domenica 19 aprile 2015

Lettera n°63

«Mi sentivo ed ero un libro con righe chiare di parole sensibili e taglienti, nessuno sapeva intravederne le fragilità, si pungevano e andavano via. Sono sempre stata e mi son sempre sentita come un libro aperto, circondato da analfabeti».
Sylvia Plath


Già, hai sempre avuto la capacità di leggermi con una facilità disarmante, qualcosa che mi ha sempre palesato la tua sensibilità e la mia instabilità nel mascherare, malamente, dietro parole, espressioni o qualunque gingillo umano, quello che poi tu in uno sguardo hai colto come se fosse sempre stato alla portata di chiunque. Ma tu non sei chiunque, tu sei quello che mi ha portato a conoscere cosa sia la felicità, con te ho colto in un frangente quello che volevo essere e chi in realtà sia. Come direbbe un mio amico (ne rubo la definizione) sono una persona da coppia, non riesco ad avere relazioni fine a se stesse, vivo bene in coppia con tutto quello che comporta e non comporta. I sacrifici e le rinunce non mi spaventano, ma purtroppo non era quello il destino a noi affidato. Due linee parallele simili ai binari di una stazione poco trafficata, incrociatesi per un breve attimo in un cuore ferroviario (lo so che non esiste nella dicitura tecnica, ma concedimi la licenza poetica), ma nuovamente distanziati. Incroci ne troveranno, ma non saranno mai come quello appena superato. L'amore muta sempre di relazione in relazione. Ha molti aspetti, te lo avrò detto e scritto un'infinità di volte, ma è quello che realmente credo. Eppure ad oggi sono tornata ad essere un libro aperto circondato da analfabeti, per carità, probabilmente sono io stessa la causa del loro essere analfabeti, probabilmente io stessa ho criptato le parole affinché la difficoltà nel leggerle divenga complicata e porti all'arrendevolezza, ma non posso costringermi a far leggere quel libro a qualcuno che non sia chi ha lasciato orme di cioccolata sulle pagine un tempo immacolate. Quelle orme hanno un nome: il tuo! Quelle macchie indelebili, quelle grinze, quelle orecchie poste qui e li dove ci sono passi che a te sono rimasti imprigionati dentro, parlano di te. Tutto quello che hai lasciato resta invariabilmente immutabile. Un po' come il mio libro di Baudelaire, sottolineature, orecchie e post-it, piccole note ai margini e segnalibri colorati a ricordarmi di quanto lo abbia e lo stia vivendo giorno per giorno. Segni indelebili di emozioni e ricordi. Parole che lasciano il segno su pagine ingiallite dal tempo. Il libro che sono non ha un bel finale, ma per breve che sia stato il lasso, cosi come umanamente verrebbe considerato dai più, l'intensità di quello che ho provato, quel lasciarsi andare totalmente, con la consapevolezza che potesse terminare da un momento all'altro, con la consapevolezza che come il sole nasce e sorge anche tu saresti andato via ho vissuto al massimo quel poco tempo frammentato che mi hai dato. Mi hai letto e mi hai riposto nella tua biblioteca. Magari un giorno quando cercherai un libro accarezzerai la costina con le tue dita linde, potrai riprendermi tra le mani, tornare a sfogliarmi oppure diverrò carta da macero. Non lo so. Lascio aperta la porta ad ogni possibilità. Per te. Per me. Per quel che è parso essere un noi, nonostante lo sia stato, prevalentemente, per me.

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