giovedì 2 luglio 2015

Lettera n°66

KILIG – (n.) parola della lingua tagalog, parlata nelle Filippine, che descrive quella sensazione universale di “farfalle nello stomaco che provi quando sei innamorato”. L'inspiegabile gioia che si prova nel vedere il volto della persona amata.

Una gioia che probabilmente avrei percepito solo ed esclusivamente io, farfalle che avrei sentito solo io nello stomaco se al posto di quel no che mi hai tirato fino all'ultimo (e ancora non comprendo come potesse essere importante una singola parola che era ben definita in frasi di senso compiuto). Fino all'ultimo mi sono detta "Ok, ora gli mando un messaggio, gli dico di venire per le 22.30 per uno yogo", ma ho desistito perché quello che ho detto è vero, non è facile parlare o scriverti, figuriamoci vederti, soprattutto se vederti comporta ricascare in quel baratro oscuro da cui non sono ancora del tutto venuta fuori. Precipitare ancora più a fondo, toccare la fine, sempre ammesso che ve ne sia una nel nulla buio, non lo augurerei a nessuno, tanto meno a me. Sì, mi hai fatto male, ma non devi scusarti se la tua parte istintiva ti ha fatto esprimere quella domanda. Ma la domanda che ti ho posto resta invariata: "A che pro?". Che benefici vuoi che porti il rivederci? A me non porterebbe nulla, non posso esserne certa, ma penso di sapere sin troppo bene quello che ancora sento e di alimentare la speranza o l'illusione non mi va più. Come ti ho scritto sto vivendo al meglio delle mie possibilità, vado avanti senza speranza, aspettative o sogni e desideri degni di nota, prendo dalla vita tutto quello che mi offre nel bene e nel male. Non mi pongo limiti ma nemmeno mi spingo a fare ben oltre di quello che per ora so di poter fare. Non cerco amore, non cerco una relazione, non cerco compagnia e non ti voglio rivedere se questo comporta fare i conti con me stessa, trattenere la parte emotiva più di quanto non stia già facendo per vivere dignitosamente, sopprimere quella parte è stato l'apice della difficoltà. Lasciarla libera ieri notte è stato devastante, perché una briciola di me si aspettava conseguenze o reazioni, per quanto il restante era sicuro di non volersi aspettare nulla. Ma la volontà ancora una volta non è la vincitrice. Non ho dormito sai? Ho passato la notte totalmente insonne, mi rigiravo nel letto e pensavo e rimurginavo, mi davo della sciocca per aver ceduto, e creavo mentalmente scenari catastrofici. Non è andata come immaginavo, e non so se è andata bene o male, ma non ero io, te ne sarai accorto, sempre ammesso che tu ricorda chi io sia, sempre ammesso che tu l'abbia ben compreso cosi come io ho compreso che tu non mi abbia mai amato e mai lo farai. Quindi torna la domanda: "A che pro rivederci?". Ti può far piacere, ma non basta, in fin dei conti non hai mai nutrito nulla per me, lo hai detto tu "Non sento quello che senti tu", lo ricordo, devo ricordarmelo quotidianamente perché altrimenti l'illusione e la speranza potrebbero ritornare a bussare a quella porta che ho chiuso ermeticamente. Eppure volevo vederti, fino all'ultimo volevo vederti, capire che cosa sarebbe accaduto a te, perché a me so già cosa sarebbe potuto accadere, so già come mi sarei comportata, so già la fatica che avrei impiegato per fingermi a mio agio con chi, nonostante tutto, non riesco ad odiare o a voler meno bene rispetto mesi fa. Non lo so se leggerai o meno questo piccolo sfogo, ma qui c'è ancora quella che ero, che sono ma sopprimo. Chi vuoi che possa sopportare una filippica del genere? Meglio fingersi meno riflessivi, meglio fingere di non aver nulla da aggiungere. Pensavo ti fossi innamorato di un'altra, che la stessi frequentando, mi sa che sbagliavo. Probabilmente mi racconto che sia cosi o sarà cosi per poter sopportare quel vuoto che ancora c'è. 
Volevo vederti. Solo questo. Fino all'ultimo volevo semplicemente vederti.

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