martedì 23 giugno 2015

Lasciati andare

«Io sono, si perdoni la metafora, un sepolcro ambulante, che porto dentro di me un uomo morto, un cuore già sensibilissimo che più non sente».
Giacomo Leopardi

Leopardi mi è sempre piaciuto sin dal liceo, nonostante il nostro averci impiegato più di quattro mesi per studiarlo sviscerando fino in fondo ogni minima parola da lui scritta. Analizzare quello che i più definiscono pessimismo cosmico, ma che ai miei occhi non è mai stato nulla di più della semplice esternazione di un profondo dolore mai del tutto metabolizzato, ma alla fine chi metabolizza veramente il dolore? Il dolore ce lo portiamo dietro fino alla fine dei nostri giorni, fingiamo che vada tutto bene, lasciamo che la vita torni a seguire i propri ritmi e alla meglio cerchiamo di seguire gli eventi che il fato, il destino, la vita stessa o quel che vi pare, ci pongono dinanzi. Torniamo ad eseguire quasi meccanicamente cose che pensavamo di non poter più fare, ma le facciamo con la consapevolezza che qualcosa dentro si è spento, le compiamo pur essendo totalmente privi di emozioni differenti da quello che ha scaturito quell'assenza di emozioni o di sentimenti. Frequentemente ci verrò detto: "Lasciati andare". Ci provi, ma qualcosa dentro torna a bloccarti, quella paura di stare male o semplicemente perché ti ritrovi svuotato completamente di tutto quello che hai investito altrove. Scuoti la testa, palesi apertamente, senza menzogne, la difficoltà che percepisci nel lasciarti andare, nel semplice atto naturale di sentire emozioni. Sei incapace di sentire qualunque cosa che trascenda quell'oscurità. Non senti più nulla, ma insisti ad andare avanti, insisti testardamente nel credere che la situazione con un po' di pazienza e tempo potrà mutare, e passano i rospi uno dietro l'altro e tu non riesci a sentire nulla, nemmeno lo schifo che mentalmente sai di dover provare. Niente. Non senti più nulla. Hai lasciato indietro quello che l'involucro conteneva. Sei nulla. Sei un vuoto oscuro che non sente più nulla.

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