martedì 7 luglio 2015

Ricominciare daccapo

Dovrei essere a letto a dormire o almeno a rigirarmi con il lenzuolo tra le gambe come un boa insopportabile visto il caldo di questa giornata, invece sono davanti al computer. Penso troppo. Non che abbia mai smesso di farlo. Ci sono momenti in cui riesco a gestire i pensieri, a convogliare altrove quelli che preferisco non affiorino con troppa frequenza. Ma oggi i pensieri non hanno sentito ragioni, sono rimasti per la maggior parte del tempo attivi e indisciplinati. Ho pensato all'attesa e alle menzogne che ci raccontiamo mentre aspettiamo. Io mi racconto di non star aspettando nulla e invece mi ritrovo ad aspettare un qualcosa che mi sconvolga la vita o almeno sconvolga questo momento cosi... Non ho parole per descriverlo, ma è pesante e non solo. Aspetto una e-mail, una chiamata, un messaggio, un contatto qualsiasi e non dovrei, razionalmente so di non dovermi aspettare più nulla, razionalmente so che dovrei andare avanti, ricominciare da capo, partendo da me, quella me che ancora non ho ritrovato del tutto. Sarà il caldo torrido, ma non ne ho le forze per andare avanti o semplicemente ricominciare non preclude l'eliminazione di quel fardello che in realtà ci portiamo dietro ovunque. 
Oggi leggevo una poesia di Jan Skàcel, la ricopio e la condivido con piacere qui sopra:

Ci sono contrade...
dove i bimbi salutano ancora i treni.
Gli adulti invece sono sempre tristi...
in quelle stazioni dove nessuno aspetta.
D’un tratto...
l’anima è bianca di sambuco...
D’un tratto...
c’è in noi troppo dell’uomo.
Verrebbe quasi voglia di scendere...
in quelle piccole stazioni...
dove non scende mai nessuno.
E ricominciare daccapo, una nuova vita...
seguendo i fiori di sambuco

Sarebbe bello poter annullare quella tristezza, la malinconia che una stazione ci mette addosso, per carità delle volte c'è euforia e gioia, ma personalmente la stazione è un luogo che, al momento, mi fa pensare a degli adii, a partenze senza ritorno, a treni perduti e amori pianti. 
Sono triste, delusa, arrabbiata con me stessa. Ce l'ho con me perché nonostante mi ripeta di non dovermi illudere, finisco puntualmente per sperare, e la speranza uccide l'animo, lo ferisce, lo dilania, e guarire non è mai semplice o fattibile. Non sono guarita, la mia malattia è ancora qui, amo ancora, semplicemente amo e non dovrei farlo. Aspetto e non dovrei aspettarmi nulla. Spero e mi suicido ogni volta che una stilla di speranza brilla nell'oscurità del nulla apatico. 
Ricominciare daccapo, una nuova vita, non è qualcosa di reale, razionalmente possiamo inventarci tante cose, possiamo attribuire colpe o sentenze, ma emotivamente ci portiamo dentro quello che ci ha spinto a ricominciare. 

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