lunedì 25 maggio 2015

"Mostrami tutti i dentini"

“E in qualche modo riuscirai a superare i giorni vuoti e i giorni pieni e i giorni noiosi e i giorni detestabili e i giorni straordinari, tutti così piacevoli e così deludenti perché noi siamo tutti così simili e così diversi.”
Charles Bukowski

Ed è vero, pur non conoscendo il come o il cosa ci spinga a superare i giorni noiosi, quelli vuoti, quelli spiacevoli o quelli piacevoli, alla fine la giornata passa. La notte giunge e come un battesimo di pioggia oscura lava via la stanchezza, la felicità o la tristezza che hanno impregnato gli abiti, la pelle e l'anima. Oggi per me è stata una giornata strana. Un banco di prova e adesso ne analizzo gli effetti e le sensazioni prima di lasciarmi andare all'oblio del sonno. La mattinata è stata frenetica, le pulsazioni cardiache erano accelerate, la strada era piuttosto libera, il paesaggio splendido. Balle di fieno, campi verdi macchiati di rosso papavero, industrie belle nei loro colori blu o rossi, insegne stradali, musica ad alto volume e mia madre a mio fianco come unica compagnia all'infuori dei pensieri. Un viaggio breve, ma intenso di significato, un viaggio che andrà a finire nella memoria delle cose condivise e piacevoli con lei. Nonostante i silenzi o le urla mattiniere perché ho fatto notte fonda e non volevo alzarmi e avevo mille cose da organizzare prima del viaggio. Poi quel frammento di malessere, una insegna e nuova accelerazione cardiaca. Ricordi, il 16 non si vedeva da nessuna parte, non mi è comparso in alcun modo eppure non serve solo quello a ricordarmi cosa quel 16 mi scaturisce nella mente. Ciononostante ho spazzato via il malessere momentaneo, trattenerlo e cullarlo come un neonato che ha bisogno di cure costanti perché incapace di badare a se stesso non avrebbe avuto senso, non oggi, non in quel momento, non con quello che mi aspettava. Sono tornata a varcare le soglie di una Chiesa, ho indossato la maschera di chi non teme il giudizio di un Dio in cui non crede e che usa all'occorrenza come ultima risorsa che potrebbe fornirgli un miracolo illusorio, perché con me, sino ad ora ha solo creato illusioni dopo ogni implorazione o preghiera a lui rivolta, ma questo non è importante ora, non nel resoconto giornaliero. Sono entrata in quel luogo illuminato a stento, con quell'odore penetrante di fiori e incenso che rendeva l'aria stantia e irrespirabile. Ho indossato uno dei miei più bei sorrisi falsi nello salutare sottovoce chi conoscevo. Uno sguardo veloce ai presenti per assicurarmi di non aver mancato qualcuno, e poi dritta verso il pulpito. La reflex ben salda tra le mani, due scarpe infernalmente alte pur essendo belle. Lacrime non comprensibili, non da me, non per ora, le ho lasciate li sulle gote di chi fa parte della mia famiglia, ho sorriso e scherzato come se fosse normale lanciare battutine su rubinetti ed idraulici, banale, ma di meglio non so fare. Mi sono concentrata, nonostante la difficoltà di equilibrio su quei trampoli, nonostante l'essere osservata come un animale in gabbia pronto per la vivisezione. Non era il mio ambiente, ma ho finto che lo fosse, ho reso meccanico ogni gesto, ogni cambiamento di obiettivo, ogni frazione di pensiero era soppesata, analizzata, ma stavo semplicemente andando allo sbaraglio senza la minima consapevolezza di quello che stessi combinando. Sopportare quelle parole vuote, quei canti, quei genitori, quei bambini che si apprestano a crescere e non comprendono appieno quello che hanno appena ingoiato con quell'ostia. Credenze, falsità, verità. Io non lo so, non mi è mai importato molto di un credo X o di qualunque cosa che non fosse appuràbile scientificamente, ma l'età dell'innocenza comporta anche questo: essere condotti per mano in circoli viziosi che a nostra volta, con l'inconsapevolezza, abbiamo seguito e chi ci ha preceduto ha, a sua volta, compiuto. Alla fine ho sopportato la cosa, non mi ha colpito alcun fulmine e nessuno mi ha dato della blasfema, della non credente o chissà cosa. Nessuna punizione divina per aver varcato la soglia di una delle tante cosi dette "dimore di Cristo". 
Comunque è finita! Ho mantenuto attiva la maschera della fotografa capace di affrontare qualunque cosa, nonostante i piedi doloranti e i tacchi vertiginosi, mi sono persa in qualcosa di nuovo per non affrontare, di nuovo, quella stilla di dolore pulsante che voleva scoppiare. Ho chiacchierato del più e del meno, ho riso, ho mangiato, ho fotografato, fotografato e ancora fotografato. Mi sono persino messa in posa perché anche io dovevo esserci pur non essendoci veramente. Non finiva mai, straziante la scelta musicale, straziante il primo ballo, pensavo che il buon gusto lo avesse rimosso da questi eventi, eppure ho fotografato anche quello. Bisogna prendere tutto, nel bene e nel male, vogliono tutto quando ti chiedono di rivestire un determinato ruolo. Non sono scesa in discorsi di amore con chi probabilmente avrebbe voluto sfogarsi, non posso dare consigli, non ne ho la capacità e le credenziali adatte, io amo, ma non vengo amata e a questo punto va bene cosi. Deve necessariamente andare bene, non ci sono vie di fuga o via di uscita. Però in tutto ciò mi sono lasciata consolare da chi, in maniera inconsapevole, mi ha donato abbracci, baci e coccole. Ho giocato con i bambini come una bambina, li ho fatti ridere pur non conoscendoli tutti, ne ho conquistato i cuori e ai saluti finali un velo di tristezza l'ho scorto nei loro occhietti acquosi, ma un "Mostrami i dentini" lo ha tirato via quel velo, un sorriso, vero il loro, è comparso e una piccola gioia me la sono portata dentro. E' bello far ridere i bambini, sono cosi innocenti, non lo sanno che devono godersi ogni attimo di questo periodo di non conoscenza perché poi sarà tutto una merda senza fine. 
La festa è giunta al termine, saluti e abbracci. Di nuovo in auto, via le maschere, via le scarpe doloranti, niente musica se non il martellare costante della pioggia sui vetri e lo schiarirsi del cielo per qualche tuono impetuoso e violento. Stanchezza. Insegne. Tristezza. Due città vicine, una sotto l'altra. Un colpo di sonno. Chiudo gli occhi per non piangere. Mi assopisco qualche attimo e poi mi perdo nel buio e li rimango. Li mi sono rintanata. E ora... Merito il sonno dei vinti. Perché il dolore mi ha battuta, anche questa volta, lui ce l'ha fatta ed io no.

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