giovedì 30 aprile 2015

Silenziosamente, continuiamo a vivere.

«Così continuiamo a vivere la nostra vita, pensai. Segnati da perdite profonde e definitive, derubati delle cose per noi più preziose, trasformati in persone diverse che di sé conservano solo lo strato esterno della pelle; tuttavia, silenziosamente, continuiamo a vivere».
Murakami Haruki


Silenziosamente continuo a vivere, i secondi, i minuti, le ore e le giornate si susseguono in un crescente di nulla o di tutto. Che Murakami sia uno dei miei Guru letterari, lo hanno capito anche le mura che mi circondano. Lo capirebbe chiunque scorgendone le citazioni, le condivisioni o udendo il cuore che palpita più frenetico quando mi ritrovo a perdermi nei suoi libri. Nella disarmante semplicità delle parole elabora e intreccia storie pregne di significati e significanti. Nelle sue parole ho ritrovato un sorriso, una lacrima o semplicemente un po' di me. Ed anche questa volta non posso che annuire con il capo e ritrovarmi concorde con quanto ho, poco sopra, citato. Si continua a vivere, nonostante le perdite profonde e definitive, il vuoto da esse create, nonostante l'esser stati derubati di qualcosa a noi caro, a cui evito di dare un nome o una categoria ben specifica, perché può essere realmente tutto e nulla a seconda della gravità della sottrazione. Si muta e si rinasce a piccoli passi. Come una fenice dall'orrore della deturpazione delle fiamme che volevano estinguerla, noi stessi ci ritroviamo a sollevarci e ad andare avanti. Faticando in principio anche ad alzarci dal letto la mattina, quello stesso letto che ci ha visti rigirarci costantemente in pena e con gli occhi sbarrati. Quello stesso letto che ha scorto le occhiaie nere affossarci gli occhi, questi ultimi protagonisti silenziosi di lacrime che parevano non avere più fine, smorzate dalla morbidezza di un cuscino nuovo a cui ci si è aggrappati memori di abbracci asfissianti ma delicatamente veri. Nel sonno le persone si rivelano per quelle che sono. Disarmate e nude da tutte le maschere e le armi con le quali girano di giorno. Di notte, abbandonati tra le braccia di Morfeo, torniamo ad essere sempre e solo noi, un noi che i più e noi stessi, non conosciamo mai fino in fondo, ma che chi ha la pazienza di osservare scruta impaziente e avido in ogni minimo particolare. I grovigli di lenzuola tra le gambe, la bocca lievemente dischiusa, qualche borbottio sommesso o uno sbuffo di aria che ricorda l'urlo di un'anima in pena che tramite il respiro vuole venire fuori dalla sua prigione. Immagini si sovrastano, ma tra queste solo una resta immutata. Quel fanciullo delicato e puro che dorme sereno, perso in un sonno ristoratore. Un sonno che, notte dopo notte, caccia via chi si è voluto apparire per lasciare spazio a chi si è, a chi nascondiamo sotto chili di cerone incolore.

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