e negatività. Dualismi. Quegli stessi dualismi che lo avvicinarono, ma che non sono, poi, serviti a farlo restare. Sparito. Assente. Estraneo. Testardamente convinto di essere nel giusto e quindi impossibile da esaudire quella malsana speranza. E poi la quasi conferma di chi mi viene dietro, ma che distruggerei perché sono oramai bruciata e distrutta, rabbiosa verso chiunque può interessarsi a me. Nera. Oscura. Morta come quei fiori che devo andare a ritirare prima di iniziare l'ennesimo progetto fotografico. Fiori morti per abbellire una persona morta (me). Mi ha ucciso l'amore, mi ha ucciso un treno preso senza pensarci poi troppo, mi ha ucciso quell'incoscienza, quell'abbattere barriere e muri che sino ad allora mi aveva protetta dalle intrusioni. Sono morta e no, non sono una fenice, io non risorgo, non più. Non amerò tanto facilmente, non mi fiderò più, lo faccio già. Diffido delle parole, dei complimenti, delle voglie, dei desideri, diffido dei gesti, diffido di chiunque e di me stessa. Mi castro. Mi censuro. Viene facile essendo totalmente vuota. Svuotata e abbandonata. Sorrido di più, piango di meno in maniera concreta, ma il pensiero resta immutato, non si spegne, come quelle dita che vorrebbero scrivere, eppure, una volta attivate, una volta deciso di saltare il fossato, mi abbandonano. L'anima è fuggita via. Spaventata dimora lontana da me, esiliata, picchiata, umiliata, isolata. 
Tutto sommato va bene. Ci si abitua a tutto. 

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