venerdì 23 ottobre 2015

Attese. Mancanze. Dolore. Resa.

(Dennis Stock "Love story")
«Non vedeva l’ora di incontrare Edmonde, di lanciarle il segnale, di leggere la risposta nei suoi occhi e di inabissarsi con lei in quell’universo». Georges Simenon, “I complici”

E manca, manca davvero sentire l'emozione di quell'attesa. Manca il voler battere il tempo, portarlo in avanti oppure rallentarlo a seconda del momento che si sta vivendo. Manca l'emozione del doversi separare pur sapendo di rivedersi nuovamente dopo poche ore. Manca il tumulto del cuore, quell'esplosione di tum tum senza fine che ti sembra di percepire anche nelle orecchie. Come se quel palpito possa essere udito da chiunque. Attesa. Penelope. Ulisse. Proci. Circe. Tutto ruota intorno al tempo, allo scopo, all'attesa, almeno lì, almeno in quel romanzo epico, nel mio Penelope si è arresa dopo mesi di dolore, lacrime e tele cucite e scucite. Penelope ha gettato la spugna. Si è data in pasto ai Proci sorprendendosi dei sorrisi che taluni le hanno scaturito o del semplice sentirsi a proprio agio in loro compagnia o non sorprendendosi affatto nel paragonarne gli atteggiamenti, le parole e la semplice presenza con Ulisse. Eppure Penelope ha rinunciato alla speranza. Penelope si è stancata di aspettare. Ha chiuso le porte a chiunque: Proci o Ulisse non fa più alcuna differenza. Nessuno (e no, non parlo di Ulisse con Polifemo) può accedere nelle sue stanze, a nessuno è concesso l'ingresso. Sola. Realmente sola. Amore per se stessa. Si basta Penelope, è tornata a bastarsi, eppure... Di tanto in tanto, le prende quel magone che le riempie gli occhi di lacrime, lo stomaco le si aggroviglia e i ricordi come fantasmi la perseguitano. Quelle emozioni perdute la pungolano invitandola ad aprire uno spiraglio, ma lei stringe i denti, sopporta e rifiuta. La mancanza delle emozioni è il male minore rispetto al dolore.

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