domenica 15 marzo 2015

Marai + pensiero per... te (sempre e solo te)

«Il dolore è passato. La vita lo ha trasformato in qualcos’altro; dopo averlo provato, dopo aver singhiozzato, lo si nasconde agli occhi del mondo come una mummia da custodire nel padiglione funerario dei ricordi. Passa anche il dolore provocato dall’amore, non credere. Rimane il lutto, una specie di cerimonia ufficiale della memoria. Il dolore era altro: era urlo animalesco, anche quando stava in silenzio. È così che urlano le bestie selvatiche quando non comprendono qualcosa nel mondo – la luce delle stelle o gli odori estranei – e cominciano ad avere paura e ululare. Il lutto è già un dare senso, una ragione e una pratica. Ma il dolore un giorno si trasforma, la vanità e il risentimento insiti nella mancanza si prosciugano al fuoco purgatoriale della sofferenza, e rimane il ricordo, che può essere maneggiato, addomesticato, riposto da qualche parte. È quel che accade ad ogni idea e passione umane».
Sándor Marái, “Il gabbiano”


Il dolore non è passato, si è un po' affievolito, quello glielo concedo, seppure ci siano notti in cui fatico a prendere sonno, mi sveglio nel cuore della notte e con la mano cerco qualcuno che non c'è al mio fianco. Ci sono giorni in cui, nonostante il lieve benessere del dover andare in palestra, dove il cervello si spegne per le ore sufficienti ad allenarmi, quel tragitto lo compia con l'aria spezzata, l'incapacità di riempire fino in fondo i polmoni e di poter respirare tranquillamente. 
Ai più il dolore viene celato, ma gli occhi, quelli parlano, sono limpidi e li dentro se osservi con attenzione lo vedi nuotare in tutto il suo funesto splendore. Il dolore resta immobile e solo quando vuole risalire i suoi arpioni graffiano senza sosta. E' un lutto, null'altro che un lutto. Una perdita con cui dovrai fare i conti. Come quel perdersi nel fissare un punto qualunque e ritrovarsi con la mente altrove. Le parole degli altri non giungono più all'udito, il silenzio che ti circonda urla più forte. E possono scuoterti, chiamarti, ma tu non senti. Sei persa in un qualcosa di non concreto e non tangibile. Persa in ricordi e fermi immagini mentali da cui non vuoi e non riesci a separarti.
E no il lutto per quanto lo si possa razionalizzare, comporta il senso della mancanza, quel velo di abbandono che ti segue senza sosta. E ancora una volta mi rendo conto di non essere giunta ancora al saper gestire e maneggiare i ricordi, prendono il sopravvento come le emozioni che percepisco, come quel perdermi nel vuoto osservando punti senza senso. Ci sto provando, ma manca la voglia e lo stimolo di conoscere qualcuno, manca quella curiosità che ti spinge a dire "Ok, conosciamoci", manca chi vorresti e manchi tu che non facendo parte di me sei ancora l'unico a cui sento di appartenere senza riserve. Sei l'unico a cui voglio donarmi totalmente. L'unico che voglio amare e che amo, nonostante tutto. Resti tu l'unico con cui vorrei dormire, baciare, con cui fare l'amore, con cui costruire qualcosa, con cui avere un futuro per incerto che sia. E ancora una volta mi pongo la domanda: "E se si facesse vivo? Se volesse riprovare?" - La ragione ti manderebbe via, ti direbbe che non ti vuole, che le hai fatto male, che sei il male personificato, ma l'amore... L'amore tornerebbe a scegliere te e solo te, perché sei tu quello che vuole, c'è il tuo nome lì sopra e non è sbiadito come il mio che da sola ho apposto su un foglio bianco perduto nell'etere del nulla.

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