giovedì 18 giugno 2015

John Doe

«Dunque, d’ora in poi parlerò ogni notte. Con me stessa. Con la luna. Passeggerò, come ho fatto stasera, gelosa della mia solitudine, nell’argenteo livido della fredda luna, che splende facendo brillare una miriade di scintille sui cumuli di neve appena caduta. Parlo da sola e guardo gli alberi scuri, beatamente neutrali. Molto più facile che affrontare gli altri, che dover sembrare felice, invulnerabile, brava. Senza la maschera, cammino parlando con la luna, con la forza neutrale e impersonale che non ascolta, ma si limita ad accettare la mia esistenza».
Sylvia Plath, “Diari”


E come la Plath ho ritrovato il piacere dell'uscire di notte, del passeggiare sola con una compagnia silente per le viuzze della mia città. La scorsa notte mi ha trovata impreparata la pioggia, ma è stato piacevole lasciare che la pioggia scivolasse sui capelli, sul viso, sui vestiti. Gettare la maschera, aprirsi con chi hai lasciato indietro quasi un anno fa e che hai ritrovato con sommo piacere. Pioggia come fonte battesimale. Pungente l'aria. Profumo di terra bagnata e di una sigaretta accesa e aspirata. Per la prima volta mi sono sentita totalmente a mio agio, senza la preoccupazione di dovermi far conoscere, mi si conosceva già. C'era nel prima e c'è adesso nel dopo. Resto la stessa seppur in parte modificata, ma vengo finalmente capita. L'empatia era palese e fa bene, devo proprio ammetterlo, fa bene essere capiti, sapere che chi hai di fronte comprende appieno come ti senti. Un John Doe è per sempre!

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