lunedì 18 maggio 2015

Tossico nostalgico

«In greco, «ritorno» si dice nóstos. 
Álgos significa «sofferenza». 
La nostalgia è dunque la sofferenza 
provocata dal desiderio inappagato di ritornare».
Milan Kundera, “L’ignoranza”

La nostalgia andrebbe necessariamente allontanata, rimossa o semplicemente riposta nei meandri più lontani del nostro essere. Quando la si percepisce fare il suo ingresso con il suo mantello rosso rubino e la corona di una Regina ormai deposta dal trono andrebbe issato un muro di volontà e di forza per far sì che non crei più danno di quanto in passato abbia commesso. Ma le regine sono capricciose, si sa, quindi come fare per allontanarla e con essa la sofferenza che si trascina assieme alla polvere che rende il bordo del mantello lercio e sudicio? Non c'è un modo semplice ed efficace, bisogna per forza di cose lottare a mani nude. Nessuna arma può abbatterla se non la semplice voglia di non stare più male. Il ritornare lì dove il dolore ebbe inizio non è mai un bene. Per quanto ti possa apparire l'unico modo in cui appagare quella mancanza che percepisci dentro. Come un tossico allungheresti le braccia inerte e in attesa di quella dose che con dolore ti condurrebbe anche a una felicità mnemonica, ma è solo un palliativo temporaneo. Un palliativo il cui effetto dura troppo poco e che, se non contrastato, crea dipendenza. Ci si deve forzare e stringere i denti, sopportare la crisi di astinenza ed evitare palliativi di ogni genere, perché non servono a nulla se non a ritardare quei conti che non si vuole risolvere per paura di non saperli affrontare al pieno delle forze. Si attende e inconsciamente alimentiamo quel mostro di una Regina deposta che, col suo alito, ci solletica la nuca. E d'un  tratto quello che ti appariva impossibile, quando meno te lo aspetti accade. Ti ritrovi sonnacchiosa tra le braccia di un palliativo che non è mai stato tale, ti sconvolge la facilità con la quale riesci a stare bene in quel frangente nonostante una vocina dentro ti stia dicendo di alzarti e andare via, ma tra quelle braccia ci stai bene, nonostante l'assenza del tutto, lì ci stai bene, sei a tuo agio, ti lasci andare al sonno dei vinti e dei vincitori. Poi torni a indossare una maschera di freddezza e distacco. Fingi di non aver sentito nulla. Fingi di non aver bisogno di quello che per te ha l'aspetto di un palliativo ma che tale non è. Resti di sasso pur annuendo a suggerimenti che hai già preso abbondantemente in considerazione, vorresti zittire quella voce, ma ti costringi ad essere risoluta in quella maschera che indossi per proteggerti da quel dolore che conosci sin troppo bene. L'ignoranza è una gran bella cosa. Ignorare le emozioni, i pensieri e l'insonnia sono i miei palliativi personali per andare avanti nonostante mi senta come un tossico nostalgico alla ricerca di una dose di ritorno. Domani andrà meglio. Domani starò meglio. Va bene. Va tutto bene, nonostante tutto, va tutto bene.

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