venerdì 13 febbraio 2015

Lettera n°41

Quattro ore scarse di sonno, due ore di allenamento intensivo, perché qui perdo invece di prendere peso (ma non ti preoccupare, non sei tu la causa, mangio come mangiavo con te, semplicemente è cosi che va, non ti fasciare la testa e non ti far impietosire, qualora e sempre ammesso che ti capiti di passare di qui e di leggere queste ennesime parole che nascono per te. Mi dico che prima o poi non sentirò più il bisogno di scriverti o smetterò perché mi costringerò a farlo, per me e per te), due ore di lavoro intenso coi miei due monellacci impertinenti. Una passeggiata con Kenny, un appuntamento saltato (ed è meglio cosi, sono in modalità non di compagnia sull'attivo), insomma, la mia vita procede, si trascina come al solito, con le solite cose, ma nonostante le distrazioni che mi impongo o che fanno parte dell'abitudinaria quotidianità tu resti. Già rimani imperterrito ogni secondo. Sei qui anche ora. Lo so che la ridondanza di queste lettere sta divenendo insopportabile. Non dico praticamente nulla di nuovo, ci leggi sempre le stesse cose, me ne rendo conto, ma cosa vuoi che ti racconti? Che ti ho dimenticato? Che ho conosciuto qualcuno che ha preso il tuo posto? Che non ci penso più a te? Che non ti ho mai amato? Eh, mi piacerebbe tutto, mi piacerebbe fosse vero, ma non è cosi, come potrebbe? Oggi proprio mi sono ritrovata ad accarezzare quelle due tazzine che non ti ho dato, un piccolo pensierino per San Valentino accompagnate da un bigliettino rosso non ancora scritto, non ho fatto in tempo, pensavo di averne, ma la vita mi ha dato l'ennesima botta, nuovamente quella frase che già un mese (o poco più) prima avevo già dovuto udire: "non sento quello che senti tu". E ora restano lì memori di un attimo di amore assurdo, prese come ti ho preso tutto quello che col cuore ho voluto donarti: amore. Già sempre questo maledetto amore che non ne vuole sapere di andare via. Oggi accarezzavo anche l'abitino che avrei voluto indossare domani, volevo essere bella per te. Più donna. E infatti ho anche preso un paio di scarpe col tacco alto che potessero abbinarsi all'abitino, ma anche quello riposa, silente resta nell'armadio mai indossato. Cosi come quella lingerie presa per te, per provocarti e renderti difficile dirmi di no, inutile acquisto anche quello. Che me ne faccio di tutte queste cose se domani non sarai con me? Mi sarebbe piaciuto andare in pizzeria o anche preparare qualcosa di carino per noi due, una cenetta e un film, risate e parole, un po' come le nostre serate in cui non eravamo solo una coppietta, ma mi eri amico, confidente, amante e complice. Già ti vedevo (e vedo) ancora cosi, nonostante non fosse, probabilmente, condiviso. Io non so realmente com'è che mi vedevi ai tuoi occhi, che diavolo di ruolo possa mai aver avuto nella tua vita, tirarti fuori delle risposte è difficile e mi sono stancata di averne poi di impetuose solo perché ti ho supplicato. Ho smesso di supplicarti, ho smesso di esserci. Non ci sono più, ma tu ci sei. Paradossale. La mia presenza è assenza (sempre e ammesso che tu non legga nulla di tutto ciò di volta in volta), mentre tu non mi lasci in pace un attimo. Sei qui e non mi fai respirare, dormire, mangiare, sognare. Dovrei darci un taglio, ma come? Come si smette di amare chi si ama cosi tanto? Se lo sai dimmelo, perché io proprio non lo so



Voglio essere felice, dici che me lo merito?
Io credo di si - rispose lui guardandola negli occhi verdi.
E tu? Che cosa vuoi?
Io voglio soltanto bere con te il primo caffè del mattino, mi basta questo. 
Ma dev'essere ogni mattina per il resto della nostra vita. Ti va?
Diego Galdino - Il primo caffè del mattino

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