martedì 20 ottobre 2015

Il fabbro dell'amore

(Foto di mia proprietà)

Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
dicendo che è un mio emissario,
non credergli, anche se sono io;
ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
neanche che si bussi
alla porta irreale del cielo.
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
bussare, vai ad aprire la porta
e trovi qualcuno come in attesa
di bussare, medita un poco. Quello è
il mio emissario e me e ciò che
di disperato il mio orgoglio ammette.
Apri a chi non bussa alla tua porta
Fernando Pessoa

Una domanda che negli ultimi mesi mi viene posta in maniera velata e diretta è questa qui: "Ma se dovesse tornare tu che faresti?". Bella domandina che apre mondi paralleli con altrettante risposte contrastanti tra di loro eppure concretamente vere. Se dovessi rispondere con la pancia, quindi con l'emotività, direi "La porta per lui sarà sempre aperta!", dall'altra parte la me razionale invece, bastion contrario senza mezzi termini, direbbe "Sulla porta c'è un cartello: "TU QUI NON PUOI PIU' ENTRARE!". Districarsi tra le due personalità (che scritto cosi mi fa sembrare una psicopatica pronta per essere internata) non è facile, cosi come non è affatto facile rispondere ad una domanda del genere, un po' come la famosa e altrettanto spinosa domanda: "come stai?". Eppure penso che non sia difficile dare una risposta, ciò non toglie che alla medesima domanda, la sottoscritta devia o fa scena muta, più che altro è stato difficile mettersi da parte, sparire, dare spazio, abbandonare e abbandonarsi, perdere e perdersi, difficile è stato tutto il percorso che ha portato a quella domanda. Stupida io più che altro nel non essere capace di mentire e nell'essere cosi schietta e sincera dal palesare senza mezzi termini con chiunque che ho sì libertà nel frequentare o conoscere, ma che poi in realtà non mi ci senta perché ancora legata (innamorata) di chi alla fin fine non conosco più. Altro che Amleto con il suo essere o non essere. Comprendere e accettare che quello che sento nasce più che altro dalla paura di non sentire più niente, rispetto al provare veramente qualcosa di cosi profondo per chi poi, ad oggi, non so più chi sia. Si può amare chi non ti ama? No, in realtà non si dovrebbe, si può, ed è pure facile farlo, si amano i ricordi, i se, i ma, si ama chi conoscevi ma non c'è più o non c'è mai stato, si ama chi eri e come eri, si ama la sensazione di "casa" che quella persona ti faceva provare (e ti ha fatto provare fino all'ultima volta che vi siete parlati o visti), ma dall'altra parte c'è anche tutto il resto. C'è il non sapere chi sia ora (e sarò ripetitiva ma si diventa sconosciuti dopo), c'è il non saper giustificare certi atteggiamenti, certe parole, certi sotterfugi, non digerire le prese in giro, lo squallore dell'egoismo puro, non si digerisce più nemmeno la contraddizione che tanto ti aveva colpito in principio, eppure ti nascondi dietro un "sono ancora innamorata" perché non vuoi rischiare più. Non dopo che hai lottato con i denti e con le unghie per venirne un po' a galla, quel tanto che basta per respirare senza annaspare. Non dopo che hai rischiato il collasso per le sessanta notti passate in bianco a fissare il soffitto, non dopo i mesi passati a non mangiare perché lo stomaco si era talmente chiuso che solo l'odore del cibo ti creava conati di vomito. Non dopo esserti donata totalmente senza aspettarti nulla in cambio e alla fine sentirti dire che hai torto perché un ti amo non è mai stato pronunciato. Quella frase è solo un dettaglio, un pizzo su una tovaglia imbandita. I gesti, la premura, il tempo, le attenzioni e la presenza valgono più di mille parole. Il ti amo sono solo due parole messe assieme come un ti voglio bene troppo pronunciato. Eppure ti viene da chiederti se non hai voluto vedere e sentire cose che non c'erano in alcun modo. E per carità ci può stare, l'amore mette i prosciutti agli occhi fisici e non, eppure non posso non considerare tutto nel complesso. Parole su parole che un qualcosa significheranno pure o hanno significato, tempo verbale più corretto in questo momento. Ad oggi non contano più non per me, hanno perso valenza, le parole sono diventate vuote, solo parole, prive di pathos, di sentimento, prive di significato se non quello imposto dal senso comune. Smettere di credere non è difficile, ti basta una stilettata dritta al cuore e puff, non credi più. E quella porta. Abbandonata, dalla vernice scrostata, dalla maniglia e dalla serratura arrugginita, dal vetro sporco e rotto, resta chiusa, ci vorrebbe un fabbro o un piede di porco per aprirla, ma non è tutta li la difficoltà. All'interno poi c'è un caos incredibile che fa un baffo al caos primordiale, scatoloni di ricordi, di foto, di parole, scatoloni di vestiti, mobili, polvere e ragnatele hanno preso il sopravvento, farsi spazio non è per nulla facile, il desistere diviene più facile come scelta. E dopo questo volo pindarico torniamo alla famosa domanda. La risposta? Non lo so. La fiducia si è perduta e riconquistarla non è cosa da tutti. Ci vuole pazienza con le vecchie porte, il legno è gonfio per l'umidità, quante lacrime ne hanno percorso i solchi del legno? La serratura è arrugginita. Basterà un po' di olio? Pazienza e manualità, amore e tempo, però, aggiustano tutto.

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