sabato 7 marzo 2015

Facciamo qualche conto...

Per 37 giorni, 1608 ore, 96480 secondi, 5788800 secondi, non ho fatto altro che soffrire, starmene chiusa in casa, uscire il minimo indispensabile, quel tanto che mi bastava per allenarmi, fare la spesa, accompagnare amica, mia madre o mia sorella a fare shopping o portare il cane in giro per le sue passeggiate. Ho pianto come una fontana in palestra, ho urlato e mi sono fatta consolare dal cane che qualche sorrisetto tirato me lo ha fatto nascere sulle labbra che portano ancora il ricordo di labbra ormai facenti parte del passato, di una illusione, di una fantasia, di un qualcosa di non reale, mai esistito, mai vissuto veramente. Mi sono concessa sei ore di due giorni in una settimana per andare a vedere dei film al cinema, e parlare parlare parlare fino allo sfinimento di chi quelle parole me le ha create. Lacrime, Dio, quante lacrime può un essere umano produrre? Tante, infinite, ancora adesso scendono, la notte si sa, i pensieri spalancano la porta entrano indisturbati e scombussolano tutto. Le lascio scorrere, un minimo senso di beneficio me lo offrono. Ho scritto, Dio quanto ho scritto, qui sopra, a mano, su altri social, ho scritto tanto, parole e parole che scorrono veloci come le dita sulla tastiera o con una penna in mano. Cattiveria, Ira e Rabbia, spazzate via subito da quel turbinio di emozioni che invece sarebbe meglio sopprimere. Dolore. Puro e unico dolore. Non vi è altro con cui descrivere il vuoto che sento dentro, la sconfitta, l'inettitudine, l'incapacità di farmi amare, il senso di abbandono che in un parossismo costante non mi abbandona mai. La tristezza nel non essere riuscita, nel fallimento del proprio essere. Una costante. Anche quella una costante. Essere troppo o troppo poco di qualunque cosa. Colpe. Me ne attribuisco senza sosta. Pene, me le infliggo con ogni domanda, ricordo o pensiero incontrollato che mi sopraggiunge o che richiamo volontariamente alla memoria o in mente. Pensieri, parole, emozioni, preoccupazioni, tempo, tutto dedicato a qualcuno che alla fine dei conti non c'è più, che dovrei considerare morto e sepolto, ma che ancora percepisco costantemente presente. Nell'attimo del culmine rabbioso potrei, metaforicamente, paragonarlo ad un parassita vampiro che mi succhia ogni goccia di vita, ma alla fine dei conti sono solo IO la causa principale di come mi sento adesso, IO sola ho la colpa, IO solo mi sono innamorata, IO solo non riesco ad andare avanti, IO sola mi sento una traditrice se parlo con qualcuno, nonostante mi stia solo sfogando, nonostante quei pochi contatti li ho portati all'esasperazione con il mio amore malato. Sì, perché non è altro che malattia. Una malattia che dicono si curi col tempo, ma non ci credo poi molto, il tempo non cancella proprio nulla, quello che è stato importante, per quanto a senso unico resta impresso come un tatuaggio sulla pelle. L'amore resta amore nonostante il trascorrere del tempo. La paura e il dolore sbiadiscono un pochino, ma restano sempre li in agguato. Demoni fedeli e amici. E torno quindi a ricalcare orme di morti passate. Suicido il mio essere, mi chiudo a riccio come la portinaia dell'eleganza del riccio, vivo (per non dire sopravvivo) riversando me stessa sempre nella parole, punto di partenza e di fine in un ripresentarsi ciclico e costante, costante e infinito. Infinito come gli orecchini che mi sono stati donati dalla mia metà genetica affinché la smettessi di avere il viso cadaverico, spento e defunto. Infinito come quel vuoto che non si colma con i libri, la musica o qualunque altro piacere mi sia concessa. Vuoto che non ha senso riempire con presenze indiscutibilmente inutili. Sola. Devo restare sola perché incapace di amare. Sola perché incapace di farmi amare. Sola perché ormai ho perduto tutto. Perduta la voglia di andare avanti, perduta la voglia di abbandonarsi, perduto l'istinto di sopravvivenza. Automa. Sono un'automa. L'ombra di me stessa con maschere mutevoli in base all'occorrenza. Vorrei rinascere come la donna in rinascita di Jack Folla, ma non ne ho la voglia e la forza. Abbandono. Ho abbandonato me stessa. L'ho donata e non la voglio più indietro. Che sia stata compresa o meno oramai non ha più importanza. Sono perduta. Una tossica priva di finanze per farsi un'altra dose. Uscirò, bacerò, scoperò oppure no. Non lo so. Non lo voglio sapere. Il futuro non ha più senso. Il futuro torna ad essere rimosso. Torna ad essere un abominio della mente. Non esiste un futuro, non per me. Non me lo merito. Non merito nulla se non la sofferenza. Non merito nulla se non di essere usata. Non merito la felicità. Non merito amore. Non merito attenzioni e premure. Non merito nulla se non quello che ho adesso tra le mani: un pugno di nulla e l'animo che scivola via sulle guance sotto forma di lacrime.

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