venerdì 6 marzo 2015

Pensieri di una (delle tante) notte insonne

Ci sono notti e altre notti, quelle notti che non ti fanno bene, quelle notti in cui il pensiero costante di qualcuno non ti lascia respirare, nonostante tu stia cercando di non pensarci, stia cercando di distrarti, nonostante tu possa fare qualunque cosa, anche quella che preferisci, basta una canzone della playlist al momento sbagliato, una poesia, una citazione o una singola parola per creare nuovamente scompiglio e nonostante tu possa aver cercato di nascondere quel pensiero, di accantonarlo come si fa nelle vecchie soffitte con qualcosa di ormai inutilizzato o inutilizzabile eccolo che rispunta. Una sorta di palla di pelo che per pigrizia hai nascosto sotto al tappeto in attesa della visita di qualche parente o amica nella tua dimora. Sorrisi falsi, risate non di pancia, parole astiose, conoscenze futili e inconcludenti perché alla fine quel pensiero ti rende sempre succube, ti incatena. E non basta la volontà, no, non bastano nemmeno i giorni che inesorabili passano lenti, non basta proprio nulla, quando quel pensiero torna ti ritrovi sempre con gli occhi colmi di lacrime, torni a domandarti cose che sarebbe meglio non domandare, continui a incolparti di qualunque cosa perché sei l'unico essere con cui puoi prendertela, l'unica presente concretamente. So che la ferita inflittami prima o poi passerà, so che prima o poi l'idea di uscire con un altro non mi farà venire la pelle d'oca o la nausea, prima o poi tornerò ad uscire e a rincorrere i raggi di sole che illuminano i marciapiedi invece di scansarli a costo di rabbrividire, perché il sole con la sua allegria non lo posso sopportare, non ancora almeno, prima o poi tornerò in quei luoghi che adesso evito perché mi potrebbero solo fare male, troppo male, evito nuovamente anche di soffermarmi troppo tempo sotto casa, perché il ricordo è troppo nitido, il ricordo del primo appuntamento e di quei baci infiniti e il ricordo delle ultime lacrime mie e sue in comune. Ora restano le lacrime che scendono libere, ancora una volta scendono senza sosta. Mi dico che ci può stare, mi dico che va bene cosi, mi dico e mi racconto che è il processo che fa il suo corso, mi racconto che devo affrontarle per quanto brucianti possano essere. Quel vuoto e quell'oscurità devo farmele amiche, spazzarle non serve a nulla, nascondere l'infelicità e la tristezza sotto maschere di cartongesso va bene solo se si è in presenza di chi è stanco di sentire sempre le stesse cose, di chi oramai non sopporta più di vedermi piangente e sofferente. Ma almeno questa notte lascio ancora una volta che il dolore prenda il sopravvento, calo le maschere con tutto il peso che comportano, mi libero e lascio che quella che realmente sono venga fuori, almeno per un po'. Cosa ha scaturito tutto questo? La pioggia, amata e odiata pioggia, custode di ricordi e di lacrime. Pioggia che lava via il marciume dalle strade, la pioggia che ti obbliga ad uscire con un ombrello, la pioggia che lieve e fragorosa scende senza preavviso, la pioggia che porta freddo e buio.

...Ascoltavo la pioggia... 
domandare al silenzio
quanti nastri di strade
annodavano il cuore.
...E la pioggia piangeva... 
asciugandosi al vento
sopra tetti spioventi
di desolati paesi.
da "Ascoltavo la pioggia", A. Merini

E anche lei, una delle mie poetesse predilette mi accompagna in questo ennesimo mare di lacrime, ultime oppure no, non mi è dato saperlo, per ora prendo atto della loro esistenza, torno a prendere atto del dolore, della mancanza e di quello che ho cercato negli ultimi giorni di nascondere senza buoni risultati evidenti per me stessa, ma sicuramente positivi per chi sta male nel vedermi spenta, morta, misantropa e assente più del normale. Risuona nell'aria il fischio di un treno in lontananza e un pensiero, un ricordo, un volto compaiono senza sosta in un parossismo di dolore e amore.

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