lunedì 12 ottobre 2015

Parole rubate e deliri soggettivi

«E poi c'è la lettera della notte, non si capisce come il petto possa allargarsi abbastanza e contrarsi per respirare quest'aria, non si capisce come si possa essere lontano da te».
Franz Kafka - Lettera a Milena, Praga, 5 VII 1920

E una lettera non è mai solo una lettera, una lettera è un insieme di parole, un insieme di parole sono un'insieme di significati e ogni singolo significato racchiude in se una moltitudine di emozioni soggettive e perché no? Delle volte anche oggettive, se chi legge lo sa fare con empatia. Ho smesso di scrivere lettere, farlo non ha mai avuto senso, non mi libero di nulla, sprigiono solo emozioni trascrivendole, ma non le libero, restano imprigionate sempre lì, regnano ribelli e guerrigliere dentro. Contrastanti. Incoerenti. Vivono. Ho smesso di scrivere in toto. Niente lettere, niente frasi, niente diari, niente parole, lascio che mi facciano impazzire giorno per giorno, come quelli che si iniettano il veleno dei serpenti per rendersi immuni al suo effetto. A qualcosa servirà, almeno credo.

«Entrò nel buio delle coperte e mi coprì tutto il corpo col suo. Stavo sotto di lei a tremare di felicità e di freddo. Le nostre parti combinavano una coincidenza, mano su mano, piede su piede, capelli su capelli, ombelico su ombelico, naso a fianco di naso a respirare solo con quello a bocche unite. Non erano baci, ma combaciamento di due pezzi. Assorbiva il mio freddo e la mia febbre, materie grezze che impastate nel suo corpo tornavano a me sotto peso di amore».
Erri De Luca “Il contrario di uno”

Ogni volta che leggo questo piccolo stralcio mi ritrovo a visionare una fotografia mentale talmente nitida da apparirmi palpabile, un fermo immagine, un ricordo, una emozione falsata, a senso unico, perduta, irreale. Un qualcosa che è accaduto realmente, concretamente, ma che celava inganno. Voler vedere e sentire quello che non vi è. Paraocchi dati da una felicità che non pensi di meritare, ma che invece meriti più di chi ti ha illuso, ha giocato, ti ha conquistato e gettato annoiato e senza emozioni.

«E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva».
Alessandro Baricco, “Castelli di rabbia”

Successivamente questa frase si susseguirebbe perfettamente in un filo logico abbastanza plausibile, certo se le favole esistessero, se la realtà fosse rosa e non del colore della merda lasciata per strada dal padrone maleducato di qualche cane. Eppure chi non si è accorto di aver perduto quella che era felicità? La mia era apparente, ma la vostra? Reale? Perduta? Alla deriva? 

«E quando finalmente trovi qualcuno su cui senti di poter riversare la tua anima, ti blocchi sconvolta dalle tue stesse parole: le hai tenute in quella piccola stretta oscurità dentro di te così a lungo, che sono arrugginite, brutte, banali, fiacche. Sì, l'allegria, l'autorealizzazione, lo stare insieme ci sono, ma la solitudine dell'anima, nella sua spaventosa autoconsapevolezza, è orribile, schiacciante».
Sylvia Plath, “Diari”

E quando trovi qualcuno con cui ti senti "a casa" le parole vengono fuori sin troppo facilmente, ma sono solo le tue parole, le parole a cui hai dato sempre tanta importanza, dopo, perdono valore, non hanno più alcun senso e per me è li che diventano brutte, è li che si arrugginiscono, ma non sono solo le parole a finire male, spariscono le emozioni, barricate dietro muri e filo spinato, intimorite e spaventate lasciano libere le parole false, brutte, disgustose. Liberano le emozioni dosandole e sprigionando liberamente solo quelle che ti fanno apparire brutta. Ritorno alle origini. Ritorno alla stronzaggine. Ritorno al buttarsi via, perché tanto lasciarsi andare non sarà più possibile. Il ricordo straziante di quella libertà brucia ancora, troppo vivido il dolore, troppo presente la paura. Non vale più la pena rischiare.

«È curioso il dolore. Il dolore più autentico si difende da se stesso elaborando frasi».
Daniel Pennac , “Signori bambini”

Il dolore vaneggia come me a quest'ora e il dolore adesso mi vorrebbe far urlare semplicemente un:

"SPARISCI!"

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